Nobiltà
“fiN-de-siÈcle”

Nel 1779 Mengs moriva a Roma, dove si era trasferito definitivamente due anni prima, lasciando vacante il posto di primo pittore di camera a Madrid, cui aspiravano Goya e Mariano Salvador Maella, di sette anni maggiore. Goya non lo ottiene, ma sale nella stima dei reali spagnoli.

Presentato al re Carlo III e ai principi delle Asturie nel 1779, ne scrive all’amico Zapater concludendo, consapevole dell’invidia dei colleghi: «Adesso inizio ad avere nemici più grandi e di maggiore rancore».

Nel 1780 diventa membro dell’Accademia di San Fernando, presentando il 5 maggio come prova di ammissione un Cristo crocifisso, oggi al Prado, ispirato alla Crocifissione dipinta da Mengs per l’appartamento di Carlo III nel palazzo di Aranjurez. Il dipinto, nella tradizione iconografica di analoghi esempi di Velázquez e Reni, di grande qualità e ammirato dai contemporanei, gioca con sottigliezza con il nudo maschile, levigato e non sanguinante secondo quel “buon gusto” allora in voga. Il volto, drammatico, indica il momento precedente la morte, mentre il corpo è sospeso alla croce da quattro chiodi, sotto un’iscrizione in ebraico, latino e greco. Con questo “nudo”, poi mandato nella chiesa di San Francisco el Grande, il pittore dimostrava di avere padronanza dell’anatomia umana e di conoscere le regole dell’iconografia religiosa.

Ma non aveva vita facile per i continui litigi con Francisco Bayeu. Nel 1780 aveva ricevuto l’incarico di decorare le volte della basilica del Pilar a Saragozza con i due cognati. Qui, dove anni addietro aveva già lavorato, avrebbe dovuto dipingere adesso, in una cupola della navata settentrionale, il motivo della “Madonna regina martyrum”. I bozzetti, aspramente criticati da Francisco, furono alla fine accettati e realizzati nel 1781, ma lasciarono forte tensione tra i due. Qualche tempo dopo Goya ha però la soddisfazione di veder criticato dal principe delle Asturie un quadro di Francisco eseguito per un altare della nuova chiesa di San Francisco el Grande, in gara con altri pittori emergenti. Goya in quell’occasione dipinge una grande tela con La predica di san Bernardino da Siena (1782-1783), impegnandosi al massimo, per tre anni, come scrive in una lettera.

Verso la metà degli anni Settanta aveva cominciato a far ritratti, un genere di eccellenza nel Settecento. Non gli mancavano esempi: nella collezione reale poteva trovare ritratti di Tiziano, Tintoretto, El Greco, Velázquez, Van Loo, Mengs, in Italia aveva apprezzato Batoni. Tra le prime prove note c’è un Autoritratto, databile intorno al 1773, dopo il viaggio in Italia e prima del definitivo trasferimento a Madrid. Conservato in una collezione privata madrilena, mostra un giovane in carne, leggera peluria su mento e labbra, sguardo profondo e penetrante. Trasferitosi a Madrid, sono immortalati dal suo pennello molti nobili, ritratti in pose ufficiali, ma già con un notevole scavo psicologico. Tra i primi, ancora sotto l’eco di Mengs, Il conte de Miranda del Castanãr (Madrid, Museo Lázaro Galdiano), rappresentato a trentatré anni in uniforme. Datato 1774, il dipinto inaugura uno schema ritrattistico, ripreso più volte, che sottolinea il potere del personaggio, la mano sinistra su un fianco, nell’altra il bastone del comando, su cui si legge l’iscrizione «Sr. Conde de Miranda, año 1774».



Ritratto della famiglia dell’infante don Luis di Borbone (1783); Mamiano di Traversetolo (Parma), Fondazione Magnani Rocca.

Più vicino a Velázquez appare l’importante ritratto, finito nel giugno 1782, di Antonio Beyan Monteagudo cattedratico di Huesca, dal 1766 presidente della Corte d’appello delle Asturie e membro dal 1782 nel Consiglio supremo di Castiglia. In quest’ultima occasione l’Università di Huesca decide di far ritrarre l’illustre professore da un pittore «di non grande fama» per non spendere troppo.

La commissione capita a Goya che lo ritrae in quell’anno settantaduenne, sottolineandone il ruolo. Rivestito da una toga nera con parrucca bianca, il volto pieno scavato di rughe, Monteagudo è ripreso nel suo ufficio, in mano lettere e documenti. Una grande scritta sul bordo inferiore del dipinto ne ricorda tutte le cariche.

Ancora idealizzato, ma con note naturalistiche nei volti degli effigiati, in un contesto raffinato di sete e ori, riflesso del prestigio del committente, è il ritratto del politico José Moñino conte di Floridablanca (Madrid, Banco de España), firmato e databile con certezza nel 1783. Colto nel momento in cui riceve un quadro da Goya (a sinistra, in veste sobria) alla presenza dell’architetto Francisco Sabatini, il conte, che fu legale della corte spagnola, ministro illuminato di Carlo III e ambasciatore presso la Santa Sede, è rappresentato più alto di quanto non fosse (in realtà era piuttosto basso), nel suo studio con a terra note di spese, progetti di canalizzazione o di costruzione di strade, il libro con il Trattato di pittura di Palomino e un prezioso orologio a pendolo. Sullo sfondo, il ritratto del re.


Cristo crocifisso (1780); Madrid, Prado.


Anton Raphael Mengs, Crocifissione (1765-1770 circa); Aranjuez, Palazzo reale.

Predica di san Bernardino da Siena (1782-1783); Madrid, San Francisco el Grande.


Annunciazione (1785).

Nell’agosto di quell’anno il pittore è invitato a fare il Ritratto della famiglia dell’infante don Luis di Borbone, oggi nella Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo (Parma), che ne è proprietaria dal 1974. Goya si ferma un mese nella tenuta di Arenas de San Pedro, presso Avila, centoquaranta chilometri dalla capitale, dove viveva il cinquantaseienne don Luis, fratello cadetto del re Carlo III, con la moglie Maria Teresa de Vallabriga y Rozas, più giovane di lui di trentun anni, i figli e la sua piccola corte. Nella dimora di campagna il pittore familiarizza con l’infante, che morirà un paio d’anni dopo: «Giungo ora da Arenas, molto stanco. Sua Altezza mi ha coperto di doni, io ho fatto il suo ritratto, quello della moglie, del figlio e della figlia, con un successo insperato perché altri pittori si erano già misurati, senza riuscirci, in questa impresa», scriverà al ritorno a Madrid all’amico Martin Zapater il 20 settembre 1783.


Autoritratto (1773 circa).


Antonio Beyan Monteagudo (1782); Huesca (Aragona), Museo de Bellas Artes.

Arcivescovo di Toledo e Siviglia, don Luis a ventitré anni aveva buttato la tonaca per darsi alla vita allegra e sposare molto più tardi Maria Teresa. In quell’atmosfera “fin-de-siècle”, Goya dipinge una grande tela, un flash su una delle serate della famiglia di don Luis, che gioca a carte su un tavolo verde accanto alla bella moglie in vestaglia, i lunghi capelli sciolti e curati da un cameriere. È attorniato da tre bambini, una balia, due dame di compagnia, cinque funzionari di corte, tutti con nome e cognome. Nel silenzio notturno il pittore, che si ritrae inginocchiato davanti al cavalletto, lavora al lume di candela. Ogni figura sembra gravata da un tragico presagio, sottolineato da ombre e luci. Era la fine di un’epoca. Qualche anno dopo la Rivoluzione francese avrebbe tagliato teste e corone. I nobili spagnoli, come tanti altri, erano pieni d’angoscia, sentivano la fine imminente. Interprete sottile di questo passaggio epocale, Goya svela tristezze e miserie di una società decadente e smarrita sotto abiti sfarzosi. Ogni volto nasconde l’ansia di un futuro incerto, quando nessun titolo avrebbe retto alla forza della ragione, della rivoluzione e del popolo inferocito.

Una delicata malinconia affiora anche dai volti pallidi dei Duchi di Osuna con i figli (Madrid, Prado), un altro capolavoro, che riprende due affezionati committenti di Goya, Pedro Téllez de Giron, nono duca di Osuna e la contessa-duchessa Josefa Alonso Pimentel, con i figli. I duchi, colti e impegnati politicamente, accoglievano a casa loro letterati e artisti. Il pittore li ritrae con luci soffuse, colori pastello, abiti di raffinata eleganza, sottolineando l’affetto che li legava, la mano del duca che stringe la manina di Josefa Manuela e la duchessa attorniata dai tre figli più piccoli.
Donne diafane, irrigidite in abiti di seta e pizzo, con fiori e nastri, ricoperte da parrucche vistose sotto enormi cappelli piumati, posano per il pittore. La Marchesa de Pontejos, moglie di Francisco Antonio Moñino, ambasciatore in Portogallo e fratello del conte di Floridablanca, è ritratta nel 1786 con il suo cagnolino, in un paesaggio verde abbastanza anonimo, per mettere in evidenza la sua eleganza e ruolo. Goya, ormai entrato nel milieu intellettuale più in vista della capitale, ritrae amici, infanti di ricche famiglie, economisti e aristocratici illuminati come Juan Martin de Goicoechea y Galarza o Gaspar Melchor de Jovellanos che frequentano la corte di Carlo III. I suoi committenti gli chiedono dipinti, anche religiosi, genere più raro nell’arte di Goya, in cui tuttavia il pittore si rivela un grande maestro. La splendida Annunciazione, del 1785, ordinata dal duca di Medinaceli per l’altare maggiore della cappella di Sant’Antonio del Prado, essenziale e innovativa, è un gioco di luci e colori dati con grandi impasti e pennellate accese sulla scia di Tiepolo.

I duchi di Osuna con i figli (1788); Madrid, Prado. Tra i committenti più affezionati a Goya ci furono i duchi di Osuna. Pedro Tellez de Girón e la duchessa di Benavente Josefa Alonso Pimentel si sposarono nel 1774 ed ebbero molti figli, ma sopravvissero solo i quattro rappresentati nel dipinto qui a fianco. Da sinistra: Francisco, il piccolo Pedro seduto che gioca con una piccola carrozza, Joaquina e Josefa Manuela, futura duchessa di Abrantes. Il pittore li ritrarrà tutti, anche singolarmente, più volte. Il gruppo compatto rivela il forte affetto che li lega e che il pittore descrive con tinte soffuse e di grande delicatezza. I colti duchi di Osuna, impegnati in politica, avevano un salotto letterario frequentato da intellettuali e artisti amici di Goya.


La marchesa de Pontejos (1786); Washington, National Gallery of Art. La marchesa di Pontejos, di nome Mariana, è ritratta sullo sfondo di un verde paesaggio idealizzato, secondo la tradizione francese e inglese, che sottolineava così la bellezza e l’importanza dell’effigiata. Sposata con Francisco Antonio Moñino y Redondo, fratello del conte di Foridablanca, la marchesa nata l’11 settembre 1762 è immortalata a ventiquattro anni, all’epoca del suo matrimonio. Una parrucca argentata in testa, in linea con l’elegante abito infiorettato con nastri di raso, la donna appare algida e impalata in un’immagine di circostanza, che ne sottolinea il ruolo sociale, la grazia, la ricchezza. Il cagnolino ai piedi è l’inevitabile simbolo di fedeltà.

GOYA
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Maurizia Tazartes
Un dossier dedicato a Francisco Goya. In sommario: Da Saragozza a Madrid attraverso l'Italia; Nobiltà "fin-de-siècle"; "Pintor del rey"; Stregonerie e capricci; Primo pittore di camera; Disastri, follie e Pitture nere. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione ricca di riproduzioni a colori, completa di un quadro cronologico e di una bibliografia.