Letture iconologiche
I protagonisti della Madonna dell’impannata di Raffaello

L’ETÀ DELL’AMORE
E L’ORA DEL DESTINO

Una lettura circostanziata aiuta a capire chi sono, davvero, le due figure femminili che accompagnano questa celebre Madonna di Raffaello, rivelando anche la possibilità di un’identità multipla. E restituisce il Bambino a una fanciullezza spensierata ancora lontana dall’ombra tragica del futuro.

Marco Bussagli

Chi scrive ha avuto modo di visitare la splendida, recente mostra romana dedicata al maestro urbinate nel giorno riservato alla stampa, cioè un momento prima che scattasse quello che con anglismo superfluo è stato definito “lockdown”(1). L’occasione offertami mi ha permesso di osservare da vicino (senza i successivi distanziamenti e percorsi obbligati) alcuni dei principali capolavori del grande artista, a cominciare dalla Madonna dell’impannata (1513-1514 circa) su cui vogliamo richiamare l’attenzione.

Fresca di un recente restauro, l’opera è stata esposta al secondo piano dell’itinerario espositivo nell’ambito della sezione dedicata all’attività del maestro urbinate nel corso del pontificato di Giulio II(2). La tela non rientra fra le committenze di papa Della Rovere giacché fu dipinta per Bindo Altoviti per il quale, come racconta Giorgio Vasari, Raffaello realizzò il bellissimo ritratto «e similmente un quadro di Nostra Donna che gli mandò a Fiorenza»(3). L’eclettico critico aretino ne dà una sommaria descrizione che ci permette d’identificare i personaggi della Vergine, di sant’Anna e del san Giovannino, salvo quell’«altra Santa ch’è bellissima anch’ella» che qui conviene individuare con sant’Elisabetta(4). In realtà la questione è più complicata perché c’è un’ambiguità iconografica nelle donne del dipinto, esclusa Maria che risulta inequivocabile. Proprio per questo non sembra sostenibile un’identificazione del personaggio femminile di sinistra con la santa Caterina d’Alessandria, riproposta anche recentemente. Lo impedisce l’assenza di ogni riferimento iconografico alla martire che, quando è tale, è accompagnata dalla ruota dentata con cui venne torturata. Anche le riflettografie e le radiografie che hanno corredato il restauro non hanno trovato alcun riferimento del genere, a fronte della presenza, invece, di un ipotetico san Giuseppe e di un misterioso volto di profilo non riconoscibile(5). Sull’identità dei personaggi, torneremo a breve, ma per ora va notato che Vasari restituisce con enfasi il brio che attraversa la figura di Gesù, «di tanta bellezza ne l’ignudo e nelle fattezze del volto che nel ridere rallegra chiunque lo guarda»(6).

(1) La mostra va sicuramente annoverata fra gli eventi culturali di questo primo ventennio del XXI secolo per concentrazione e qualità delle opere. Tuttavia, alcune criticità, vista la rilevanza epocale di quest’esposizione (prorogata fino al 30 agosto di quest’anno), penso vadano segnalate, a cominciare dall’uso singolare delle date di nascita e di morte dell’artista utilizzate nel titolo della mostra. Al Raffaello 1520- 1483 (che prefigura un pittore morto prima di nascere) si poteva preferire un Raffaello 1520-2020 che avrebbe reso immediatamente chiaro il significato della mostra, e che avrebbe comunque giustificato il percorso dell’esposizione che si dipana all’indietro, dalla morte dell’artista fino alle prime opere. Anche il mastodontico ed elegante catalogo edito da Skira ha qualche limite giacché non pare chiaro il motivo per cui opere dell’importanza della Fornarina, della Visione di Ezechiele o della Madonna del granduca siano prive di schede. Infatti, non sempre la presenza delle esaustive schede sul bozzetto autografo o sullo studio grafico relativi all’opera riescono a colmare l’assenza.

(2) Il catalogo dedica al periodo un contributo di Achim Gnann (L’attività di Raffaello sotto papa Giulio II, in Raffaello 1520-1483, catalogo della mostra a cura di M. Faietti, M. Lafranconi, F. P. Di Teodoro, V. Farinella, Roma, Scuderie del Quirinale, 5 marzo - 2 giugno 2020, Milano 2020, pp. 359-421). Sul recente restauro: C. Frosinini, L. Gusmeroli, Il restauro della Madonna dell’Impannata di Raffaello delle Gallerie degli Uffizi. Nuove indagini e ricerche per la comprensione dell’opera, in Raffael als Zeichner / Raffaello disegnatore, a cura di A. Gnann e M. Faietti, atti del Colloquio internazionale Albertina Museum Vienna, in collaborazione con le Gallerie degli Uffizi, Firenze (Vienna, Albertina 21-22 novembre 2017), Firenze 2019, pp. 195-218. Per le radiografie e riflettografie: ivi, pp. 200-209.

(3) Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, a cura di M. Marini, Roma 1991, p. 635.

(4) Ibidem.

(5) L’identificazione con santa Caterina d’Alessandra è proposta da: A. Gnann, scheda IX, 22 in Raffaello 1520-1483, cit., p. 418.

(6) Vasari, op. cit., p. 635.

Raffaello voleva dipingere il Cristo con l’aspetto di un bimbetto a cui fossero da poco caduti i denti da latte


Tuttavia, né Vasari, né gli altri autori che si sono occupati dell’opera hanno appuntato la loro attenzione sulla bocca del Salvatore fanciullo. La posizione privilegiata di cui ho potuto usufruire nel corso di quella fortunata visita, mi ha messo nelle condizioni di poter osservare, senza ombra di dubbio, che Raffaello volesse dipingere il Cristo con l’aspetto di un bimbetto a cui fossero da poco caduti i denti da latte. Quelle che si vedono, al di sotto del labbro superiore, sono infatti gengive, oltretutto gonfie per la nascita imminente dei denti permanenti. Dal punto di vista anatomico, questa è un’indicazione precisa sull’età del divino fanciullo. Com’è noto, infatti, la dentizione umana si caratterizza per due fasi. La prima riguarda la nascita dei denti decidui o “denti da latte”, che sono venti, ovvero dieci per l’arcata inferiore e dieci per la superiore. La loro eruzione inizia con la comparsa del primo incisivo (inferiore, in genere) fra i sei e i nove mesi di età e termina con la comparsa dei “molarini” decidui tra il ventiquattresimo e trentesimo mese di vita. Quando questa prima dentizione è conclusa, perciò, il bambino ha superato di sei mesi i due anni di età e il suo aspetto non corrisponde certo a quello del ragazzino dipinto da Raffaello. I denti permanenti sono già formati e, a partire dai sei anni, spingono da sotto quelli decidui che iniziano a cadere per lasciar posto agli altri. Il risultato sono dei simpatici spazi vuoti che presto saranno riempiti. Il processo è molto più lungo del precedente e si sviluppa per altri sei anni, fino alla comparsa dei canini superiori e dei secondi molari, che compaiono fra i dodici e i tredici anni di età. La prima fase di permuta, che rappresenta il passaggio dalla dentatura decidua a quella vera e propria, prevede una fase, detta mista, fra i sei e gli otto anni, nel corso della quale si assiste alla graduale esfoliazione degli incisivi decidui e all’eruzione dei primi molari e degli incisivi centrali e laterali. Pertanto, può accadere che, nel corso di questa fase evolutiva, intorno ai sette anni, gli incisivi decidui siano caduti entrambi e quelli permanenti non siano ancora comparsi lasciando un singolare, ampio spazio vuoto al centro della bocca(7). È esattamente quello che è successo al bimbetto divino dipinto da Raffaello.
Senza esaminare tutta la letteratura medica dell’epoca, sarà sufficiente ricordare che un testo medievale ampiamente diffuso come il Régime du corps di Aldobrandino da Siena, scritto in francese nel XIII secolo, ma poi tradotto in latino, italiano e fiammingo, prende in esame proprio il processo di odontogenesi per individuare l’età di un bambino. Come nota Angela Giallongo, il medico senese «riteneva insufficiente la teoria delle quattro età, e che “per parlare un poco più sottile” bisognava riconoscerne almeno sette, cioè la “prima infancia” caratterizzata dalla comparsa dei denti, la seconda “adpellata dentium plantaviva è quando i denti sono venuti e dura fino ai sette anni.


Piero della Francesca, Polittico di Sant’Antonio (1460-1470 circa), Perugia, Galleria nazionale dell’Umbria; dettaglio del pannello destro con le figure di san Francesco e santa Elisabetta.

La terza è puericia e dura fino ai quattordici anni”»(8). Il bambino dipinto dal Sanzio, perciò, da un punto di vista strettamente pedagogico e anatomico è un “puer” riconosciuto come tale che si affaccia all’età della “puericia”. Questo particolare fa dell’opera di Raffaello un “apax” dal punto di vista iconografico e simbolico che non solo rivela un’attenzione per nulla marginale alle teorie pedagogiche e di puericultura dell’epoca, ma richiama - interpretandolo in modo originale - un tema teologico tipico su cui si tornerà brevemente alla fine di questo scritto(9).

Intanto, quello che interessa sottolineare è che l’identità delle due donne, ancorché di sicuro sante, viste le aureole che ciascuna di loro esibisce, non è per nulla chiara. Sia sant’Anna, sia sant’Elisabetta, per quel che apprendiamo dai Vangeli, dovevano essere attempate e qui, in certo senso, c’è una giovane di troppo. Uno spiraglio si apre se si prova a immaginare che le due figure non rappresentino un unico personaggio, ma alludano a figure diverse accomunate dallo stesso nome. È il caso di sant’Anna, la madre di Maria, che potrebbe riferirsi anche alla profetessa Anna di cui parla il Vangelo di Luca. Si sa che la donna «non lasciava mai il tempio servendo il Signore giorno e notte»; anzi «lodava Dio e parlava del bambino a tutti quelli che attendevano la redenzione di Gerusalemme ».


L’identità delle due donne non è per nulla chiara


Piero della Francesca, Madonna di Senigallia (1470-1485), Urbino, Galleria nazionale delle Marche.

(7) G. Gagliano, Compendio di Igiene e Puericultura con nozioni di anatomia e fisiologia, Torino 1974, pp. 35-54. Si veda pure: D. Caporossi, G. Grippaudo, s.v. Denti, in L’Universo del corpo, III, Roma 1999, pp. 131-140.

(8) A. Giallongo, Il bambino medievale. Educazione ed infanzia nel Medioevo, Bari 1997, p. 22.

(9) Vale la pena di rammentare l’interesse e la sensibilità di Giovanni Santi nei confronti della disciplina pedagogica, come ha messo in evidenza, di recente, Silvia Ginzburg: Sull’educazione di Raffaello, in Raffaello e gli amici di Urbino, catalogo della mostra (Urbino, 8 ottobre 2019 - 19 gennaio 2020), a cura di B. Agosti, S. Ginzburg, P. Aufreiter, Roma 2019, pp. 18-19.

Il «bambino», come ovvio, era Gesù, che vide quando i suoi genitori lo presentarono al tempio per la circoncisione, ma - forse - anche quando vi ritornò per discettare con i dottori. Il riferimento alla profetessa, infatti, è posto dall’evangelista proprio fra i due episodi. La donna, precisa san Luca, «era vissuta sette anni col marito dopo la sua verginità, rimanendo poi vedova fino all’età di ottantaquattro anni» (10).

Dopo i tempi di dentizione che abbiamo esposto, il riferimento ai sette anni non sembra così casuale. Pertanto Anna potrebbe essere sia la madre della Vergine, sia la profetessa che magnifica il bimbo divino. L’altra santa dovrebbe essere Elisabetta, la madre del piccolo san Giovanni che è poco più grande di Gesù. Gli potremmo attribuire, infatti, tredici anni e se potessimo vederne i denti, ne avremmo conferma. Certo la presenza del Battista costituisce un potente attributo iconografico per la donna. Perché allora Vasari manifesta i suoi dubbi? La risposta sta nello stesso Vangelo di Luca che ci narra come la sposa del sacerdote Zaccaria fosse «sterile» e «avanti negli anni»(11). Certo la bellissima figura dipinta da Raffaello non suggerisce queste due condizioni.


Raffaello, Madonna della seggiola (1513-1514 circa), particolare, Firenze, Galleria palatina.

Ciò non toglie che il legame con il san Giovanni sia potentissimo, anche perché nella composizione la donna si trova sulla stessa diagonale del Precursore, come sant’Anna sta su quella che la lega a Maria sua figlia.

Allora, una soluzione possibile è che si sia voluto alludere anche a un’altra Elisabetta nei confronti della quale il sentimento di devozione era altrettanto importante. Potrebbe trattarsi di santa Elisabetta d’Ungheria che non sempre viene rappresentata con la sua corona da principessa, in quanto figlia di Andrea, sovrano magiaro. Dopo aver dato alla luce tre figli (fra cui una di nome Sofia) ed essere rimasta vedova, si fece suora francescana, si prodigò per costruire un ospedale a sue spese, occupandosi dei poveri e morendo lei stessa in povertà (12).

Naturalmente, si tratta di un’ipotesi che attende conferme dall’auspicabile indagine sulla vita del committente; come pure per l’altra ipotesi, avanzata da Frosinini e Gusmeroli, molto più sensata di quella di santa Caterina, che pensano si tratti di santa Brigida e che, peraltro, ha degli aspetti che coincidono con la proposta di chi scrive nel copricapo, giacché per le due studiose rimanda alla cuffia brigidina, mentre la mia proposta è che sia di foggia infermieristica(13).

(10) Vangelo di san Luca, II, 36-39.

(11) Ivi, I, 6.

(12) Su santa Margherita d’Ungheria: A. Butler, Lives of the Fathers, Martyrs, and other principal Saints, London 1999, tr. it., I Santi secondo il calendario. Novembre- Dicembre, XX, Casale Minferrato 2006, pp. 214-220.

(13) C. Frosinini, L. Gusmeroli, op. cit., pp. 197-198.

Piero della Francesca, Pala di Brera (1472-1474), particolare, Milano, Pinacoteca di Brera. Si notino la seconda e la terza figura da sinistra (san Bernardino e san Girolamo) e, nella parte destra, la terzultima e la penultima (san Francesco e san Pietro martire).

Del resto, Raffaello doveva ben conoscere l’iconografia di santa Elisabetta senza la corona se Piero della Francesca nel bellissimo Polittico di Sant’Antonio a Perugia la rappresenta nell’abito delle terziarie del frate di Assisi. Certo, la santa Elisabetta di Raffaello non indossa il saio francescano, ma - nella mia ipotesi - il personaggio non è “solo” la principessa di Ungheria, ma anche la madre del Battista, così come la sant’Anna non è “solo” la profetessa, ma pure la madre di Maria; altrimenti non avrebbe l’aureola.

Proprio da Piero, Raffaello doveva aver imparato questo singolare sistema di “sovrapposizione”, come dimostrano i santi della Pala di Brera con il volto di san Bernardino da Siena prestato a san Girolamo e quello di san Pietro martire prestato a un glabro san Francesco. Varrà allora la pena di ricordare che il giovane Raffaello vide la tavola di Piero proprio a Urbino nella chiesa di San Bernardino degli Zoccolanti, dove il capolavoro rimase fino al 1810 (14). Oltretutto, è proprio il tema dell’impannata (la finestra con specchiature in tela) che rimanda a un altro capolavoro del pittore di Sansepolcro: quello della Madonna di Senigallia la cui finestra sullo sfondo a sinistra allude alla divina incarnazione, proprio come il panno che sostituisce il vetro in quella di Raffaello diviene simbolo della venuta di Dio fra gli uomini.


A questo punto, si capisce perché Gesù sia ancora “sdentato”. La risposta sta nella celeberrima Madonna della seggiola di Raffaello il cui san Giovanni Battista, schiudendo le labbra, lascia vedere - mai notato da nessuno - il quinto incisivo (o “mesiodens”) che indica la missione salvifica di Cristo, preannunciata dal Battista e, per questo, qui fatto proprio dal Precursore(15). Allora, il bambino Gesù della tavola dipinta per il colto Altoviti mostra la gioia spensierata di un tempo che potremmo chiamare “l’età dell’amore” perché lontano dall’ombra del destino. Un destino che il giovane Battista, invece, già conosce (ha tutti i denti) e preannuncia, pure puntando il dito indice di leonardesca memoria verso il Cristo. Non è un caso che san Gerolamo, in una delle sue epistole, spieghi che il bambino in generale «è da lodarsi più per quanto lascia sperare che per quel che è»(16). Allora, in definitiva, il capolavoro di Raffaello, sicuramente autografo, è una sorta d’inno alla speranza di salvezza e un augurio per le nozze di Bindo Altoviti che, in quegli anni, sposò Fiammetta Soderini.

(14) Il significato profondo di questa scelta “replicante” è che la santità trafigge il mondo e le epoche. Sulla Pala di Brera: M. Bussagli, Piero della Francesca, Firenze 2017, pp. 40-45.

(15) Quello del piccolo Battista di Raffaello con il “mesiodens” non è un caso isolato, ma rientra in una tradizione documentata (che spero di aver modo di pubblicare a breve), da Desiderio da Settignano a Giovanni Bellini, fino allo stesso Raffaello che la impiega nuovamente nel San Giovanni degli Uffizi, come ho avuto modo di controllare a distanza di naso nella mostra del Quirinale. Sul significato teologico del “mesiodens”: M. Bussagli, I denti di Michelangelo. Un caso iconografico, Milano 2014; si veda pure: Idem, La bocca della verità, in “Art e Dossier”, n. 319, 2015, pp. 58- 61. Sulla Madonna di Senigallia: M. Bussagli, scheda 144, in C. Strinati, M. Bussagli (a cura di), Il ’400 a Roma. La rinascita delle arti da Donatello a Perugino, II, Milano 2008, pp. 225-226.

(16) San Girolamo, Lettera CXXVIII, 1.

ART E DOSSIER N. 380
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OTTOBRE 2020
In questo numero: L'ORO di Fabrizio Plessi in esclusiva per la copertina di 'Art e Dossier'. SE I PITTORI GUARDANO IL CIELO: Le stelle di Van Gogh. Quando l'arte parla del clima. IN MOSTRA: Plessi a Venezia; Barbieri ad Astino; Christo a Parigi; Magnani a Mamiano di Traversetolo. Direttore: Philippe Daverio