Studi e riscoperte. 2
L’analisi climatologica dei dipinti

METEO
DA MUSEO

Il riscaldamento globale ha posto il clima tra i problemi più acuti del nostro tempo. Variazioni climatiche significative, estese a territori sufficientemente ampi producono effetti sulla vita delle persone. Qualche studioso si è posto la domanda se anche le arti possano esserne influenzate. E se le opere d’arte possano in qualche caso parlarci del tempo.

Claudio Pescio

C'è stato un momento in cui i musei pullulavano di climatologi. Trascuravano ritratti, arte sacra e nature morte per affollarsi soprattutto attorno ai paesaggi. Uno di loro, Hans Neuberger, nel 1967 esaminò dodicimila quadri di quarantuno musei europei e statunitensi, li classificò per gruppi sulla base della provenienza geografica e li sottopose a un’indagine che prevedeva conteggio delle nuvole che vi erano dipinte, loro categorizzazione (cumuli, cumulonembi, cirrostrati…) ed estensione, analisi della colorazione del cielo, valutazione della visibilità ambientale. Lo scopo era capire se un dipinto poteva essere usato come dato attendibile per stabilire la situazione climatica di un luogo in un determinato periodo e, su più ampia scala, contribuire a confermare le informazioni sulle fluttuazioni climatiche derivate da altre fonti.
L’assunto è che il clima condiziona la produzione di opere d’arte. Affermazione vicina alla banalità nel caso se ne derivi soltanto, per esempio, che un pittore realizzerà paesaggi diversi a seconda di dove si trova e del periodo dell’anno in cui dipinge. Ma questo tipo di ricerca conduce anche sul terreno scivoloso dello statuto dell’opera d’arte: fino a che punto è lecito usare un dipinto come un documento? Cercare di trarre informazioni scientifiche (o economiche, religiose, tecnologiche…) da un’opera d’arte mette a rischio la possibilità di continuare a considerarne il valore estetico? Fino a che punto ci si può spingere nel forzare le intenzioni dell’artista?

Non è questo il luogo per entrare nel merito della dimensione ermeneutica delle opere d’arte. È qui sufficiente condividere il dato che ogni artefatto umano è di per sé un “documento”, leggibile a diversi livelli e per diversi scopi. Tutti condizionati dai filtri culturali, ideologici, storici del “lettore”, dalle sue tecniche di indagine, intenzioni e nozioni. Questo assunto rende dunque lecito cercarvi prove relative al clima quanto, per esempio, pretendere di cercarvi “bellezza”.

L’analisi dei dipinti può aiutare nella ricostruzione di un contesto climatico

Restiamo quindi nell’ambito della pittura realista storicizzata (chiaramente il discorso non vale per un dipinto astratto, per esempio) e circoscriviamo questa nostra breve ricostruzione ai tentativi di fornire, attraverso l’analisi di opere d’arte, nuovi dettagli e conferme a una periodizzazione climatica già ben definita attraverso altri tipi di indagine: la cosiddetta Piccola era glaciale.

Si trattò di un periodo piuttosto lungo - compreso fra il XIV e il XIX secolo - in cui, dopo una fase “calda” chiamata Optimum climatico medievale si consolidò una situazione in cui le medie delle temperature scesero significativamente. Questo significò crisi frequenti della produzione agricola, carestie, morie di bestiame, difficoltà nelle comunicazioni, calo demografico; sul piano geofisico corrispose alla massima avanzata dei ghiacciai alpini e della banchisa artica, a gelate dei corsi d’acqua interni e delle zone costiere. Dalla metà dell’Ottocento il clima è poi tornato a scaldarsi, al punto che molti ghiacciai stanno ormai scomparendo.


Pieter Brueghel il Vecchio, Giornata buia (1565), Vienna, Kunsthistorisches Museum.

Il clima ha dunque un impatto sulla società. Ma oggi sappiamo che può accadere anche il contrario: la società, le attività umane possono avere un effetto sul clima. Ed è sempre più diffusa la consapevolezza che industrializzazione, produzione di gas serra, incremento demografico, deforestazione producono cambiamenti climatici in una misura mai osservata prima.

La Piccola era glaciale (il termine fu introdotto alla fine degli anni Trenta del XX secolo) non fu un fenomeno costante e sistematico, e nemmeno globale; riguardò soprattutto Europa e America del Nord; ed ebbe la sua fase più dura tra il 1570 e il 1730. Sulle possibili cause non ci sono certezze: diminuzione dell’attività solare, eruzioni vulcaniche con conseguente diffusione di polveri nell’atmosfera, alterazioni delle correnti oceaniche?

Tra i pionieri dello studio del clima in prospettiva storica c’è Emmanuel Leroy-Ladurie, che tra i primi incrociò considerazioni di natura culturale con i dati quantitativi disponibili, deducibili dai documenti conservati a livello locale - date delle vendemmie, alluvioni, qualità del vino, fluttuazione dei prezzi del grano - e anche da rilevazioni termometriche, svolte in modo più o meno costante, in alcuni territori d’Europa, a partire dalla seconda metà del XVII secolo.


Thomas Wyke, Frost Fair sul Tamigi (1683-1684).

Ma torniamo a Neuberger e agli studiosi che si sono avventurati nelle stesse modalità di analisi. Uno degli ambiti culturali più generosi di informazioni è stata la pittura fiamminga e olandese dei secoli XVI-XVII, popolata di paesaggisti di rigoroso realismo. I documenti relativi a quei territori parlano di eserciti che nella guerra dei Trent’anni invadevano interi territori camminando sul ghiaccio di canali gelati. I dipinti di Hendrick Avercamp e di Aert van der Neer raccontano come la vita quotidiana di contadini e commercianti potesse svolgersi anche su quei canali trasformati in piste di pattinaggio. Pieter Bruegel, con i suoi ampi paesaggi innevati a far da sfondo a scene di caccia, di lavori nei campi, ma anche a scene tratte dalle Scritture è apparso a molti uno dei più attivi informatori meteo del suo tempo.

In Inghilterra il Tamigi gelò con una certa frequenza tra il 1600 e il 1814, a volte anche per due mesi di seguito. I londinesi organizzavano Frost Fairs sul fiume ghiacciato con banchi di vendita, pub, piste di pattinaggio, spettacoli. Se ne hanno testimonianze visive in alcuni dipinti secenteschi di Thomas Wyke. L’ultima volta che fu possibile una fiera del genere, nel 1814, vi si svolse anche una parata con un elefante. Un celebre dipinto di Henri Raeburn del 1790 circa, ambientato in Scozia, mostra tutta la familiarità con le superfici ghiacciate che univa fra loro cittadini britannici di classi diverse.


Hendrick Avercamp, Scena sul ghiaccio presso una città (1615), Londra, National Gallery.

In Inghilterra il Tamigi gelò con una certa frequenza tra il 1600 e il 1814

Uno studioso italiano, Dario Camuffo, ha recentemente dato un interessante contributo all’analisi del rapporto fra clima e cultura. In particolare ha studiato i casi di congelamento della laguna veneta in epoca storica, testimoniati anche in alcune opere settecentesche. A volte (nel 1708 e nel 1789, per esempio) i canali veneziani ghiacciavano e vi si poteva camminare sopra; in qualche circostanza si poteva andare in carrozza da Mestre a Venezia.

Anche gli studi sul fenomeno dell’acqua alta hanno trovato qualche utilità dal confronto tra il livello dell’acqua nei dipinti di Canaletto (che, ricordiamolo, aveva dalla sua l’“oggettività” dell’uso della camera oscura) con i livelli medi misurati oggi nello stesso luogo. Confronti che hanno confermato il trend di affondamento del terreno che procede inesorabile: molti dettagli riportati dal pittore sono oggi diventati invisibili, sommersi dalle acque dei canali. E parliamo di sessanta-ottanta centimetri in duecentocinquant’anni.


Abraham Hondius, Il Tamigi ghiacciato (1677), Londra, Museum of London.

L’analisi dei dipinti può aiutare nella ricostruzione di un contesto climatico. Soprattutto nei casi di scarsa disponibilità di dati: i rilevamenti affidabili, strumentali, sono cosa recente e sporadica, per cui ogni “documento”, anche un dipinto, può servire.

Ci sono però delle controindicazioni e delle avvertenze da seguire. Hanno a che fare con le intenzioni e le scelte di chi dipinge, spesso e comprensibilmente del tutto autonome dal clima effettivo del momento.

I paesaggisti dei Paesi Bassi, per esempio, sono particolarmente prolifici perché lavorano per un mercato interessato a quei prodotti. Ma, in quanto tale, il mercato detta i criteri, e non è affatto detto che l’innegabile tendenza della pittura olandese e fiamminga all’oggettività non ceda mai alla necessità di andare incontro al gusto corrente, che magari preferisce certe composizioni di elementi e non altre. La copertura della tela in un paesaggio olandese secentesco - pensiamo a Jacob van Ruisdael, o a Jan van Goyen - prevede che circa due terzi della superfice dipinta siano occupati dal cielo. Solo che quei cieli - come ha stabilito uno studio di John Walsh del 1991 (Skies and Reality in Dutch Landscape Painting) - mostrano una sospetta predilezione per i cumuli rispetto ai cirri o ad altre tipologie. La ragione è nella maggiore “drammaticità” che quei nuvoloni carichi di pioggia riescono a conferire alla composizione, pur restando nel dosaggio di credibilità e realismo che il target chiede.


Anonimo da incisione di Vincenzo Corelli, La laguna ghiacciata alle Fondamenta Nove nel 1708 (inizi del XVIII secolo), Venezia, pinacoteca Querini Stampalia.

L’artista seleziona; non sa che fra trecento anni un meteorologo gli chiederà di rendere conto di che tempo faceva in quel determinato giorno, pensa solo al buon risultato del suo lavoro e al cliente potenziale. Un’opera d’arte riflette le tendenze e lo stile di un periodo culturale, non solo le condizioni fisico-ambientali del contesto; inoltre le scelte dei colori dipendono anche dalle dotazioni disponibili in quel tempo.

Queste considerazioni valgono in generale. Le nevi di Bruegel vanno bene per qualunque inverno dei Paesi Bassi, non sono necessariamente un portato della Piccola era glaciale (e a contraddire ogni pretesa di assoluto realismo ci sono anche tutte quelle montagne, manifestamente incompatibili con la realtà del paesaggio fiammingo).

È per questo - oltre che per la disponibilità attuale di tecnologie più affidabili, come l’analisi dei sedimenti o i carotaggi - che i climatologi hanno finito per uscire dai musei.

Eppure l’idea di poter usare il quadro per “entrare” in una finestra temporale e cogliere qualcosa che è entrato a far parte dell’opera, magari all’insaputa del pittore, mantiene un certo fascino. È il caso, per esempio, di un fenomeno che si verificò nel 1883, dopo l’eruzione del vulcano indonesiano Krakatoa.


Jacob van Ruisdael, Il mulino a vento di Wijk (1670 circa), Amsterdam, Rijksmuseum.

In mezzo mondo una colorazione rossastra modificò sensibilmente l’aspetto del cielo a causa dei miliardi di tonnellate di ceneri disperse nell’atmosfera dall’eruzione. Ne parlarono i giornali, l’effetto si vedeva soprattutto al tramonto. Quella colorazione fu fissata visivamente, per esempio, in alcuni pastelli di William Ascroft eseguiti sulle rive del Tamigi. In Norvegia Edvard Munch ne fornì una descrizione in una pagina del suo diario nel 1892: «Il sole calava [...]. Sembrava una spada infuocata di sangue che tagliasse la volta celeste. Il cielo era di sangue [...]. Esplodeva il rosso sanguinante - lungo il sentiero e il corrimano - mentre i miei amici assumevano un pallore luminescente - ho avvertito un grande urlo». Una perfetta descrizione del suo dipinto più famoso, L’urlo, appunto, del 1893.

Nel 2007 Christos Zerefos, capo del Centro di fisica atmosferica e climatologia di Atene, ha sottoposto alcune centinaia di dipinti degli ultimi quattrocento anni - eseguiti in periodi coincidenti con eruzioni vulcaniche - a un’analisi strumentale sulla base dell’indice cromatico rosso/verde. Ebbene, i risultati hanno mostrato una significativa correlazione tra i livelli di rosso presenti nelle atmosfere riprodotte nei quadri e gli effetti delle eruzioni. Basta chiedere, a volte l’arte risponde.

Approfondimenti - E. Leroy-Ladurie, Les fluctuations du climat de l’an Mil à aujourd’hui, Parigi 2011 (I ed. 1971); D. Camuffo, Clima e uomo, Milano 1990; W. Behringer, Storia culturale del clima, Torino 2013.

ART E DOSSIER N. 380
ART E DOSSIER N. 380
OTTOBRE 2020
In questo numero: L'ORO di Fabrizio Plessi in esclusiva per la copertina di 'Art e Dossier'. SE I PITTORI GUARDANO IL CIELO: Le stelle di Van Gogh. Quando l'arte parla del clima. IN MOSTRA: Plessi a Venezia; Barbieri ad Astino; Christo a Parigi; Magnani a Mamiano di Traversetolo. Direttore: Philippe Daverio