Studi e riscoperte. 1
I cieli notturni di Van Gogh

VORTICI
DI STELLE

In questo mese di ottobre arriva in libreria Sulle tracce di Van Gogh, viaggio nei luoghi dove Vincent dipinse i suoi capolavori. Abbiamo chiesto all’autrice di parlarci di uno dei “paesaggi” più insoliti che ispirarono l’artista olandese.

Gloria Fossi

«Un cielo stellato di notte», simile a «un prato di giorno, disseminato di fiori gialli di tarassaco ». Così Van Gogh immagina le stelle, il 12 aprile 1888, ad Arles, in Provenza. Alla sua «necessità» di raffigurare gli astri accenna spesso nelle sue lettere, soprattutto in quei mesi. Il 19 giugno riferisce all’amico Émile Bernard di un dipinto col cielo stellato che «gli dà molto pensiero», e che non sa se mai riuscirà a realizzare. Per questo, citando dal romanzo di Joris-Karl Huysmans En ménage (1881) ammette, fra l’ironico e il mesto, che «i quadri migliori sono quelli che si sognano a letto, fumando la pipa, e non si faranno mai». Ma no, Vincent si sbaglia, perché poco dopo comincerà a dipingere il cielo stellato dei suoi sogni. Non uno, almeno cinque(1).
Intanto, fra 9 e 14 settembre, scrive alla sorella Wil: «Voglio assolutamente dipingere un cielo stellato. Penso spesso che la notte sia colorata in modo ancor più ricco del giorno, tinta di violetti, di blu, e dei verdi più intensi». Non pare un atteggiamento mistico né onirico o allucinato, né tantomeno estraneo alle istanze del tempo, come ancora afferma chi cavalca il luogo comune dell’artista eroico e incompreso, oggi idolatrato.

La pittura affascinante di Van Gogh è segno di un talento particolarissimo, tuttavia ben compreso, ai suoi tempi, da artisti come Gauguin e Toulouse-Lautrec, nonché da geniali critici come Octave Mirbeau, fra i suoi primi collezionisti, e come il giovane George-Albert Aurier. Se evitiamo la retorica dell’eroe, possiamo riconoscere che le ricerche infaticabili di Vincent, la sua ossessione per la pittura sono tutt’altro che uniche nella storia dell’arte. Inoltre la sua inconfondibile poetica fu anche influenzata dalla cultura e dalla scienza contemporanea.

Per quanto riguarda poi la fascinazione per il cielo stellato, essa è antica quanto l’essere umano. Dal Paleolitico in poi, il cielo, le stelle, la luna sono stati spunti poetici ed emblematici, ma anche esercizio pittorico fra i più difficili: una sfida. In tempi vicini a Vincent, citiamo perlomeno i cieli stellati di Jean-François Millet o di Whistler. Certo, Vincent sarà capace, su questo tema, di creare capolavori inarrivabili. Ma avrà dei punti di riferimento. E delle suggestioni astronomiche. Fra i suoi primi esperimenti, ricordiamo, il 16 settembre 1888, Caffè-terrazza di notte (Otterlo, Kröller-Müller Museum). Poi, fra 20 e 30 settembre dello stesso anno, Notte stellata sul Rodano (Parigi, Musée d’Orsay). L’iconico dipinto, preceduto da uno schizzo, è in buona parte realistico, nell’allineamento degli astri, con l’Orsa maggiore ben riconoscibile. Lo hanno precisato per primi lo storico dell’arte Albert Boime e Charles A. Whitney dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics(2).


Rielaborazione grafica di una fotografia del lungofiume di Arles, con Notte stellata sul Rodano di Vincent van Gogh.

La città vecchia di Arles all’orizzonte appare illuminata dall’Orsa maggiore e dai lampioni a gas del lungofiume che si riflettono sulle acque increspate. Tutto è reale: le due barche ormeggiate presso uno sperone di terra in primo piano, sul quale un uomo e una donna si volgono allo spettatore. Sul web circola la “boutade” che la coppia sia sospesa, in volo sull’acqua, quasi fosse un sogno di Chagall. Invece, l’attendibilità della veduta, compresa la coppia coi piedi saldamente per terra, è confermata dalla rielaborazione grafica di Sansai Zappini, che ha “riunito” per noi la parte superiore del dipinto con quella inferiore dello scatto in bianco e nero di Mario Dondero e Danilo De Marco.

Tuttavia, i dati astrofisici attestano che Vincent si prese una licenza poetica, dato che l’allineamento di quelle stelle ad Arles, fra il 20 e il 30 settembre 1888, non era osservabile sopra la città vecchia bensì alle spalle del pittore, il quale evidentemente adattò la realtà visibile a necessità compositive. Il 13 luglio di un anno dopo, a Saint-Rémy-de-Provence, dove la luna sorse, quella sera d’estate, alle 21.08, come ha precisato l’astrofisico texano Donald Olson(3), Vincent dipingerà Luna che sorge (Otterlo, Kröller-Müller Museum).


Alla meravigliosa “nebulosa a spirale” della costellazione dei Canes venatici s’ispira quel vortice che pare un sogno

La “nebulosa a spirale” della costellazione dei Canes venatici, da Amédée Guillemin, Le Ciel. Notions d’Astronomie à l’usage des gens du monde et de la jeunesse (Parigi 1864, prima edizione), fig. 171, p. 480.

Poi, fra 12 e 15 maggio 1890, Sentiero con cipresso sotto il cielo stellato e finalmente, a giugno, l’iconica Notte stellata (ora al MoMA di New York). Poi, il 16 giugno, ad Auvers- sur-Oise, Casa bianca («una casa bianca nel verde dei campi, con una stella nel cielo di notte e una luce arancione alla finestra»). La stella raffigurata è Venere, il più brillante degli astri visibili ad Auvers quel giorno, a quell’ora. Cieli simbolici? Forse, in qualche caso, ma non solo. Risultato visionario dell’infaticabile ricerca di un artista-eroe? Vincent dipinse le stelle per un bisogno intimo, poetico, esistenziale? S’ispirò a “scrittori di cieli stellati” come Walt Whitman o Daudet? Certo è suggestivo quel suo bizzarro ragionamento sul «pittore farfalla» che dopo la morte svolazza su una delle innumerevoli stelle del cielo, dato che «su una stella si può salire solo tramite la morte», come i «punti neri» (ovvero i luoghi) delle carte geografiche si raggiungono da vivi «prendendo una corriera». Tuttavia, aggiunge, «il ragionamento scientifico mi pare un mezzo che in futuro ci porterà molto lontano».


Incisione riproducente il grande telescopio di Lord Rosse a Parsonstown in Irlanda, dallo stesso volume, fig. 214, p. 520.

Dunque, la scienza: Van Gogh, da uomo ben saldo nel suo tempo, non ignorava le recenti scoperte degli «oggetti del profondo cielo», come aveva chiamato le nebulose lo scienziato Charles Messier nel 1773. Ai tempi di Vincent, in effetti, la scienza delle stelle aveva fatto passi da gigante, e riviste popolari come “L’Illustration”, “Astronomie populaire”, o i libri sul cielo del divulgatore Amédée Guillemin e dello scienziato Camille Flammarion riportavano sensazionali scoperte. A una di queste, la meravigliosa “nebulosa a spirale” M51 della costellazione dei Canes venatici, scoperta da Messier ma disegnata per la prima volta nel 1845 dall’astronomo Lord Rosse in Irlanda, s’ispira quel vortice che pare un sogno, nella Notte stellata del MoMA: oggi la chiamiamo Galassia Vortice M51 (M sta per Messier). Potremmo ribattezzarla Galassia Vincent. Anche perché, nel 1892, quel vortice di Van Gogh lo abbiamo ritrovato in un romanzo visionario e bellissimo di Octave Mirbeau: Nel cielo. Qui Lucien, alter ego di Vincent, si ostina a voler dipingere «una spirale che sale [...] forse una nube più bassa delle altre, che pare il muso di un cane!». Il muso del cane è, qui proponiamo, quello di uno dei due Canes venatici che danno il nome alla costellazione della Galassia Vortice M51 e cercano di mordere una zampa dell’Orsa maggiore.


Notte stellata (Saint-Remyde- Provence, giugno 1889), New York, MoMA - Museum of Modern Art.

Notte stellata (Saint-Remy-de-Provence, giugno 1889), particolare, New York, MoMA - Museum of Modern Art.


La Galassia M51 Vortice, distante ventotto milioni di anni luce dalla Terra, ripresa a Fiesole (Firenze), nella notte fra il 24 e il 25 aprile 2020, con un telescopio da 203 mm di diametro e una camera astronomica CMOS.

(1) Temi illustrati e approfonditi in G. Fossi, Sulle tracce di Van Gogh. Un viaggio sui luoghi dell’arte, fotografie di Mario Dondero e Danilo De Marco, Firenze 2020, pp. 190-198, figg. 91-96.

(2) A. Boime, Van Gogh’s Starry night: A History of Matter and a Matter of History, in “Arts Magazine”, vol. 59 (n. 4), dicembre 1984, pp. 92-95; C. Whitney, The Skies of Vincent van Gogh, in “Art History”, vol. IX (n. 3), settembre 1986, pp. 355-362.

(3) D. W. Olson, Celestial Sleuth: Using Astronomy to Solve Mysteries in Art, History and Literature, New York 2014.

ART E DOSSIER N. 380
ART E DOSSIER N. 380
OTTOBRE 2020
In questo numero: L'ORO di Fabrizio Plessi in esclusiva per la copertina di 'Art e Dossier'. SE I PITTORI GUARDANO IL CIELO: Le stelle di Van Gogh. Quando l'arte parla del clima. IN MOSTRA: Plessi a Venezia; Barbieri ad Astino; Christo a Parigi; Magnani a Mamiano di Traversetolo. Direttore: Philippe Daverio