Dentro l'opera 


(AUTO)RITRATTI
A CORPO LIBERO

di Cristina Baldacci

Un primo piano su opere meno note dal secondo Novecento a oggi, per scoprirne il significato e l’unicità nel continuum della storia dell’arte: Francesca Woodman, Spazio²

«Inserire sempre il proprio corpo all’interno del campo del problema, usarlo, comprenderlo, come la base di qualsiasi significato l’immagine possa produrre, è lo schema che emerge attraverso tutta la serie di esercitazioni che la Woodman svolge»(1). Così Rosalind Krauss riassume efficacemente, in un pugno di battute, la pratica di Francesca Woodman (Denver, 1958 - New York, 1981), figlia d’arte - il padre George è pittore e la madre Betty scultrice ceramista - e appassionata di fotografia fin da ragazzina. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, in questo suo gesto che trasforma il dato formale in personale, la realtà oggettiva in immagine mediata dal corpo, non c’è traccia di narcisismo e neppure di erotismo. Il corpo è per la fotografa americana una cosa tra le cose, da studiare per la sua oggettività (o “Sachlichkeit”), che a volte ha a che fare con il formalismo, altre volte con il surrealismo. È infatti spesso sezionato e osservato in una delle sue parti, riflesso in uno specchio, celato da un velo o da una carta, mimetizzato nel contesto; oppure colto durante un movimento che lo rende evanescente.
È proprio questa attenzione a un corpo “cosale”, ma non oggetto del desiderio, che viene apprezzata dalla critica d’arte femminista, tra cui ritroviamo anche Krauss(2), che elegge il lavoro della poco più che adolescente Woodman ad antimodello di quello sguardo maschile ancora così presente nella rappresentazione del nudo femminile nell’arte e nei media; persino quando a ritrarre o ad autoritrarsi sono le donne. Da qui la grande fortuna che Woodman, morta suicida all’età di ventidue anni, ha avuto e continua ad avere, tra genio e diversità, mito e mistero.

La foto qui pubblicata fa parte di una serie di compiti eseguiti quando Woodman frequenta la Rhode Island School of Design di Providence, dove tra il 1975 e il 1977 compie la sua formazione, con l’aggiunta di un anno di studio a Roma (1978), sempre organizzato dalla stessa scuola. Come Krauss sottolinea nel suo testo critico, si tratta di “esercitazioni” attraverso cui la giovane fotografa esplora idee e forme senza presentare concetti particolari, di un’attività quotidiana che l’aiuta a pensare.

Lo stesso titolo dell’unico libro pubblicato mentre è ancora in vita, Some Disordered Interior Geometries(3), rivela quanto per Woodman fotografare significhi, prima di tutto, affrontare problemi che riguardano la struttura e la concretezza delle cose, capire come poter trasporre il proprio (e l’altrui) corpo, che crea un tutt’uno con lo spazio e gli oggetti che lo circondano, da un piano tridimensionale a un piano bidimensionale.
Woodman sceglie un tempo di esposizione lungo per creare l’effetto sfocato del suo corpo, che si è mosso intenzionalmente troppo presto al centro del riquadro, e dare all’immagine un aspetto vintage. La somiglianza con la fotografia delle origini è accresciuta dal bianco e nero della stampa ai sali d’argento, mentre il formato quadrato e l’appartenenza a una serie, intitolata Spazio2, avvicinano l’immagine alle sperimentazioni dell’arte concettuale.
La fotografia è un autoscatto che Woodman esegue nel suo studio, ma presenta effettivamente un doppio ritratto: se al centro il suo corpo nudo si muove all’interno di in una teca da esposizione, in alto a sinistra un altro nudo si adagia sull’angolo della vetrina per evidenziarne la forma. Il contrasto tra i due corpi, l’uno statico, più classico-contemplativo, l’altro in azione, dunque più contemporaneo-performativo, è evidente. Oltre a essere un modo per studiare lo spazio, misurandolo con la propria fisicità, e per riflettere sul suo “appiattimento” fotografico, questo autoritratto è anche un tentativo di sfuggire allo sguardo dello spettatore, che, più che il corpo in sé, deve cogliere il suo moto (interiore). Come insegna Clément Chéroux, il fuori fuoco è un “errore fotografico”(4) - in questo caso volontario - tra i più ricorrenti nella storia del mezzo, che ha molto da dirci sul significato di uno scatto e sulle intenzioni del suo autore.

(1) R. Krauss, Francesca Woodman: Esercitazioni (1986), in Ead., Celibi, trad. it. di E. Volpato, Torino 2004, p. 180.

(2) Non è un caso che il testo citato in esordio sia stato inserito, a distanza di una quindicina d’anni dalla sua stesura, nella raccolta Celibi, dove Krauss riunisce i suoi scritti dedicati «all’altra metà dell’avanguardia » (oltre a Francesca Woodman, Claude Cahun e Dora Maar, Louise Bourgeois, Agnes Martin, Eva Hesse, Cindy Sherman, Sherry Levine, Louise Lawler).

(3) F. Woodman, Some Disordered Interior Geometries, Filadelfia 1981.

(4) Cfr. C. Chéroux, L’errore fotografico. Una breve storia (2003), Torino 2009.

ART E DOSSIER N. 380
ART E DOSSIER N. 380
OTTOBRE 2020
In questo numero: L'ORO di Fabrizio Plessi in esclusiva per la copertina di 'Art e Dossier'. SE I PITTORI GUARDANO IL CIELO: Le stelle di Van Gogh. Quando l'arte parla del clima. IN MOSTRA: Plessi a Venezia; Barbieri ad Astino; Christo a Parigi; Magnani a Mamiano di Traversetolo. Direttore: Philippe Daverio