Anche nell’iconografia di V e IV secolo a.C. possiamo ritrovare informazioni utili circa le attività economiche e culinarie legate al pesce. L’attività pescatori è pratica diffusa, sebbene le raffigurazioni siano piuttosto rare. Tra le più note è la decorazione interna della coppa a figure rosse attribuita al pittore di Ambrosios, ora al Museum of Fine Arts di Boston. Un ragazzo nudo si protende da uno scoglio sullo specchio d’acqua sottostante, dove si riconoscono alcuni piccoli pesci e una piovra: il giovane sta pescando con una canna da pesca e una nassa. Oltre a questi attrezzi, per la pesca da terra era comune l’uso di reti e tridenti.
Dalla pittura vascolare è possibile anche trarre informazioni circa il commercio e la vendita al dettaglio del pesce, nello specifico il tonno, già particolarmente rinomato in Sicilia. In un cratere apulo a campana a figure rosse proveniente da Lipari e ora conservato al museo Mandralisca di Cefalù è rappresentata una scena di vendita al dettaglio, in cui un vecchio è intento a sezionare un grande tonno sopra un piano di lavoro sostenuto da un tripode; di fronte all’improvvisato bancone sta l’acquirente, un uomo barbuto che, allargando il palmo della mano destra, mette in bella mostra una grande moneta. Data la fisionomia caricaturale dei personaggi e la strana presenza del bancone-tripode, potrebbe trattarsi della rappresentazione di una scena comica. Sta di fatto che la grossa moneta prova che in questi anni il pesce, e in particolare il tonno, è merce pregiata.
Una scena simile, ma probabilmente di senso completamente diverso, è rappresentata su un altro cratere a campana apulo a figure rosse, già in collezione privata a Monaco e recentemente messo in vendita da Christie’s: al centro è raffigurato un grande pesce ancora integro, adagiato su un tripode, mentre una donna versa del liquido da un’“oinochoe”, assistita da un satiro, riconoscibile dall’orecchio puntuto e dalla coda caprina. Se si tratta, come pare, della rappresentazione di una scena di sacrificio, l’immagine precedente sul cratere di Cefalù potrebbe esserne la parodia: una trasposizione del rito in chiave mercantil-culinaria.
Nel corso del V secolo a.C., a partire da Atene, comincia a diffondersi un particolare tipo di ceramica dipinta con pesci e crostacei che ebbe grande diffusione, nei secoli successivi, a partire dalle botteghe di Taranto, Paestum, Capua, Cuma per giungere poi in tutta la Magna Grecia. Attualmente nelle diverse collezioni si contano oltre mille esemplari di stoviglie a decorazione ittica, rinvenute per lo più in contesti sepolcrali. Nel piatto del Royal Albert Memorial Museum di Exeter, datato alla metà del IV secolo a.C. e proveniente dall’area di Cuma, si può osservare che al centro della superficie decorata compare una piccola cavità, probabilmente il vano che conteneva la salsa. Numerosi e variegati sono i tipi di pesci raffigurati in questo genere di piatti: si riconoscono il pesce persico, orate, pesci siluro, molluschi e crostacei di ogni tipo, seppie e piovre.
Notevole è la collezione ora conservata al Museo di Reggio Calabria, ma numerosi esemplari sono stati rinvenuti anche in area adriatica: l’esemplare del Museo archeologico di Ferrara, di manifattura attica e datato al primo ventennio del IV secolo a.C., è stato rinvenuto presso la necropoli di Spina: tra i pesci si riconoscono tre orate adagiate attorno all’incavo centrale. Il ritrovamento in contesti funerari attesta l’importanza attribuita a questi oggetti, che con ogni probabilità non erano soltanto stoviglie di uso quotidiano.
La raffigurazione di pesci cucinati e pronti per essere degustati, eseguita su serie di piatti destinati con tutta probabilità proprio al servizio delle stesse vivande, è un’importante testimonianza del fatto che il pesce, nella cultura arcaica derubricato a cibo selvatico o religiosamente impuro, già nel V secolo a.C. è considerato un prodotto alimentare pregiato, presente nei banchetti più chic delle classi sociali abbienti. Ma presente anche sulle mense dei cittadini ateniesi, come si legge nel finale della commedia di Aristofane, quando la città fa festa mettendo in tavola i piatti più prelibati, con gli ingredienti più strani mescolati insieme in un mix - linguistico e culinario - francamente indigeribile. Che serve anche a buttare in burla la possibilità che le donne vadano, veramente, al governo in Parlamento.