Letture iconologiche
La storia di un alimento millenario

PANE PER
DENTI
D’ARTISTA

Da millenni un impasto a base di acqua e farina – fermentato, lievitato e infine cotto – è portato ogni giorno sulle mense di principi e poveri. È “il nostro pane quotidiano”. Invocato nelle preghiere, concesso dai potenti al popolo (“panem et circenses”), diviso e condiviso da Cristo nell’Ultima cena e in quella di Emmaus, il pane è a fianco dell’uomo anche nella storia dell’arte.

Lorenzo Bonoldi

La storia del pane è antica quasi quanto la storia dell’uomo. Di questo alimento, da millenni al centro della cultura gastronomica mediterranea ed europea, si fa menzione già nella produzione letteraria sumerica, la più antica di cui si conservi notizia. 

Nell’Epopea di Gilgamesh, testo epico composto fra il 2600 e il 2500 a.C., viene descritto un uomo selvaggio, allevato da animali, chiamato Enkidu. Un bruto, che si nutre esclusivamente di cibi e bevande immediatamente disponibili in natura, quali erbe selvatiche, acqua e latte. Una condizione destinata tuttavia a cambiare, nel momento in cui Enkidu incontra una cortigiana, Shamat, che gli fa assaggiare pane e birra. L’esperienza e la conoscenza dei cibi prodotti e lavorati dall’uomo segna per Enkidu un cambiamento radicale: nella dimensione epica e simbolica dell’Epopea di Gilgamesh, la “scoperta” del pane coincide infatti con la scoperta della civiltà umana. 

Al di là delle sue implicazioni simboliche, la presenza del pane nell’Epopea di Gilgamesh dimostra come questo alimento fosse conosciuto e diffuso nell’antica civiltà mesopotamica, così come lo fu nell’Antico Egitto. Numerose sono le testimonianze artistiche e archeologiche legate alla presenza del pane nella terra dei faraoni: non solo pitture parietali e manufatti plastici ci raccontano di come il pane venisse impastato e prodotto, ma si conservano anche esempi di forme di pane fossilizzate e ritrovate in sepolture egizie. Fra queste, quelle provenienti dalla tomba di Kha (architetto dei lavori della necropoli del faraone Amenhotep III), oggi presso il Museo egizio di Torino(1)

Dall’Egitto il pane si diffuse a tutto l’ambito del Mediterraneo, diventando un elemento tanto comune a tutte le popolazioni, che Omero arriva a utilizzare la formula «mangiatori di pane» per indicare tutti gli uomini, intesi come mortali, in contrapposizione alle divinità, che invece si nutrono di nettare e ambrosia.


Piero Manzoni, Achrome (1962 circa), Milano, Fondazione Piero Manzoni.

(1) Per la storia della scoperta di questa sepoltura, a opera dell’archeologo italiano Ernesto Schiaparelli, si veda E. Schiaparelli, La tomba intatta dell’architetto Kha nella necropoli di Tebe (1927), Torino 2007.

Il panificio (I secolo d.C), dalla Casa del fornaio a Pompei, Napoli, Museo archeologico nazionale.


Arte paleocristiana, coperchio di sarcofago con Agape, particolare, Roma, Museo nazionale romano - Palazzo Massimo.

La cultura greca conosce un’incredibile varietà di forme di pane: il poeta siciliota Archestrato di Gela, nella sua Gastronomia (o Hedypatheia) dedica molto spazio all’elencazione e alla descrizione dei pani di Grecia, e, passando in rassegna i «doni della bionda Demetra» conta più di sessanta tipi diversi di pane: fra questi spiccano i “kapyria” (sottili sfoglie di pane simili al pane “carasau” o “carta da musica” tipico della Sardegna), il “boletinos” (panino a forma di fungo cosparso di semi di papavero) e il “kodraton” (la stessa tipologia che i romani chiameranno “quadratus”)(2)

Nella cultura greca - come già era avvenuto in quella mesopotamica ed egizia - il pane si carica di valenze simboliche, religiose e rituali: pani votivi erano di sovente offerti a Demetra e Persefone, divinità legate alle messi. È d’uopo qui ricordare anche l’usanza macedone del tagliare in due una pagnotta durante il rito del matrimonio, secondo un costume che, a detta di Curzio Rufo, anche Alessandro il Grande seguì in occasione delle sue nozze con Rossane(3). Questo stesso uso, di origine macedone, sembra essere ancora diffuso in alcune regioni dell’Anatolia centrale e del Turkestan.


Caravaggio, Cena in Emmaus (1601-1602), Londra, National Gallery.

(2) Si veda su questo tema E. Salza Prina Ricotti, L’arte del convito nella Grecia antica: l’evoluzione del gusto da Achille ad Alessandro Magno, Roma 2005.
(3) Curzio Rufo, De rebus gestis Alexandri Magni, VIII.27.

Nel contesto dell’arte cristiana le raffigurazioni del pane aumentano, diventando elementi caratteristici di iconografie ben codificate, legate agli episodi della vita di Cristo


Numerose sono le testimonianze archeologiche e artistiche che raccontano la presenza del pane nella società della Roma antica: dall’affresco della Casa del fornaio e dalle forme di pane fossilizzate di Pompei (Museo archeologico nazionale di Napoli), al sepolcro di Marco Virgilio Eurisace a Porta Maggiore (Roma), fino ai rilievi e ai mosaici che illustrano il lavoro quotidiano del fornaio. 

In molti di questi casi le forme di pane raffigurate corrispondono alla tipologia del pane “quadratus”: una pagnotta divisa in otto spicchi da quattro tagli. Questo stesso tipo di pane compare anche in contesti paleocristiani, soprattutto in pitture parietali e monumenti funebri, dove tuttavia i caratteristici quattro tagli vengono ridotti a due o tre, a ottenere pagnotte segnate con l’immagine della croce o il simbolo semplificato od occultato del monogramma di Cristo (“chrismon”). 

Nel contesto dell’arte cristiana le raffigurazioni del pane aumentano, diventando elementi caratteristici di iconografie ben codificate, legate agli episodi della vita di Cristo: moltiplicato insieme ai pesci sulle rive del mare di Galilea, presente sulla mensa dell’Ultima cena, così come sulla tavola di Emmaus, il pane arriva a essere, per voce stessa di Gesù, il corpo di Cristo. 


Nel Secolo d’oro della pittura olandese il pane smette di essere immagine di contorno per diventare protagonista nelle nature morte


La collocazione del pane - figura, simbolo e corpo stesso del Dio fattosi uomo - al centro simbolico e rituale del mistero eucaristico cristiano implica copiose proliferazioni della sua immagine nel contesto dell’arte sacra. Una vera e propria moltiplicazione di pani pervade tanto il campo delle prefigurazioni veterotestamentarie, quanto quello degli attributi di santi, specie di quelli legati al concetto di “caritas” cristiana: il pane viene offerto insieme al vino da Melchisedec, cade dal cielo in forma di manna (descritta come “panis angelicus”, “pane degli angeli”), ma figura anche come elemento caratteristico dell’iconografia delle sante Elisabetta d’Ungheria e Casilda da Toledo, caritatevoli dispensatrici di pagnotte ai bisognosi. 

Accanto a questi esempi di raffigurazioni in contesti sacri, la storia dell’arte non ha comunque tralasciato di offrire esempi di raffigurazioni di pani e pagnotte - nelle più svariate forme - anche all’interno di opere a carattere profano: sulle tavole principesche degli dei (il Banchetto nuziale di Amore e Psiche di Giulio Romano) come su quelle dei poveri mortali (il Mangiatore di fagioli di Annibale Carracci), passando per la Lattaia di Vermeer, fino ad arrivare al “petit pain” adagiato sull’erba accanto al bianco corpo di Victorine Meurent, la modella di Manet in Le déjeuner sur l’herbe

E se in opere di questo genere il pane è raffigurato come alimento ed elemento caratterizzante del momento del convivio o del pasto, è soprattutto nel Secolo d’oro della pittura olandese che il pane smette di essere immagine di contorno per diventare protagonista, non solo nella pittura di genere (si pensi alle due versioni del Fornaio di Job Adriaensz, una all’Art Museum di Worcester, Massachusetts - USA, e l’altra al Museum der Brotkultur di Ulm, Germania), ma anche e soprattutto nelle nature morte con alimenti e stoviglie, note col nome di “onbijt” (letteralmente “colazioni”), nelle quali eccelsero maestri del calibro di Willem Claeszoon Heda e Pieter Claesz. 

Al realismo con il quale i maestri del Secolo d’oro olandese hanno immortalato il pane fa infine da controparte la visione irreale e quasi onirica, ma al contempo fisica e concretissima, offerta dai maestri del Novecento: le baguettes blu di Man Ray (Pain Peint: favourite food for the Blue Birds) e le michette bianche di Piero Manzoni (Achrome) rendono pan per focaccia ai loro precedenti artistici, perpetuando ancora una volta nella dimensione artistica la storia di un alimento chiave nella storia stessa dell’umanità.


Pieter Claesz, Natura morta con pane, vino e prosciutto (1647), San Pietroburgo, Ermitage.


Jan Vermeer, La lattaia (1658-1661 circa), Amsterdam, Rijksmuseum.


Pani della XVIII dinastia egizia (XIV secolo a.C.), dalla tomba dell’architetto Kha e di sua moglie presso la necropoli di Deir el Medina, Torino, Museo egizio.

ART E DOSSIER N. 310
ART E DOSSIER N. 310
MAGGIO 2014
In questo numero: IL PRANZO E' SERVITO Cibo nell'arte: il pesce nella Grecia antica, la simbologia del pane, il nutrirsi come gesto e la dimensione alimentare nel contemporaneo. IN MOSTRA: Kahlo, Dora Maar. Direttore: Philippe Daverio