Numerose sono le testimonianze archeologiche e artistiche che raccontano la presenza del pane nella società della Roma antica: dall’affresco della Casa del fornaio e dalle forme di pane fossilizzate di Pompei (Museo archeologico nazionale di Napoli), al sepolcro di Marco Virgilio Eurisace a Porta Maggiore (Roma), fino ai rilievi e ai mosaici che illustrano il lavoro quotidiano del fornaio.
In molti di questi casi le forme di pane raffigurate corrispondono alla tipologia del pane “quadratus”: una pagnotta divisa in otto spicchi da quattro tagli. Questo stesso tipo di pane compare anche in contesti paleocristiani, soprattutto in pitture parietali e monumenti funebri, dove tuttavia i caratteristici quattro tagli vengono ridotti a due o tre, a ottenere pagnotte segnate con l’immagine della croce o il simbolo semplificato od occultato del monogramma di Cristo (“chrismon”).
Nel contesto dell’arte cristiana le raffigurazioni del pane aumentano, diventando elementi caratteristici di iconografie ben codificate, legate agli episodi della vita di Cristo: moltiplicato insieme ai pesci sulle rive del mare di Galilea, presente sulla mensa dell’Ultima cena, così come sulla tavola di Emmaus, il pane arriva a essere, per voce stessa di Gesù, il corpo di Cristo.
Nel Secolo d’oro della pittura olandese il pane smette di essere immagine di contorno per diventare protagonista nelle nature morte
La collocazione del pane - figura, simbolo e corpo stesso del Dio fattosi uomo - al centro simbolico e rituale del mistero eucaristico cristiano implica copiose proliferazioni della sua immagine nel contesto dell’arte sacra. Una vera e propria moltiplicazione di pani pervade tanto il campo delle prefigurazioni veterotestamentarie, quanto quello degli attributi di santi, specie di quelli legati al concetto di “caritas” cristiana: il pane viene offerto insieme al vino da Melchisedec, cade dal cielo in forma di manna (descritta come “panis angelicus”, “pane degli angeli”), ma figura anche come elemento caratteristico dell’iconografia delle sante Elisabetta d’Ungheria e Casilda da Toledo, caritatevoli dispensatrici di pagnotte ai bisognosi.
Accanto a questi esempi di raffigurazioni in contesti sacri, la storia dell’arte non ha comunque tralasciato di offrire esempi di raffigurazioni di pani e pagnotte - nelle più svariate forme - anche all’interno di opere a carattere profano: sulle tavole principesche degli dei (il Banchetto nuziale di Amore e Psiche di Giulio Romano) come su quelle dei poveri mortali (il Mangiatore di fagioli di Annibale Carracci), passando per la Lattaia di Vermeer, fino ad arrivare al “petit pain” adagiato sull’erba accanto al bianco corpo di Victorine Meurent, la modella di Manet in Le déjeuner sur l’herbe.
E se in opere di questo genere il pane è raffigurato come alimento ed elemento caratterizzante del momento del convivio o del pasto, è soprattutto nel Secolo d’oro della pittura olandese che il pane smette di essere immagine di contorno per diventare protagonista, non solo nella pittura di genere (si pensi alle due versioni del Fornaio di Job Adriaensz, una all’Art Museum di Worcester, Massachusetts - USA, e l’altra al Museum der Brotkultur di Ulm, Germania), ma anche e soprattutto nelle nature morte con alimenti e stoviglie, note col nome di “onbijt” (letteralmente “colazioni”), nelle quali eccelsero maestri del calibro di Willem Claeszoon Heda e Pieter Claesz.
Al realismo con il quale i maestri del Secolo d’oro olandese hanno immortalato il pane fa infine da controparte la visione irreale e quasi onirica, ma al contempo fisica e concretissima, offerta dai maestri del Novecento: le baguettes blu di Man Ray (Pain Peint: favourite food for the Blue Birds) e le michette bianche di Piero Manzoni (Achrome) rendono pan per focaccia ai loro precedenti artistici, perpetuando ancora una volta nella dimensione artistica la storia di un alimento chiave nella storia stessa dell’umanità.