Grandi mostre. 2
Frida Kahlo a Roma

il cuore
L’AMORE
il dolore

La pittura di Frida Kahlo ripete morbosamente il corpo e le ossessioni dell’artista: il dolore fisico si intreccia al tormento interiore ma tutta la sua vita creativa sembra perennemente nutrirsi di quel dolore stesso.

Marilena Mosco

La passione pervade la vita e l’opera dell’artista messicana, determina la militanza nella lotta per la liberazione del suo popolo, alimenta la battaglia ideale a fianco dei campesinos guidati da Pancho Villa, e nutre l’amore testardo e duraturo per il pittore della rivoluzione, il grande Diego Rivera. Ma c’è un altro lato occultato costantemente da Frida, un probabile abuso infantile, cui allude una poesia scritta a quindici anni: «Lui mi seguiva, io finii per piangere», che spiegherebbe l’autoanalisi condotta attraverso l’arte, in vista di una catarsi, alla ricerca della propria identità sessuale. C’è infatti in Frida un costante dualismo e conflitto tra maschile e femminile, che spiega sia l’influenza della figura paterna sia l’attrazione per l’uomo forte sostitutivo del padre, come anche il rifugio nel femminile, in quella «amica ideale» ricorrente nel suo Diario intimo, presente in alcuni dipinti come alter ego. Una personalità androgina, che amava farsi ritrarre in abiti maschili dal padre, e autoritrarsi con i baffi o con i capelli corti. 

La sua opera non può essere giudicata come espressione di un’arte popolare di sapore naïf ma come una finestra su un’anima ferita: il ricorso alla simbologia fantastica poteva essere equivocato come una forma di esibizionismo narcisistico ma, in occasione della mostra parigina del 1939, Frida rifiutò questa etichetta, affermando di dipingere la realtà, non i sogni, senza realizzare che la sua era una realtà interiore da identificare con l’inconscio affiorante alla luce di volta in volta. 

Per Frida il pennello è una penna per scrivere e sono significative le scritte da lei poste sopra o ai margini dei suoi dipinti, segno della sua espressa volontà di fissare alcuni fatti significativi come il matrimonio con Rivera, il tradimento di lui assimilato a un delitto, il taglio dei capelli dopo il divorzio, e la loro ricrescita dopo il secondo matrimonio con Rivera. I suoi autoritratti sono quasi sempre frontali e denotano l’abitudine contratta fin da bambina di posare davanti alla macchina da presa del padre, Guillermo Kahlo, provetto fotografo: da lui Frida deriverà la focalizzazione cruda e veristica delle figure.


Autoritratto come Tehuana (o Diego nei miei pensieri) (1943).

Nata nel 1907 (data da lei spostata al 1910 per farla coincidere con l’inizio della rivoluzione), aveva dimostrato di essere un’allieva precoce nello studio di pittura del maestro Fernando Fernandez: una ragazza di temperamento volitivo che già a quindici anni si era messa in testa di sposare e avere un figlio dal pittore più in vista di Città del Messico, Diego Rivera. Anni dopo, davanti agli affreschi commissionatigli dal Ministero dell’educazione nazionale, Diego subirà il fascino della giovane Frida, provocante con le sue sopracciglia ad ala di corvo, e con lei scoprirà di condividere la passione politica ritraendola nella Ballata della rivoluzione proletaria in camicia rossa mentre distribuisce fucili a fianco della compagna Tina Modotti e di Julius Mella, militanti nel Partito comunista. 

Nel 1925 Frida è vittima di un incidente che la segna per tutta la vita: l’autobus su cui viaggia è stato investito da un tram e il corrimano ha trapassato il corpo della giovane che ha riportato lo schiacciamento del rene e fratture alla colonna vertebrale e al femore. Molti anni dopo, nel 1944, Frida farà un autoritratto intitolato La colonna spezzata, nel quale alla corazza che le è stata imposta per sostenerla aggiungerà i chiodi infissi nel suo corpo alludendo ai vari tradimenti da parte di Rivera. 

La pittura diventa, per la giovane Frida, l’unico mezzo per superare il dolore e lo specchio posizionato sopra al letto le permette di autoritrarsi; del 1926 è il suo Autoritratto con vestito di velluto che la raffigura in veste da camera, in una posa che ricorda la Venere del Botticelli di cui ripete il motivo della mano destra poggiata sotto il seno. 

Il matrimonio con Diego Rivera vede la coppia trasferirsi prima a Cuernavaca, dove Frida inizia a indossare il costume delle donne di Tehuantepec, e in seguito a San Francisco. Del 1932 è l’Autoritratto al confine tra il Messico e gli Stati Uniti nel quale si evidenzia lo sdoppiamento tipico della pittura di Frida; lei è al centro, simile a una statua su un piedistallo, mentre alla sua destra si riconoscono due statuette, una bianca dall’aspetto infantile, e una scura che tiene in braccio un bambino senza testa, evidente allusione, avvalorata dalla presenza di un teschio, al terzo aborto subito da Frida. Il mondo messicano - la piramide in rovina e le piante esotiche in fiore, velenose - è contrapposto a quello americano, con le ciminiere e i motori elettrici: un conflitto tra il nuovo e il vecchio sofferto da Frida che criticava gli Stati Uniti - “Gringolandia” al pari della propria terra, amata ma “velenosa” nei riguardi di lei stessa e di Diego.


Autoritratto al confine tra il Messico e gli Stati Uniti (1932).

Rivera subirà il fascino della giovane Frida, provocante con le sue sopracciglia ad ala di corvo


Il rapporto di amore e stima reciproca nella coppia subisce una frattura quando Frida viene a sapere nel 1934 che il marito la tradisce con la sorella Cristina: è una ferita mortale, quale appare nel dipinto intitolato Qualche piccola punzecchiatura, che rappresenta una donna pugnalata a morte da un uomo; il particolare della giarrettiera (“liga” in spagnolo) slacciata, indica la rottura del legame. Da allora Frida non si riterrà più impegnata alla fedeltà, considerata da Rivera una “cosa da piccoli borghesi”, e si vendicherà seducendo Lev Trockij - rifugiatosi in Messico e ospite della coppia -, al quale dedicherà un autoritratto nel 1937. A quello stesso anno risale il dipinto intitolato Il ricordo nel quale Frida si ritrae piangente, sospesa tra il passato, simboleggiato dal vestito da collegiale a sinistra, e il presente rappresentato dal costume tehuano che sembra tenderle un braccio per sostenerla. La bilancia, ovvero il palo che la trafigge come il corrimano dell’incidente, è sorretta da due amorini - ovvero le sue due anime, di fanciulla e di donna - e pende dal lato dell’abito tehuano a significare che sulla sofferenza prevale il rifugio nella terra natia: il cuore è tuttavia trafitto e gocciola sangue, e lei rimane impotente senza le braccia. 

Il surrealismo è particolarmente evidente in Cosa ho visto nell’acqua, in cui Frida si immagina in una vasca da bagno, intenta a guardarsi i piedi con le unghie laccate, e il piede destinato ad andare in cancrena e a farle amputare la gamba. Al centro si riconosce Frida nuda strangolata da una corda tenuta da un uomo mascherato, sulla destra, mentre a sinistra è dipinta una conchiglia rotta, allusiva al passato abuso. Sulla destra si distinguono due fanciulle nude sdraiate e abbracciate pudicamente che alludono al femminile protettivo; nel fondo un teschio e un uccello morto alludono alla punizione dell’uomo che ha violato l’innocenza. 

In Le due Frida, dipinto nel 1939 dopo il divorzio da Rivera, la donna a destra (vestita con i colori verde e azzurro allusivi per Frida alla distanza e alla tristezza) raffigura la Frida amata da Rivera, e a simboleggiare l’amarezza per la fine del rapporto è il cuore, diviso a metà ma collegato con quello dell’altra Frida. Questa è la vera Frida, abbigliata all’antica, che mostra una ferita aperta a forma di vagina e un fiocco al posto del clitoride, il cuore tagliato, la gonna cosparsa da fiorellini che cercano di coprire le macchie di sangue, mentre due grosse chiazze rosse sembrano spillare ancora, solo fermate da una pinza con la quale la Frida “occultata” vuole frenare il ricordo dell’abuso subito. 


I suoi autoritratti sono quasi sempre frontali e denotano l’abitudine contratta fin da bambina di posare davanti alla macchina da presa del padre


La pittura di Frida è costellata da rimandi alla magia nera: lo conferma l’Autoritratto con collana di spine e colibrì, dove spicca al collo di Frida un uccellino crocefisso, come avvertimento contro gli assalti d’amore, contro possibili rivali in grado di colpire. Il dipinto è anteriore al secondo matrimonio con Rivera, visto con favore nell’agosto del 1940 dal dottor Eloesser per il grave stato di depressione di Frida dopo il divorzio. Successivamente, sarà la relazione con il fotografo Nicolas Muray a essere salutare per Frida e le detterà nel 1941 l’Autoritratto con pappagalli, che la presenta finalmente libera dalla scimmia (ovvero dall’amore ossessivo per Rivera), sicura di sé, accompagnata dai pappagalli, che non si guardano tra loro al pari dei due coniugi, decisi ormai a separare le rispettive vite sessuali. Frida appare fiera come un’amazzone, e la sua sicurezza è simboleggiata dalla sigaretta in mano e dall’anello con il simbolo del “lingam” entro lo “yoni”, ovvero la forza maschile nel cerchio femminile, secondo i dettami della mitologia indiana. 

Sembra che Frida nell’ultimo decennio della sua vita (morirà suicida nel 1954) si sia interessata molto alle religioni orientali cercando di sublimare nella spiritualità la sua passione per Diego, e l’Autoritratto come Tehuana (o Diego nei miei pensieri), eseguito nel 1943, la rappresenta in adorazione religiosa nei suoi riguardi. Per lui nutrirà un amore quasi materno: scriverà nel Diario intimo: «La forma di Diego è quella di un mostro seducente che la Grande Occultatrice, la Madre di tutti gli dei, la Donna e tra tutte Me, vorrebbe tenere per sempre tra le braccia come un bambino appena nato»; e Diego risponderà: «Frida è l’unico esempio nella storia dell’arte di un’artista che si è strappata il seno e il cuore per dire la verità biologica di quel che sente […] la pittrice più pittore e la miglior prova della rinascita artistica del Messico».


Autoritratto con collana di spine e colibrì (1940) Austin, University of Texas, Harry Ransom Center.


Autoritratto con vestito di velluto (1926).

LA MOSTRA
La mostra Frida Kahlo è aperta a Roma, alle Scuderie del Quirinale, fino al 31 agosto (a cura di Helga Prignitiz-Poda; orario 10-20, venerdì e sabato 10-22.30; dal 14 luglio al 31 agosto 16-23, venerdì e sabato 16-24; telefono 06-39967500; www.scuderiequirinale.it; catalogo Electa). Quaranta opere scelte fra le più rappresentative della sua produzione, che mostrano la singolare opera di fusione tra immagine di sé, vita privata, scelta politica, legame con le tradizioni del suo popolo che l’artista seppe mettere in atto nella propria pittura. Spirito ribelle, fuori da ogni reale appartenenza a generi o correnti novecentesche, Frida esprime soprattutto la propria forza interiore, come dimostrano quadri fondamentali qui esposti, da Autoritratto con vestito di velluto ad Autoritratto con collana di spine e colibrì. In mostra anche una selezione di disegni e di fotografie. 
Un seguito ideale della mostra romana avrà luogo a Genova, al Palazzo ducale, dal prossimo 20 settembre al 15 febbraio 2015: l’esposizione Frida Kahlo e Diego Rivera indagherà sul privato della coppia e sui rapporti con gli artisti del mondo in cui viveva.

ART E DOSSIER N. 310
ART E DOSSIER N. 310
MAGGIO 2014
In questo numero: IL PRANZO E' SERVITO Cibo nell'arte: il pesce nella Grecia antica, la simbologia del pane, il nutrirsi come gesto e la dimensione alimentare nel contemporaneo. IN MOSTRA: Kahlo, Dora Maar. Direttore: Philippe Daverio