La pagina nera


Le opere a metà
e uno che ne fa?

di Fabio Isman

Il campionario degli interventi pubblici incompiuti, in Italia, è sterminato e molto vario. Un panorama di cantieri abbandonati, edifici dismessi e di lavori eternamente in corso.

L'Incompiuta, sinfonia numero 8 in si minore, catalogo D 759, è la più celebre composizione di Franz Schubert, e tra le più famose in assoluto; eseguita la prima volta, postuma, nel 1828, non manca in nessun repertorio. Ma quell’incompiutezza è anche una caratteristica - o un terribile vizietto - purtroppo tipicamente italiana. Si è calcolato che siano almeno seicentocinquanta le opere pubbliche non finite, per un valore di oltre quattro miliardi di euro. Non ci facciamo mancare niente: viadotti autostradali che conducono al nulla; in Trentino, a Mori, una strada asfaltata termina contro un traliccio dell’alta tensione; a Cantù, la squadra di basket tre volte campione d’Italia gioca da quarant’anni in trasferta perché non vede la luce il Palazzetto dello sport; centosettanta opere incompiute cataloga la Sicilia, tra cui uno stadio per il polo a Giarre e il teatro sociale di Sciacca, progettato negli anni Settanta e costato venticinque milioni di euro, finora invano; cinquanta milioni sono stati spesi a Ferrara per il «riassetto ferroviario», senza esiti, e dal 1985 il teatro Verdi è un rudere che attende; la stazione di Matera è pronta: le mancano solo i binari, e da tempo immemore; svincoli stradali mai conclusi, dighe di invasi vuoti, edifici mai finiti e adibiti alle più varie destinazioni.


Il viadotto (interrotto) di San Giacomo dei Capri a Napoli.

La “vela” della Città dello sport di Santiago Calatrava a Roma.


Un’immagine del progetto.

La causa, assai spesso, è la mancanza di quattrini: opere non più rifinanziate, e quindi rimaste a metà, o i cui preventivi sono lievitati nel tempo. Le strutture hanno firme più o meno famose. Perché nella pania vengono bloccate anche le archistar più celebri: l’Incompiuta non guarda in faccia a nessuno e non ha rispetti reverenziali. Così, a Roma, la “Nuvola” di Massimiliano Fuksas, sulla carta il Centro congressi più vasto in Europa, compie già sedici anni (se fosse un essere umano, tra due potrebbe votare), però non vede ancora la luce. Il progetto è del 1998 - era sindaco Francesco Rutelli, archeologia istituzionale -, il concorso del 2000, la prima pietra del 2007. La struttura, dice l’Ente Eur che ne è proprietario, è completa all’ottanta per cento, ma mancano gli interni. E a Fuksas è stato intanto revocato l’incarico di direttore artistico dell’opera. Il costo iniziale, 275 milioni di euro, è lievitato a 400 (secondo Andrea Garibaldi, “Corriere della sera”, addirittura da sessanta a seicentosessanta), e a fine 2013 è stato necessario anche un prestito straordinario di 100 milioni da parte dello Stato, da restituire in trent’anni; ma pare che non basti, mentre si sprecano le polemiche sui proventi del progettista. Non ha assorbito cifre granché inferiori quello che avrebbe dovuto essere un altro “fiore all’occhiello” dell’Urbe, la Città dello sport di Santiago Calatrava, i cui rimasugli incompiuti si ammirano anche (si fa per dire) dall’autostrada per Napoli. Una grande vela in cemento armato, sotto la quale, però, c’è il nulla. Sono 250 i milioni di euro spesi frattanto invano: il Palasport da quindicimila posti, l’edificio per il nuoto da ottomila, le due piscine coperte, quella scoperta, cinquantamila metri quadri di posteggi e la pista d’atletica sono ancora soltanto un sogno. Incarico del 2006, per i Mondiali di nuoto di tre anni dopo. Roma ha altre tre grandi piscine scoperte, votate agli allenamenti per quella manifestazione, che non sono mai entrate in uso, tra ricorsi e controricorsi. Ma la Città dello sport di Calatrava è una “grande opera” che attira l’attenzione. A fine 2008 è chiaro che per i Mondiali non sarà pronta: i nuotatori tornano ai vecchi impianti del Foro italico, sorti in pieno regime, quando si chiamava Foro Mussolini. Il progetto esecutivo è d’inizio 2009: una previsione di 600 milioni di euro, di cui già spesi 250. Adesso, solo per completare quella vela che si vede anche dall’autostrada, bisogna trovarne almeno sessanta. Dimenticati i Mondiali di nuoto, il complesso non è stato utile a Roma nemmeno per reclamare le Olimpiadi del 2016. È l’ennesima sventura per il grande architetto: contestato, anche in giudizio e dalla Corte dei conti, per il ponte veneziano tra la stazione ferroviaria e piazzale Roma (nato nel 2011 su un progetto donato tredici anni prima, 14 milioni di euro di costo), e condannato in Spagna a pagare 3,2 milioni di euro per il crollo delle gradinate del Centro congressi di Oviedo. 

Ma lasciamo perdere Roma, andiamo nell’operosa Milano. Si parla della Grande Brera dal 1972, quando fu acquistato l’attiguo palazzo Citterio: era soprintendente Franco Russoli, che se n’è andato nel 1977, ad appena cinquantaquattro anni; per realizzarla c’era anche il progetto di un grande architetto, James Stirling, defunto nel 1992. Adesso, a dicembre 2013, si è conclusa la prima fase di gara del progetto, che intanto è mutato. Si parte dai tetti, che avevano bisogno di interventi urgenti (seimila metri quadri da rivedere, un anno e mezzo di lavoro, 3,5 milioni di euro di spesa), ma per realizzare il tutto si stima che occorrano tra i centootto e i centoventi milioni di euro, mentre ne sono disponibili appena venti. 

Altro museo: a Venezia ci sono voluti dieci anni per ampliare le Gallerie dell’Accademia, raddoppiandone a dodicimila metri quadri la superficie espositiva; ma qui, una volta tanto, sembra che il budget iniziale sia stato rispettato, la spesa si è arrestata a ventisei milioni di euro, fondi ordinari del ministero. 

E intanto, il paese è fin troppo ricco di aree, opere e palazzi che attendono di essere recuperati. Una sia pur sommaria geografa di luoghi da salvare non può ignorare il Real albergo dei poveri di Ferdinando Fuga, una delle più grandi costruzioni settecentesche, a Napoli: oltre centomila metri quadri di superficie utile e una facciata lunga quattrocento metri, nato per ospitare ottomila vagabondi e mendicanti.


La “Nuvola” del Centro congressi di Roma di Mssimiliano Fuksas.

A Roma, in pieno centro, ci sono anche l’ex ospedale San Giacomo e l’altrettanto appetibile area dell’ex Fiera. Ma c’è anche un altro caso. All’angolo tra le vie Flaminia e Guido Reni - tra il museo MAXXI e l’auditorium Parco della musica di Renzo Piano - c’è una vasta area ex militare. Fa parte dell’“Italia in vendita”, dei quarantuno immobili pubblici che il governo cederà per far fronte alla crisi. Inserita nel “Piano destinazione Italia”, permetterà di racimolare 1,2 miliardi di euro. Il patrimonio disponibile è valutato in trecento miliardi; si intendono “valorizzare” trecentocinquanta edifici, e questi ne costituiscono una prima tranche. 

I complessi da vendere subito sono caserme, magazzini, palazzi, interi isolati, ex sedi vescovili, fabbricati già dell’allora Partito fascista, perfino ville e intere isole. Come, a Venezia, Sant’Angelo delle Polveri (appunto antica polveriera, colpita da un fulmine e dalle conseguenti esplosioni nel 1689, in uso tuttavia fino alla seconda guerra mondiale e poi abbandonata) e San Giacomo in Palude (è stata lazzaretto, monastero abolito poi da Napoleone, e infine area militare, vincolata dal 1960); in città, si vende anche palazzo Duodo nel centralissimo campo Sant’Angelo, in cui, come da lapide, morì il compositore Domenico Cimarosa. Una caserma è in vendita a Bologna, altre a Bergamo e Pavia; con l’ex scuola di Sanità militare, già caserma Vittorio Veneto, a Firenze muteranno proprietario anche villa Tolomei e palazzo Buontalenti; a Trieste, l’ex sede del vescovado; a Genova, edifici del partito unico nel Ventennio. 

Nella capitale saranno venduti, a trattativa privata, l’ex Palazzo degli esami di via Induno, a Trastevere, e l’ex caserma di via Guido Reni. Il primo è del 1912; vi si sono tenuti gli esami di Stato e svariati concorsi fino a poco prima del 2000, quando è stato dismesso, e contemporaneamente vincolato. Due anni dopo, sono iniziati dei lavori per destinarlo a sede del servizio segreto civile: interrotti nel 2004, e abbandonati nel 2006, quando le opere sono state “desegretate”. A metà 2011, la ristrutturazione è ripresa, dopo che lo Stato pagava, pare, 600mila euro all’anno solo per noleggiare i ponteggi. Dopo undici anni di “mancato utilizzo” e diciannove mesi di lavori, le spese sostenute sembrerebbero aggirarsi sui tredici milioni di euro, e il restyling ha riguardato solo l’esterno: l’interno è ancora tutto da allestire. Nei lavori è comparsa anche l’ombra della P3, la presunta associazione segreta d’imprenditori e funzionari da qualche anno sotto indagine. 

L’ex caserma di via Guido Reni è invece al Flaminio, quartiere in cui ce n’erano tante: una è diventata il MAXXI, museo nazionale d’arte contemporanea, di Zaha Hadid. Agli inizi del secolo ormai scorso, il luogo era incolto. E diventa tra i primi poli industriali nella capitale dell’Italia unita: a inizio Novecento il sindaco Ernesto Nathan ne crea due, questo e quello, più grande, in riva al Tevere, all’Ostiense. Qui nel 1905 si stabilisce la Società automobili Roma; ma l’inizio del primo confitto mondiale muta il destino dell’area, riconvertita a usi militari. Lo stabilimento diventa la Reale fabbrica di armi. Nel secondo dopoguerra, perde significato: è sede di altre caserme, di alloggi, di ulteriori acquartieramenti. Finché, appunto, è dismesso anche dalla Difesa, anche se qualcuno continua ad abitarci. Quest’area era oggetto di attenzione del Cnr e del Ministero dei beni culturali. Del primo per raggrupparvi, in una metà della vasta area, gli istituti che hanno a che fare con il Mediterraneo e l’Oriente; del secondo, per trasferirvi dall’Eur i musei Pigorini e dell’Alto Medioevo, con quello d’Arte orientale che è a palazzo Brancaccio. I tre istituti pagano ora l’affitto all’Ente Eur e alla famiglia proprietaria dell’edificio, e costano, soltanto per questo, 2,4 milioni di euro all’anno. Invece no. L’area non passerà al Ministero dei beni culturali, bensì al Comune di Roma. Che ne farà un Polo della scienza, però munito anche di residenze e negozi. Metà spazio alla scienza, metà a settanta alloggi sociali e duecento residenze private, ma forse anche un albergo.


Il ponte di Calatrava a Venezia.


Strada interrotta con traliccio a Mori, in Trentino.

ART E DOSSIER N. 310
ART E DOSSIER N. 310
MAGGIO 2014
In questo numero: IL PRANZO E' SERVITO Cibo nell'arte: il pesce nella Grecia antica, la simbologia del pane, il nutrirsi come gesto e la dimensione alimentare nel contemporaneo. IN MOSTRA: Kahlo, Dora Maar. Direttore: Philippe Daverio