XXI secolo. 2
Daniel Spoerri in un’intervista
a Gino di Maggio,
direttore della Fondazione Mudima

RITUALITÀ
collettiva
e senso tragico

Il ritratto di un artista che ha fatto dei progetti-ristorante l’elemento caratterizzante della sua carriera creando dei veri e propri banchetti, da quelli memorabili degli anni Settanta a Milano all’ultimo organizzato alla Fondazione Mudima, sempre nel capoluogo lombardo. Un profilo, quello di Daniel Spoerri, che passando dal surrealismo al teatro dell’assurdo nasconde, non senza ironia, il senso dell’effimero e della caducità della vita.

Elena Agudio

In via Tadino 26, nell’uggioso e forse un po’ depresso scorso inverno milanese, per un intero mese, dal 10 di gennaio al 9 di febbraio, la Fondazione Mudima si è trasformata nel Bistrot di Santa Marta, un progetto di Daniel Spoerri (1930) intitolato alla santa patrona delle casalinghe, delle cuoche, delle domestiche, di tutti gli osti, albergatori e ristoratori. 

Il progetto si inserisce nella peculiare pratica artistica di Spoerri di ideare situazioni conviviali e banchetti nella forma di veri e propri spazi-ristorante - celebrando in modo performativo, e del tutto naturale, il “fluxus” di una ritualità collettiva quotidiana - per tentare poi di arrestarla, come in un fermo-immagine, nei suoi “tableaux-piège” (quadri trappola). 

Ne parliamo con Gino di Maggio, fondatore e direttore di Mudima, amico di Spoerri sin dai primi anni del Nouveau Réalisme e promotore del progetto. 

Il bistrot di Santa Marta è nato con uno spirito sportivo. Da tempo tentavo di sollecitare Daniel a tornare a Milano con un suo progetto-ristorante: dopo gli storici banchetti nel 1970 e nel 1975, passati ormai quarant’anni, pensavo fosse importante consacrare Milano quale città europea che ha ospitato più banchetti di Spoerri. Quello in occasione del decimo anniversario del Nouveau Réalisme, il 19 novembre 1970, era stato epocale e si era consumato al ristorante Biffi sotto il titolo L’ultima cena: banchetto funebre del Nouveau Réalisme, come apoteosi di una serie di celebrazioni memorabili: dalla storica mostra alla Rotonda della Besana alla performance di Christo in piazza della Scala, all’autodistruzione della Vittoria di Tinguely, ai “tiri di pittura” di Niki de Saint Phalle in galleria Vittorio Emanuele, e ai manifesti lacerati da Mimmo Rotella su un muro di piazza Formentini.


Le immagini che illustrano questo articolo provengono dalla mostra Il bistrot di Santa Marta (Milano, Fondazione Mudima, 10 gennaio - 9 febbraio 2014), di Daniel Spoerri. In foto, l’artista.

«Io non faccio che mettere un po’ di colla su degli oggetti; non mi permetto alcuna creatività»


La seconda serie di banchetti in città avvenne tra il 19 maggio e il l 5 giugno 1975, quando Spoerri, su mio invito, trasformò la galleria Multhipla nel Restaurant Spoerri (continuando l’avventura del suo ristorante aperto a Düsseldorf tra il 1968 e il 1971), e vi realizzò dodici cene astro-gastronomiche, ciascuna dedicata a un segno zodiacale. Ogni commensale era invitato a partecipare attivamente all’organizzazione della cena, portando con sé piatti, posate e tutto quello che serviva per consumare il pasto, e Spoerri, con l’aiuto di esperti e studiosi, preparava menu astrologici e serate a tema sulle diverse costellazioni. 

Sono molto felice di avere convinto Daniel a lavorare a un altro, e probabilmente suo ultimo, ristorante a Milano. E di avere sfruttato l’occasione per tornare a riflettere parallelamente sulle due grandi linee di ricerca della sua vita: i “tableaux-piège” degli anni Sessanta e i suoi più recenti assemblaggi di strumenti utili e inutili, raccolti nei mercati delle pulci di tutta Europa e suddivisi per tipologie, forme o funzioni, fissati in maniera più “classica” su tela, tavola o carta. A un certo punto della sua ricerca, l’idea di controllare il caso restituendolo in un’immagine congelata l’aveva messo in crisi: l’idea di fermare il tempo in un momento scelto e determinato dall’artista cominciava a creargli qualche problema. Ci rifletterà a lungo, soprattutto nei due anni di isolamento che trascorre in Grecia, a Symi, al ritorno dai quali, nel 1968, deciderà di aprire un ristorante a Düsseldorf e fondare la Eat Art Galerie. Negli anni successivi inizierà a collezionare oggetti di ogni tipo, a catalogarli e successivamente ad assemblarli in quelli che lui stesso ha definito «oggetti etnosincretistici», che riuniscono maschere primitive, oggetti da mercato delle pulci e simboli religiosi occidentali, per deridere ogni fede e ogni convenzione artistica. 

Abbiamo colto l’occasione per riportare insieme tutte queste dimensioni dell’opera di Spoerri, e per mettere in mostra un nuovo e inedito ciclo di lavori legati al mondo della cucina: ventuno tavole che presentano assemblaggi di utensili per cucinare, “objets trouvés” conservati e fissati in una raccolta ideale, che è tanto un riferimento al gesto del collezionare, quanto alla conservazione come traccia e memoria di situazioni vissute, di tradizioni e di costumi che delineano una sorta di ricostruzione archeologica del nostro tempo, rivissuta attraverso una pratica millenaria e archetipica come la preparazione e la consumazione del cibo. E forse questa sarà la sua ultima serie di “tableaux-piège”.



Quali sono i menu di Spoerri? Quanto la sua identità errante ha influenzato la sua pratica e la sua arte culinaria?

Il menu dell’Ultima cena era di carattere internazionale e costituito da cibi letteralmente ispirati alle opere dei Nouveaux Réalistes: per essere precisi ad Arman, per esempio, vennero serviti crostacei imprigionati nella gelatina come allusione alla sua pratica accumulatoria; a César delle “compressioni” di bonbon al liquore e del budino; a Christo un menu imballato, a Dufrêne una zuppa “lettrista”, a Niki de Saint Phalle il menu riservava una (Nana) Icecream e un Orologio liquido, per Raysse un nécessaire per trucco in marzapane, a Rotella la replica zuccherata del bidone d’olio Shell che porta il suo nome, a Tinguely un dolce farcito di palloni in membrana naturale, a Hains un Entremets de la Palissade decorato da mille candele, a Villeglé delle Moules Saint-Jacques au gratin Mahé, a Klein veniva offerta la ricostruzione del Ci-gît l’espace (qui giace lo spazio), e a Deschamps, assente, una mostrina militare commestibile lunga un metro. Il pezzo forte della cena però fu - ovviamente - quello per Pierre Restany, stilatore del manifesto e critico del movimento, che riceveva una maestosa tiara pontificale di pan di zucchero. 

Per il Bistrot di Santa Marta i menu di Spoerri si sono ispirati invece a riflessioni di tipo più antropologico e personale, recuperando antiche ricette come la ciorbă rumena (il nome è di derivazione araba), una tipica zuppa di verdure e carne che si cucina nei Carpazi e che si prepara a strati di otto centimetri, o, tra altre specialità italiane, invece, tre diversi modi di fare la trippa. 

Spoerri ha dichiarato: «Io non faccio che mettere un po’ di colla su degli oggetti; non mi permetto alcuna creatività»(1). Quanto contano l’ironia e lo spiazzamento nella sua opera? Quanto l’ idea di autorialità e di individualità nell’opera d’arte viene messa in discussione nella sua pratica artistica?

Spoerri è fondamentalmente un surrealista e un uomo di teatro. è stato un grande ballerino, un mimo, uno scenografo, è un artista capace di teatralizzare il senso della vita. Certamente sia l’ironia che il “détournement” hanno un ruolo centrale nella sua poetica. Nella sua gioventù, a Parigi, Spoerri scopre il teatro dell’assurdo: conosce Ionesco, Beckett, Tzara. La sua riflessione sull’arte di Duchamp e la frequentazione di Fluxus influenzano la sua concezione dell’ironia. Ma la sua opera, a mio parere, ha essenzialmente a che fare con il suo rapporto con la morte: l’effimero del suo lavoro, così come il suo impulso a controllare il caso e a congelare il tempo, hanno a che fare con il suo rapporto con il tempo e l’idea di finitudine. Uno dei capitoli più importanti della vita artistica di Spoerri - ed è forse uno dei meno conosciuti - è la serie di mostre Il Museo sentimentale (al Centre Pompidou nel 1977, nel contesto della mostra curata da Tinguely Le crocodrome, de Zig et Puce, poi a Colonia nel 1979, a Berlino nel 1981, a Basilea nel 1989, a Krems nel 2010, a Graz nel 2011 e nel 2012 nel Museo di storia naturale di Vienna) in cui l’artista cerca di ricostruire in una dimensione umana e storica il rapporto con gli oggetti prosaici, creando un linguaggio della vita, sovvertendo l’idea di “ready-made” e mostrando l’oggetto funzionale - e la sua storia nella vita e nelle relazioni di tutti i giorni - come arte. Era la fine degli anni Settanta, in un clima di crescente attitudine critica degli artisti verso l’istituzione museo, le sue collezioni e le sue pratiche (cfr. Institutional Critique)(2): Spoerri, insieme a Marie-Louise von Plessen, sente la necessità di riconnettere gli oggetti trovati a una memoria, a dei luoghi e a dei ricordi, lasciando da parte ogni intento scientifico o teoretico, e costruendo il suo racconto attorno a delle parole chiave, in un’atmosfera di sospensione poetica e “sentimentale”. Anche in questo suo rapporto con le cose e con gli oggetti, a mio parere, torna l’idea della morte. C’è qualcosa di tragico nel suo tentativo di fermare le cose. Gli oggetti strappati dalla loro realtà e dalla loro funzione vengono restituiti ad altra vita, simbolicamente ritornano a essere luoghi di memorie e a riesumare, archeologicamente, il processo di vita che si era consumato attorno a loro. 


«Sono contento di immaginare che sarò mangiato dai vermi! È una continuità che mi piace! Finora io ho mangiato gli animali, adesso è giusto che siano loro a mangiare me, così in un certo senso continuerò a vivere!»


Recentemente Spoerri ha scoperto Lucrezio, lo slancio epicureo del De Rerum Natura, la sua riflessione sulla “natura delle cose” e l’idea della liberazione dalla paura della morte, del dolore e degli dei. Con Mudima, stiamo lavorando alla pubblicazione di una straordinaria conversazione fittizia tra Spoerri e Lucrezio, Nil mors est ad nos - La morte non è niente per noi: un dialogo (im)possibile durante una passeggiata al mercato delle pulci di Vienna, incentrato sull’ossessione di Spoerri per gli oggetti e per la morte. 

Nell’introduzione, la curatrice del libro, Silvia Abruzzese, riporta le parole di Spoerri: «Sono contento di immaginare che sarò mangiato dai vermi! È una continuità che mi piace! Finora io ho mangiato gli animali, adesso è giusto che siano loro a mangiare me, così in un certo senso continuerò a vivere!».(3)





(1) Dictionnaire de l’Art moderne et contemporain, Parigi 1992 (nuova edizione 2006), p. 638.
(2) Vedi, per esempio, artisti come Marcel Broodthaers, Daniel Buren, Hans Haacke o Fred Wilson.
(3) S. Abruzzese, Nil mors est ad nos - La morte non è niente per noi, Dialogo (im)possibile tra Daniel Spoerri e Tito Lucrezio Caro (il libro, in corso di pubblicazione, sarà edito dalla Fondazione Mudima).


ART E DOSSIER N. 310
ART E DOSSIER N. 310
MAGGIO 2014
In questo numero: IL PRANZO E' SERVITO Cibo nell'arte: il pesce nella Grecia antica, la simbologia del pane, il nutrirsi come gesto e la dimensione alimentare nel contemporaneo. IN MOSTRA: Kahlo, Dora Maar. Direttore: Philippe Daverio