Quali sono i menu di Spoerri? Quanto la sua identità errante ha influenzato la sua pratica e la sua arte culinaria?
Il menu dell’Ultima cena era di carattere internazionale e costituito da cibi letteralmente ispirati alle opere dei Nouveaux Réalistes: per essere precisi ad Arman, per esempio, vennero serviti crostacei imprigionati nella gelatina come allusione alla sua pratica accumulatoria; a César delle “compressioni” di bonbon al liquore e del budino; a Christo un menu imballato, a Dufrêne una zuppa “lettrista”, a Niki de Saint Phalle il menu riservava una (Nana) Icecream e un Orologio liquido, per Raysse un nécessaire per trucco in marzapane, a Rotella la replica zuccherata del bidone d’olio Shell che porta il suo nome, a Tinguely un dolce farcito di palloni in membrana naturale, a Hains un Entremets de la Palissade decorato da mille candele, a Villeglé delle Moules Saint-Jacques au gratin Mahé, a Klein veniva offerta la ricostruzione del Ci-gît l’espace (qui giace lo spazio), e a Deschamps, assente, una mostrina militare commestibile lunga un metro. Il pezzo forte della cena però fu - ovviamente - quello per Pierre Restany, stilatore del manifesto e critico del movimento, che riceveva una maestosa tiara pontificale di pan di zucchero.
Per il Bistrot di Santa Marta i menu di Spoerri si sono ispirati invece a riflessioni di tipo più antropologico e personale, recuperando antiche ricette come la ciorbă rumena (il nome è di derivazione araba), una tipica zuppa di verdure e carne che si cucina nei Carpazi e che si prepara a strati di otto centimetri, o, tra altre specialità italiane, invece, tre diversi modi di fare la trippa.
Spoerri ha dichiarato: «Io non faccio che mettere un po’ di colla su degli oggetti; non mi permetto alcuna creatività»(1). Quanto contano l’ironia e lo spiazzamento nella sua opera? Quanto l’ idea di autorialità e di individualità nell’opera d’arte viene messa in discussione nella sua pratica artistica?
Spoerri è fondamentalmente un surrealista e un uomo di teatro. è stato un grande ballerino, un mimo, uno scenografo, è un artista capace di teatralizzare il senso della vita. Certamente sia l’ironia che il “détournement” hanno un ruolo centrale nella sua poetica. Nella sua gioventù, a Parigi, Spoerri scopre il teatro dell’assurdo: conosce Ionesco, Beckett, Tzara. La sua riflessione sull’arte di Duchamp e la frequentazione di Fluxus influenzano la sua concezione dell’ironia. Ma la sua opera, a mio parere, ha essenzialmente a che fare con il suo rapporto con la morte: l’effimero del suo lavoro, così come il suo impulso a controllare il caso e a congelare il tempo, hanno a che fare con il suo rapporto con il tempo e l’idea di finitudine. Uno dei capitoli più importanti della vita artistica di Spoerri - ed è forse uno dei meno conosciuti - è la serie di mostre Il Museo sentimentale (al Centre Pompidou nel 1977, nel contesto della mostra curata da Tinguely Le crocodrome, de Zig et Puce, poi a Colonia nel 1979, a Berlino nel 1981, a Basilea nel 1989, a Krems nel 2010, a Graz nel 2011 e nel 2012 nel Museo di storia naturale di Vienna) in cui l’artista cerca di ricostruire in una dimensione umana e storica il rapporto con gli oggetti prosaici, creando un linguaggio della vita, sovvertendo l’idea di “ready-made” e mostrando l’oggetto funzionale - e la sua storia nella vita e nelle relazioni di tutti i giorni - come arte. Era la fine degli anni Settanta, in un clima di crescente attitudine critica degli artisti verso l’istituzione museo, le sue collezioni e le sue pratiche (cfr. Institutional Critique)(2): Spoerri, insieme a Marie-Louise von Plessen, sente la necessità di riconnettere gli oggetti trovati a una memoria, a dei luoghi e a dei ricordi, lasciando da parte ogni intento scientifico o teoretico, e costruendo il suo racconto attorno a delle parole chiave, in un’atmosfera di sospensione poetica e “sentimentale”. Anche in questo suo rapporto con le cose e con gli oggetti, a mio parere, torna l’idea della morte. C’è qualcosa di tragico nel suo tentativo di fermare le cose. Gli oggetti strappati dalla loro realtà e dalla loro funzione vengono restituiti ad altra vita, simbolicamente ritornano a essere luoghi di memorie e a riesumare, archeologicamente, il processo di vita che si era consumato attorno a loro.
«Sono contento di immaginare che sarò mangiato dai vermi! È una continuità che mi piace! Finora io ho mangiato gli animali, adesso è giusto che siano loro a mangiare me, così in un certo senso continuerò a vivere!»
Recentemente Spoerri ha scoperto Lucrezio, lo slancio epicureo del De Rerum Natura, la sua riflessione sulla “natura delle cose” e l’idea della liberazione dalla paura della morte, del dolore e degli dei. Con Mudima, stiamo lavorando alla pubblicazione di una straordinaria conversazione fittizia tra Spoerri e Lucrezio, Nil mors est ad nos - La morte non è niente per noi: un dialogo (im)possibile durante una passeggiata al mercato delle pulci di Vienna, incentrato sull’ossessione di Spoerri per gli oggetti e per la morte.
Nell’introduzione, la curatrice del libro, Silvia Abruzzese, riporta le parole di Spoerri: «Sono contento di immaginare che sarò mangiato dai vermi! È una continuità che mi piace! Finora io ho mangiato gli animali, adesso è giusto che siano loro a mangiare me, così in un certo senso continuerò a vivere!».(3)