In tendenza 


BATTUTA D’ARRESTO
PER GUPTA

di Daniele Liberanome

Sono ormai più di dieci anni che l’indiano Subodh Gupta, autore di opere simboliche e legate alla cultura del suo paese, non raggiunge quotazioni di rilievo. Quali le ragioni?

L'India oggi? Non è solo gli intoccabili di Calcutta ma neppure tutta quanta i milionari di Mumbai e Nuova Delhi. Il boom economico ha portato grandi ricchezze, basate però sulle profonde povertà e Subodh Gupta (1964) bene lo sa e ottimamente lo rappresenta. Nato in un povero villaggio del Bihar, uno Stato ai margini nord-occidentali del subcontinente, rimase presto orfano e riuscì solo grazie allo smisurato talento e alla notevole forza di volontà ad arrivare a Dehli e a introdursi nel mondo dell’arte. Con successo crescente, mise a punto il suo linguaggio artistico, imparentato specie con Duchamp ma radicato nella storia sociale del suo paese. Gli hanno poi spalancato le porte grandi gallerie, biennali, musei, case d’asta maggiori, eppure è un po’ di tempo che le sue quotazioni record sono un ricordo. È questione di moda? Di creatività non compresa? Di immagine pubblica pesantemente macchiata da scandali sessuali? Di fiducia solo apparente nel suo talento? Certo, le sue opere sono ben riconoscibili e di notevole impatto.

Esempio per tutti Untitled del 2007 che Christie’s offrì l’11 giugno 2008 a Londra: da lontano appare una circonferenza perfetta, luccicante, che potrebbe essere interpretata come simbolo di una realtà davvero invidiabile; se non che da vicino emerge come il luccichio sia dovuto alla luce riflessa su un ammasso di pentolame in acciaio inossidabile, tipo quello utilizzato nelle povere cucine indiane. L’opera fa pensare a un’accumulazione alla César, oppure al riutilizzo di materiali comuni alla Duchamp, o agli effetti dei palloncini di Koons, ma qui il focus è sulla contraddizione fra il ricco rifulgere e ciò che lo determina; casomai anche allo slogan «India Shining» (L’india che brilla), utilizzato dal partito nazionalista induista (BJP-Bharatiya Janata Party,) per vincere le elezioni del 2004. Untitled, presentato a South Kensington, nella piazza londinese minore di Christie’s e quindi senza troppe aspettative, venne poi aggiudicato per 760mila euro.

Simile per idea sottostante, realizzazione e risultati è Miter datato sempre 2007, in cui l’umile pentolame luccicante crea una forma che ricorda il copricapo degli alti prelati cristiani, ma anche quello indossato da Visnù, visto dal basso. Qui Gupta sottolinea il valore sacro che la tradizione indiana attribuisce alla cucina ma anche la distorsione dei valori creati dal consumismo. Presentato da Christie’s di New York, sempre nel 2008 (il 16 settembre), è stato venduto per 715mila euro, cioè ai livelli di Unititled che resta il top lot dell’artista. Da allora, Gupta non ha più raggiunto quotazioni del genere.

Cheap Rice fa pensare agli scarsi introiti che gli indiani ottengono dalle attività umili e tradizionali. Nell’opera, un risciò in metallo trasporta una strabordante quantità di pentolame, stavolta di una forma che potrebbe ricordare l’utero della donna incinta o il tradizionale “akshayapatra” (traslitterazione dal sanscrito che significa letteralmente recipiente inesauribile). L’indubitabile impatto dell’opera convinse un collezionista a pagarla ben 670mila euro da Christie’s di New York - ma era il 12 novembre del solito 2008.


Cheap Rice (2006).

Un’altra versione della stessa opera, appena più grande e luccicante, venne offerta anche da Sotheby’s di Londra il 12 ottobre 2012, e allora bastarono 300mila euro per acquistarla. Una discesa di prezzo davvero notevole. In effetti l’inizio del decennio passato ha segnato una brusca battuta d’arresto per Gupta, anche perché si era esaurita l’onda lunga di notorietà acquisita con la partecipazione alla Biennale di Venezia del 2007. Allora, il suo Very Hungry God, un enorme cranio con la bocca semiaperta - che ricorda Hirst e pare pronto a mangiare vittime - fatto tutto del pentolame tradizionale che già conosciamo, venne esposto per mesi sul Canal grande di fronte alla collezione Pinault. Tutti ne parlarono. Ma negli anni successivi, Gupta è parso adagiarsi sugli allori e perdere di creatività e mordente; così le case d’asta si sono trovate a riproporre pezzi dei suoi anni più attivi, ma senza raccogliere ormai molto. Hungry God, datato 2005, che ricorda l’enorme lingua di una divinità tradizionale indiana realizzata col pentolame, venne offerta da Sotheby’s di Londra il 31 maggio 2011 con la stima non proibitiva di 350-450mila euro, ma andò invenduta. E così è spesso accaduto negli anni successivi e di Gupta si è sentito parlare sempre meno, nonostante gallerie del calibro di Hauser & Wirth abbiano continuato a dargli fiducia. Poi, nel 2018, accadde qualcosa di grave. Gupta venne accusato di molestie sessuali da una fonte anonima legata al movimento Me Too. Poteva essere il colpo definitivo, ma Gupta reagì con decisione, querelò gli accusatori, che alla fine dovettero ritirare la denuncia. Salì così di nuovo alla ribalta e proprio in quell’anno le sue quotazioni ebbero un rimbalzo interessante specie in patria. Il 13 giugno 2018, Saffronart, una casa d’asta indiana che opera con successo online, ripropose Hungry God e la piazzò per quasi 180mila euro, lontano dalle stime di un tempo ma ottenendo comunque un discreto risultato.

Andò ancora meglio con This Side is the Other Side in cui il pezzo centrale è una Vespa indiana, invece del risciò. Il 4 dicembre 2018, Saffronart la vendette per 226mila euro. Le quotazioni più recenti di Gupta sono meno importanti, ma indicano una ripresa di interesse per un artista che ha dalla sua parte la notevole qualità delle opere dei suoi anni migliori.

ART E DOSSIER N. 379
ART E DOSSIER N. 379
SETTEMBRE 2020
In questo numero: RICORDO DI VITTORIO GREGOTTI. La forma e il contesto. IL MISTERO OLTRE L'IMMAGINE. Key Sage la surrealista. L'artista veggente cieco. Un'ipotesi per Michelangelo. IN MOSTRA: Fornasetti a Parma. Caravaggeschi a Roma.Direttore: Philippe Daverio