XX secolo
Titolo

L’ENIGMA DELLO SPAZIO
NELL’IMMOBILITÀ DEL TEMPO

Vuoto, sospensione, assenza, fragilità, distanza, separazione sono alcuni elementi osservabili nelle opere di Kay Sage, pittrice e poetessa americana, aderente al movimento surrealista. Luoghi di ricordi, spesso dolorosi, dispersi in solitari e angoscianti scenari onirici.

Alba Romano Pace

«Hai mai visto un orologio fermarsi nel preciso istante in cui lo guardiamo? Io sì, mi ha divertita! Niente più si muove. Il tempo è sospeso per sempre»(1), pronuncia la sfinge Kay Sage. E ancora domanda: «Se un buco fosse solo un buco senza qualcosa intorno, chi saprebbe che è un buco e come lo troverebbero?»(2).

L’artista era ossessionata dall’enigma dello spazio nell’immobilità del tempo. Era tormentata dal vuoto, rappresentato nella sua pittura in modo algido, vertiginoso, per simboleggiare le infinite distanze che separano l’essere dal divenire. Sovrastrutture imponenti, architetture esili quanto presenti, fragili gabbie esistenziali, obelischi della solitudine. Era introversa, schiva, nonostante l’altezza, i sottili capelli biondi e ondulati, la pelle marmorea rendessero difficile non notarla in società. Katherine Linn Sage nasce il 25 giugno 1898, ad Albany (Stato di New York), da genitori non perfettamente assortiti: Henry Manning Sage, senatore dello Stato di New York, fervente conservatore e facoltoso industriale, e Anne Wheeler, anticonformista e licenziosa, fisico seducente e fragilissima psiche. Kay è la seconda figlia, cresce tra gli agi e le nevrosi materne, scandite dalle lunghe traversate in transatlantico per recarsi annualmente a Parigi a rinnovare il guardaroba o in Italia, a Rapallo (Genova) per le vacanze estive. Durante i lunghi tragitti oltreoceano, seduta sul ponte della nave disegna per ore, fissando l’infinita distesa blu del mare avvolto nella bruma.

Nel 1900 i suoi genitori divorziano, uno scandalo nell’America puritana che segna l’artista mentre segue la madre sempre più instabile. Nel 1914 si iscrive alla Corcoran School of Art & Design di Washington. Qualche anno dopo, scoperta la sua relazione con un uomo sposato, il padre invia la figlia dalla madre a Rapallo ma alla villa a strapiombo sul mare e alla tirannia materna preferisce lo studio e nel 1920 si trasferisce a Roma, inizialmente nei pressi della stazione Termini, poi acquista un grande appartamento nel vetusto palazzo Rospigliosi, sulla piazza del Quirinale.


Le passage (1956).

(1) K. Sage, The More I Wonder, New York 1957, in Surrealist Woman, an International Anthology, a cura di P. Rosamond, Londra 1998, p. 275.

(2) Ead., Poems, in “Art News”, vol. 53, 1954, p. 27.

Le grida echeggiano tra le pareti invisibili di fragilissime torri, costruzioni inconsistenti

Segue i corsi alla British Academy e alla Scuola libera delle belle arti e incontra un anziano pittore, Onorato Carlandi, fondatore del gruppo I Venticinque della campagna romana. Sage, unica donna, giovanissima rispetto agli altri artisti del gruppo, si sveglia all’alba e con tele e pennelli raggiunge la comitiva che si reca in treno nelle campagne romane. Ancora una volta il suo sguardo si sperde in una nuova ampiezza, le distese dei campi, le rovine, i cipressi delle colline romane.

«[Carlandi] non mi ha insegnato a dipingere. Non ci ha neppure provato. Ma mi ha insegnato a pensare come non avevo mai pensato prima»(3). Eppure, osservando le opere di entrambi dal punto di vista della composizione formale, alcuni suoi dipinti possono ricordare quelli di Carlandi ma l’ambiente e la resa pittorica ne sono nettamente distanti. Se talune forme richiamano i cipressi, nei quadri dell’artista americana sembra che un’inesorabile distesa di ghiaccio abbia ricoperto le campagne romane, trasformandole in vestigia di una civiltà ignota, arcaica quanto futura.


Tomorrow is Never (1955), New York, Metropolitan Museum of Art.

Interiorizzati, quei ricordi di giorni lontani si trovano adesso raggelati nel tempo, sotto una coltre di acciaio che ne ha metallizzato i colori, smussato le dolci curvature rendendo le colline rocce taglienti, sconosciuti orizzonti su panorami onirici, luoghi di memoria silente, irrimediabilmente perduti.

«L’ispirazione? L’immaginazione? Non esiste», scrive l’artista nella sua autobiografia nel 1955. «Essere ispirato vuol dire ricordarsi. E l’immaginazione è il frutto indiretto dell’osservazione»(4).

(3) Ead., China Eggs, Charlotte (Stati Uniti) 1995, p. 121.

(4) Ivi, p. 105.

Trascorre quindici anni tra Roma e Rapallo, sposa nel 1925 il principe Ranieri di San Faustino dopo un lungo fidanzamento propedeutico per acquisire un’erudizione da vera nobile. Durante il matrimonio l’artista soffre una grande solitudine, lontana da tele e pennelli. Si ritira dall’accidia della società romana, scrivendo e illustrando un libro per bambini dal metaforico titolo Piove in giardino. Trasferitasi a Parigi, divorzia nel 1935 e da allora si concentra solamente sulla pittura. Ha una prima personale a Milano alla Galleria Il Milione, ma è la capitale francese a cambiare il suo destino. Una sua opera, In seguito (1937), esposta al Salon des Surindépendants, attira l’attenzione di tre illustri visitatori: André Breton, Yves Tanguy e Nicolas Calas. Breton riconosce immediatamente nell’atmosfera inquietante della tela lo spirito surrealista, chiede di conoscerne l’autore convinto che si tratti di un uomo. La sorpresa è grande quando il trio si ritrova in un lussuoso palazzo dell’Île Saint-Louis, nel cuore di Parigi, invitati da una pittrice americana, che alcuni chiamano ancora principessa per via del suo ex matrimonio. Se Breton non amerà mai Kay Sage tacciandola di essere borghese, Yves Tanguy ne resta affascinato. La loro relazione inizia tra la condivisione dell’amore per de Chirico e le fughe clandestine nel Sud della Francia, lontani dalla moglie del pittore francese. Sage raggiunge i surrealisti a Chemilieu nel 1939, partecipa a giochi collettivi, discussioni e dibattiti riguardanti nuove teorie sulla pittura.

La seconda guerra mondiale esplode e attraverso il Ministero dei beni culturali Kay organizza una serie di mostre dei surrealisti a New York aiutando gli artisti a fuggire dal nazismo. Tra loro Tanguy, Breton, Jacqueline Lamba, André Masson e molti altri che sosterrà finanziariamente una volta arrivati negli Stati Uniti. L’amore per Tanguy diventa ufficiale, si sposano nel 1940 e si trasferiscono a Woodbury nel Connecticut, in una grande dimora chiamata Town Farm dove dalla vasta terrazza in pietra si vede uno stagno fatto scavare come indicato da un disegno di Tanguy. Inizia un dialogo silenzioso tra due artisti, un pittore rinomato e una pittrice finalmente libera da drappi e impalcature che l’hanno tenuta lontana dalla pittura.


In the Third Sleep (1944), Chicago, Art Institute of Chicago.


No Passing (1954), New York, Whitney Museum of  American Art.

Interroga l’infinito nel passaggio dall’esistenza all’assenza

Eppure drappeggi e sovrastrutture continuano a tormentarla, comparendo come spettri nei suoi quadri, ergendosi a impervie rovine dell’Io, fendendo estesi orizzonti come recinti impossibili da valicare, rafforzati da radici inestirpabili. In diverse opere si riconoscono dei telai ammassati che sembrano quadri in attesa, o ancora tele bianche come quelle appese ai pilastri in No Passing (1954). Sono quei quadri mai realizzati, ormai perduti nelle maglie del tempo quando la principessa Kay Sage era tenuta lontana dalla pittura per la sua incapacità di ribellarsi agli obblighi richiesti a una nobildonna.

In un dialogo autobiografico scrive: «Dici che la pittura è la cosa più importante della tua vita ma non ho l’impressione che tu abbia dipinto molto. Ma sì, tutto il tempo! Nulla d’importante all’inizio ma ci pensavo continuamente. Conosci la storia di Whistler a cui domandano quanto ci ha messo a dipingere un quadro; lui risponde “quaranta anni e mezz’ora”»(5). Sage porta dentro si sé il rimorso del tempo perduto.


Danger, Construction Ahead (1940), New Haven, Yale University Art Gallery.

Nel 1955, scrive la sua autobiografia China Eggs (Uova di porcellana). L’uovo elemento perfetto, fragilissimo involucro di vita, simbolo di fertilità, appare spesso nelle sue pitture (come per altre artiste surrealiste). L’uovo era per lei un oggetto legato all’infanzia, da bambina rubava le uova di uccelli rari che il padre collezionava in scatole dal fondo di sabbia bianca. Entrata nel surrealismo Kay espone in importanti collettive: 31 Women all’Art of This Century, la galleria-museo di Peggy Guggenheim a New York, Le Surréalisme en 1947 alla Galerie Maeght di Parigi, ancora personali a New York presso le gallerie di Pierre Matisse, Julien Levy, Catherine Viviano. Si impone di non esporre mai al fianco di Tanguy, divenuto tra i surrealisti più noti negli Stati Uniti, fino al 1954 quando in una mostra al Wadsworth Atheneum di Hartford, nel Connecticut, si presenta con il marito. Un ultimo evento insieme: Yves Tanguy muore improvvisamente nel gennaio 1955 per un’emorragia cerebrale. Lei sprofonda nella depressione. Scrive poemi e testi in prosa: The More I Wonder; Demain Monsieur Silbert; Faut dire c’qui est; Mordicus, illustrato da Dubuffet. Intanto i suoi quadri gridano angoscia e solitudine: Tomorrow is Never è il primo creato dopo la morte del consorte.

«Ho costruito la torre sulla disperazione. Non vi senti nulla, non vi è nulla da vedere. Non vi è risposta quando nero su nero grido, grido nella mia torre d’avorio». Le grida si sperdono nelle sue tele, rimbombano nell’interiorità senza poter uscire, echeggiano tra le pareti invisibili di fragilissime torri, costruzioni inconsistenti. «Ti puoi distaccare portando il dolore al di fuori di te stessa. Innalzarlo come un monumento e camminarvi intorno. Posso parlarne perché l’ho fatto. Ho camminato attraverso interi parchi di dolore. Osservando ogni monumento come un’opera di scultura»(6).

Nel 1956 la tela Le passage mostra per la prima volta dopo molti anni una figura umana, si riconosce l’artista adolescente, la pelle diafana, i capelli dorati. Interroga l’infinito, nel passaggio dall’esistenza all’assenza. Un parallelo con il ritratto del Minotauro del 1885 di George Frederic Watts è d’obbligo. L’artista s’identifica con l’essere ibrido, melanconico prigioniero del suo labirinto. Nei suoi ultimi anni Kay Sage si occupa meticolosamente dell’inventario dell’opera di Tanguy, un lavoro che la impegnerà per molto tempo. Contemporaneamente la sua vista si appanna e non le permette più di dipingere, crea acquerelli e collage con ciottoli, legno e oggetti di piccolo formato. Portato a termine il catalogo ragionato del marito, ordinati i lasciti dei quadri di entrambi, i libri, gli oggetti, decide di abbandonare la sua pericolante torre d’avorio, si uccide l’8 gennaio del 1963 sparandosi al cuore, fermando il ritmo del suo tempo, ma preservandolo eternamente sospeso nel mistero della sua pittura.

DOCUFILM SU KAY SAGE

Il film girato da Fabrice Maze, Kay Sage, la Princesse aux oeufs chinois (2020, acquistabile sul sito www.sevendoc.com, disponibile in francese, inglese e spagnolo), è il ventiquattresimo della Collection Phares. Fondata nel 2003 da Aube Elléouët-Breton (figlia di André Breton e di Jacqueline Lamba) e da sua figlia Oona Elléouët, in coproduzione con Seven Doc, la Collection Phares nasce dalla volontà di creare una memoria degli artisti surrealisti al fine di trasmettere la storia del movimento d’avanguardia grazie a una serie di eleganti cofanetti dvd (contenenti uno o più film documentari inediti, accompagnati da una piccola pubblicazione). «Vi figurano alcuni celebri artisti e altri meno. Con lo scopo che i primi portino in luce i secondi», afferma Aube Elléouët-Breton.




(5) Ivi, p. 103.

(6) Ivi, p. 66.

ART E DOSSIER N. 379
ART E DOSSIER N. 379
SETTEMBRE 2020
In questo numero: RICORDO DI VITTORIO GREGOTTI. La forma e il contesto. IL MISTERO OLTRE L'IMMAGINE. Key Sage la surrealista. L'artista veggente cieco. Un'ipotesi per Michelangelo. IN MOSTRA: Fornasetti a Parma. Caravaggeschi a Roma.Direttore: Philippe Daverio