Intervista
Kiran Nadar, presidente del Kiran Nadar Museum of Art a Nuova Delhi

UN MUSEO
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Inaugurato dieci anni fa, il Kiran Nadar Museum of Art, grazie a un nuovo progetto, arricchirà la sua collezione d’arte moderna e contemporanea indiana e amplierà l’offerta culturale con danza, musica ed educazione artistica. “Art e Dossier” ha parlato con la presidente della prestigiosa istituzione per scoprirne la genesi e le prospettive future.

Riccarda Mandrini

Il primo incontro tra il Kiran Nadar Museum of Art di Nuova Delhi e l’Italia è avvenuto nel contesto di uno dei più prestigiosi eventi internazionali: la 58. Biennale di Venezia, nell’estate del 2019. In quell’occasione il museo indiano, quale “main partner” in collaborazione con il Ministero della cultura dell’India, con la Confederation of Indian Industry (CII) e la National Gallery of Modern Art di Nuova Delhi presentò, dopo anni di assenza, il padiglione del grande Stato asiatico.

Ospitato negli spazi dell’Arsenale e titolato Our Time for Future Caring, il padiglione era dedicato ai centocinquant’anni della nascita del Mahatma Gandhi (1869-1948). Era concepito come un viaggio nella storia recente dell’arte indiana, a partire dalla sua modernità per giungere all’oggi attraverso i lavori di Nandalal Bose, M.F. Husain (Maqbool Fida Husain), G.R. Iranna (Iranna Rukumpur), Jitish Kallat, Atul Dodiya, Shilpa Gupta, Ashim Purkayastha e Rummana Hussain.

Veduta di una sala.


Veduta di una sala. Le opere riprodotte in questo articolo fanno parte della collezione permanente del Kiran Nadar Museum of Art a Nuova Delhi.

Uno spazio per stimolare l’immaginazione, nuovi modi di pensare

Per molte delle opere presenti nella biennale veneziana era la prima volta in Italia, come nel caso della preziosa sequenza di dipinti Haripura Panels, realizzata sul modello della Folk Art indiana, commissionata da Gandhi a Nandalal Bose nel 1938 per il congresso del Partito nazionale indiano svolto a Haripura. Sempre sulla scia degli inediti preziosi, vi era un quadro di medie dimensioni in cui un villaggio indiano era ritratto con piglio moderno, scandito da una figurazione essenziale e geometrica. Il dipinto, Zameel (1955), era a firma di M.F. Husain, artista e cofondatore di Progressive Artists Group, il collettivo che aprì, a seguito dell’indipendenza dell’India (1947), alla modernità artistica nel paese. La tela era la resa iconografica dell’idea gandhiana dei “villaggi indipendenti”, sancita dal leader politico e spirituale nel capitolo “Every Village a Republic” del suo libro India of my Dreams.

Anche se non tutte le opere visibili nel padiglione della mostra di Venezia erano di proprietà della collezione del Kiran Nadar Museum of Art, tutti gli artisti erano e sono ancora oggi rappresentati dallo stesso museo.

Veduta di una sala.


Vivan Sundaram, Two Boys Sitting on the Outer Wall (1985).

Inaugurato nel 2010, il Kiran Nadar è un’istituzione privata nata dalla volontà di una famiglia di imprenditori e filantropi indiani. Supportato dalla Shiv Nadar Foundation, vanta una collezione di oltre cinquemila opere di autori del subcontinente, moderni e contemporanei.

Gli obiettivi che Kiran (moglie di Shiv Nadar) si è posta come presidente del museo sono chiari. Riguardano, in ambito locale, la capacità di rendere l’arte accessibile a tutti, forte dell’importanza di creare spazi dedicati «for the Life of the Imagination», ovvero per stimolare nuovi modi di pensare; mentre, a livello internazionale, perseguono la possibilità di realizzare uno scambio culturale che a oggi vanta oltre cento collaborazioni con molti enti per l’organizzazione di mostre e altre iniziative d’arte. Il museo si estende su una superficie di trentaquattromila metri quadrati, nessun biglietto d’ingresso è previsto.
Oltre a essere custode di una cospicua collezione permanente, il Kiran Nadar Museum of Art organizza annualmente un fitto programma di mostre. Negli anni ha proposto rassegne personali e collettive tali da creare un percorso narrativo che copre l’intera produzione storicoartistica dell’India. Emblematiche le mostre personali dedicate ad Arpita Singh (1937), Vivan Sundaram (1943), Nalini Malani (1946), Amar Kanwar (1964), Dayanita Singh (1961), Rameshwar Broota (1941), Jeram Patel (1930-2016) o rassegne tematiche quali Pond near the Field. Five Artists from Kerala, Constructs-Constructions, una collettiva con opere di autori moderni e contemporanei, Seven Contemporaries. Part of Difficult Loves, raccolta attorno al lavoro di sette artiste appartenenti a due generazioni successive. 

“Art e Dossier” ha intervistato la presidente del museo, Kiran Nadar.


Rameshwar Broota, Runners (1982).

«Credo fermamente nel fatto che l’arte non debba essere chiusa a chiave»
(Kiran Nadar)


Ci presenta la collezione d’arte Nadar?
All’inizio ho cominciato a collezionare opere d’arte per la mia casa. La mia prima acquisizione fu un lavoro di Rameshwar Broota, Runners, una tela monocroma di due metri per due con un nudo maschile. Fu un’esperienza piuttosto coraggiosa. Quando parlai a mio marito del contenuto dell’opera, ne rimase quasi inorridito. Allora, nostra figlia era molto giovane e mia suocera passava molto tempo a casa nostra. Quindi chiesi a Shiv di accompagnarmi a visitare lo studio dell’artista per dirgli che avremmo ritirato l’offerta. Ma nel momento in cui vide il quadro disse: «Dobbiamo averlo». Da quel giorno ho continuato a costruire la nostra collezione. Nel tempo, tra i diversi lavori, commissionai un’opera a M.F. Husain, che ne realizzò due. Le comprammo entrambe: una era una tela della serie Mother Teresa, l’altra un dipinto in cui era rappresentata una mucca e un’immagine di Krishna infante, ispirato al Mahabharata. Oggi la collezione del museo rappresenta un ampio “range” di opere di autori dell’arte moderna e contemporanea indiana.


Amrita Sher-Gil, Autoritratti (1927-1928).

M.F. Husain, Zameel (1955).

Dal collezionismo privato alla creazione del Kiran Nadar Museum: come ha maturato questa scelta?

Come è avvenuto questo passaggio? L’idea di aprire un museo è nata dalla volontà di condividere la raccolta. Realizzai che alla base della mia passione vi era la volontà di sensibilizzare le persone riguardo all’incredibile patrimonio di arte e cultura del mio paese. Iniziai a collezionare opere per decorare la mia abitazione e quando la casa fu piena decisi di metterle in deposito. Un comportamento però che non trovai giusto. Così, visto che mio marito e io sosteniamo diversi progetti filantropici, pensai che anche dar vita a un museo potesse rappresentare un atto filantropico. Il mio desiderio era creare un luogo dove l’arte fosse accessibile a tutti, non solo alle élites. Credo fermamente nel fatto che l’arte non debba essere chiusa a chiave.

Come avvengono le acquisizioni per il museo?

Comprare opere per il museo anziché per una collezione personale richiede una responsabilità differente. Molti acquisti li faccio soprattutto in asta, al telefono, è più discreto (Christie’s, Saffronart e, di recente, Sotheby’s). Mi rivolgo inoltre alle gallerie e, a volte, anche direttamente agli artisti. Quando poi non trovo quello che mi interessa in asta o nelle gallerie, mi attivo in altri modi per portare a termine la mia ricerca.


Nel 2013 avete presentato una mostra che includeva le opere di Amrita Sher-Gil, la sua storia come artista e donna è avvincente. Avete dei suoi lavori nella collezione permanente?

Era una mostra collettiva (Seven Contemporaries. Part of Difficult Loves) in cui erano proposte le opere di nove artiste donne. Una intera sezione (“The Self in Making. Part of Difficult Loves”) era dedicata al lavoro di Amrita Sher-Gil. Sì, abbiamo alcune sue opere nella collezione del museo, ma di fatto non ci sono tanti suoi lavori a disposizione perché l’artista ne donò molti alla National Gallery of Modern Art di Nuova Delhi.


Amrita Sher-Gil, Autoritratto al cavalletto (1930 circa).

L’architetto David Adjaye sta lavorando al progetto del nuovo museo. Anzi più che un nuovo museo, uno spazio per le arti…

Sono convinta che affidare il progetto del nuovo museo a un architetto internazionale, che vanta una grande esperienza in questo ambito, sia un valore aggiunto, sir David Adjaye lo è. Il nuovo museo ospiterà in modo permanente più di seimila opere d’arte e certamente continuerà a essere aperto a tutti, come lo è oggi. Diventerà un centro culturale con spazi per la danza, la musica, l’educazione artistica, tutto raccolto in un luogo caratterizzato da un’architettura di pregio.


Negli anni recenti qual è stata l’esposizione che ha avuto maggior successo?

Difficile dirlo, tutte hanno ottenuto in maniera diversa ottimi risultati. Se pensi che nel tempo le nostre collaborazioni con i musei internazionali sono cresciute, questo dà la misura del valore e dell’interesse per i nostri progetti. Negli anni abbiamo organizzato mostre insieme al Met Breuer (New York), al Centre Pompidou (Parigi), al Musée Guimet (Parigi), alla Tate Modern (Londra), al Reina Sofía (Madrid). Tra le collaborazioni che hanno riscosso interesse, c’è sicuramente la nostra presenza alla 58. Biennale di Venezia. Era la prima volta dopo molti anni che l’India partecipava con un proprio padiglione.

ART E DOSSIER N. 379
ART E DOSSIER N. 379
SETTEMBRE 2020
In questo numero: RICORDO DI VITTORIO GREGOTTI. La forma e il contesto. IL MISTERO OLTRE L'IMMAGINE. Key Sage la surrealista. L'artista veggente cieco. Un'ipotesi per Michelangelo. IN MOSTRA: Fornasetti a Parma. Caravaggeschi a Roma.Direttore: Philippe Daverio