Il senso nascosto


dalle ceneri
la rinascita

di Marco Bussagli

«
Non ci sono più le mezze stagioni», dice un adagio moderno che tradisce tutto il profondo senso di colpa che attraversa la nostra civiltà industriale e tecnologica, conscia di andare ben al di là dell’equilibrato sfruttamento delle risorse naturali. Le politiche energetiche, miopi e preoccupate solo di procurare proftti certi e consistenti, hanno rischiato e rischiano di dissestare quel fragile equilibrio che permette il perdurare della vita sulla terra. Eppure, miracolosamente, ogni anno, la Natura dimostra di essere più saggia e generosa dell’uomo e, dopo un inverno piovoso e disastrato (che di nuovo, soprattutto nel nostro paese, ci pone dinanzi a responsabilità e inadempienze), il clima si addolcisce e si avvia verso un regime temperato che sfocia in quella meravigliosa stagione che è la primavera. Un tempo, questo, che si caratterizza per il rinnovamento del creato e che è così importante nel percorso mentale umano (da qui scaturisce l’idea di rinascita, ma pure quella di tempo ciclico) da essere entrato nell’itinerario simbolico non solo del mondo occidentale, come metafora stessa dell’esistenza umana, ma anche di quello orientale e delle culture precolombiane che lo affdavano a specifche divinità protettrici(1). Valga tutto questo come premessa per svelare il signifcato di un’immagine singolare. Bisogna sapere, infatti, che quella che oggi potremmo chiamare storia delle religioni ebbe un importante precedente nel testo di Vincenzo Cartari, erudito e latinista di Reggio Emilia che, oltre all’edizione dei Fasti di Ovidio, dedicati nel 1551 al futuro duca Alfonso II d’Este, pubblicò un trattato che studiava le evidenze archeologiche relative alla rappresentazione delle antiche divinità greche intitolato Imagini delli dei de gl’antichi(2). Il libro di Cartari ebbe grande fortuna; fu pubblicato di verse volte, ma dalla seconda edizione del 1571, cui si riferisce il titolo con cui l’abbiamo citato (più corto di quello adottato nella prima), l’opera si presenta già con quell’apparato illustrativo che ne decretò il successo(3). Le varie ristampe scavalcaro no il secolo ed ebbero revisioni e aggiornamenti sia nel testo, sia nelle illustrazioni che erano realizzate, ovviamente, con incisioni xilografche. A queste nuove versioni appartiene anche quella curata da Lorenzo Pignoria che, nel 1615, con l’occasione dell’ennesima ristampa del libro, pensò bene di arricchirlo con l’aggiunta di un suo testo che, senza troppa fantasia, intitolò Agionta. Erudito di Padova, s’interessò alle origini della sua città scrivendo un corposo volume che vide la luce nel 1625, cui fece da compendio un’altra impresa di rilievo come il De operis servorum liber nel quale approfondiva gli interessi antiquari già dimostrati nell’Agionta(4). Nel procedere al lavoro di revisione del testo di Cartari, Pignoria si lamentava della superfcialità e delle imprecisioni dell’autore, cui rimproverava anche il fatto di aver escluso le divinità appartenenti alle culture per così dire, extramediterranee. Per l’epoca, si tratta di una posizione estremamente moderna, soprattutto se si pensa che, allora, nonostante le scoperte geografche, il punto di riferimento culturale, per le persone colte, era costituito dal cristianesimo e dalla civiltà greco- romana, con l’aggiunta di quella egizia. Pignoria, invece, spaziava dall’Asia all’Africa, fno alle lontane Americhe riferendo di credenze religiose che, nel libro, si facevano più concrete grazie a quelle testimonianze archeologiche che l’erudito riusciva a descrivere fra quelle presenti nelle collezioni a lui note. Naturalmente, non sempre tutto era chiaro per chi leggeva (ma forse anche per chi scriveva) come accade nel caso di un «Cercopiteco d’Egitto» così defnito perché «ha più fgura di bestia che di uomo», illustrato dall’incisore Filippo Ferroverde(5). L’erudito precisa che si trattava di un’opera (di certo una statua) esposta nella galleria del «serenis[simo] di Baviera», corredata di un cartiglio nel quale si poteva leggere «Idolo adorato nella Città del Messico», donato all’arcivescovo di Toledo, il cardinale Francesco Ximenez(6). Finora, gli studiosi non hanno identifcato questa singolare fgura, anche se l’hanno ricondotta, insieme a tutta la collezione bavarese di cui parla Pignoria, alla cultura messicana, i cui oggetti provenivano dalla Florida, come ha dimostrato Christian Feest(7). Tuttavia, come ho avuto modo di scrivere altrove, il puntuale confronto con la statua di Xipe Totec conservata nel Museo Regional de Puebla, permette di dare un nome preciso all’immagine pubblicata da Pignoria(8). Si tratta, infatti, della divinità della primavera di origine mixteca, un’antica cultura mesoamericana, poi entrata nel pantheon azteco nel XV secolo. A dispetto del ruolo in apparenza poetico, il dio, il cui nome vuol dire “Nostro Signore lo scorticato”, presiedeva una cerimonia cruenta che simboleggiava la rinascita. Quella sorta di corazza a scaglie che caratterizza sia la statua di Puebla in terracotta, sia l’incisione dell’Agionta, in realtà, è la pelle delle vittime sacrifcali che i vincitori di un duello rituale indossavano a rovescio dopo averla dipinta di giallo. Era questo il loro modo di simboleggiare il rinnovarsi della Natura che, per via della violenza che contiene in sé, purtroppo, sembra interpretare da vicino le aberrazioni del mondo di oggi.


Statua di Xipe Totec (Nostro Signore lo scorticato) (circa 1500), Puebla, Museo Regional de Puebla.

Filippo Ferroverde, Cercopiteco d’Egitto, da Imagini delli dei de gl’antichi (1615) di Vincenzo Cartari.

(1) Un testo di storia delle religioni per orientarsi può essere: M. Eliade, Mythes, reves et mysteres, Parigi1957, tr. it., Miti, sogni e misteri, Milano 1976.
(2) Una ristampa recente del testo di V. Cartari è: Imagini delli dei de gl’antichi, Venezia 1647, rist. anast., acura di Marco e Mario Bussagli, Genova 1987.
(3) Per le edizioni del testo di Cartari, pubblicato per la prima volta senza illustrazioni nel 1556 con il titolo Leimmagini con la spositione de i dei de gli antichi, raccolte da Vincenzo Cartari, si veda: C. Volpi, Le immaginidegli dei di Vincenzo Cartari, Roma 1996, pp. 28-30.

(4) Su Lorenzo Pignoria: U. Motta, Antonio Querenghi (1546-1633). Un letterato padovano nella Roma del tardoRinascimento, Milano 1997, p. 215, n. 163.

(5) L’edizione del 1615 di Cartari, con la revisione del Pignoria, fu poi ristampata nel 1647, sicché per la citazionesi veda: V. Cartari, Imagini, ed. cit., p. 374.
6) Ivi, p. 376. Pignoria si riferisce alla collezione dell’arciduca di Baviera, come ha dimostrato Christian F. Feest,Zemes Idolum Diabolicum. Surprise and Success in Ethnografc Kunstkammer Research, in “Archiv fürVolkerkunde”, 40, 1986, pp. 181-198.
(7) Ch. F. Feest, op. cit., passim. Gli oggetti originali sono andati perduti. Si veda pure: C. Volpi, Le vecchiee nuove illustrazioni delle Imagini delli dei de gl’antichi di Vincenzo Cartari (1571 e 1615), in “Storia dell’arte”,74, 1992, p. 64.
(8) M. Bussagli, L’«agionta» di Lorenzo Pignoria alle “Imagini delli dei de gl’antichi” di Vincenzo Cartari, in Allamaniera di… Convegno in ricordo di Maria Teresa Lucidi, atti del convegno (Roma, Università La Sapienza,28 - 30 maggio 2007), a cura di P. Fedi et al., Roma 2010, pp. 325-326. Sulla statua del museo di Puebla: Itesori degli Aztechi, catalogo della mostra (Roma, Fondazione Memmo, 20 marzo - 18 luglio 2004),a cura diF. S. Olguin, Milano 2004, pp. 116 e 278.

ART E DOSSIER N. 309
ART E DOSSIER N. 309
APRILE 2014
In questo numero: CARICATURE E BIZZARRIE Da Leonardo a ''Frigidaire'' da Daumier a Jossot e a Jacovitti. IN MOSTRA: Cinquecento inquieto, La città, Rosso, Brancusi, Ray.Direttore: Philippe Daverio