Grandi mostre. 1 
Brancusi, Rosso e Man Raya Rotterdam

il potere
dell'immagine

Tre artisti molti diversi fra loro sono protagonisti di una mostra olandese che rintraccia un insospettato legame, ma soprattutto induce a una riflessione sull’opera d’arte e la sua fruizione attraverso l’immagine fotografica.

Claudio Pescio

le mostre al Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam hanno in comune un certo tasso di complessità e allestimenti fortemente caratterizzati. Il fatto di essere mostre “difficili” non comporta necessariamente scarso appeal presso il pubblico: la mostra su Kokoschka dello scorso anno ha avuto 100mila visitatori. E l’allestimento aiuta: lo spazio disponibile, sempre lo stesso, ampio e lineare, si modifica di volta in volta a distinguere nitidamente le sezioni, a comporre i percorsi, a evidenziare (senza inutili forzature di spettacolarizzazione) i pezzi forti. La stessa cosa accade per la mostra in corso, Brancusi, Rosso, Man Ray. Framing sculpture, che inquadra, appunto, in una prospettiva unica l’opera di tre artisti molto diversi fra loro.
E qui sta il punto nodale che necessita di un chiarimento: cosa hanno in comune? Perché questo accostamento? È quello che cercheremo di chiarire qui anche grazie a uno dei due curatori della mostra (insieme a Peter van der Coelen), Francesco Stocchi - italiano, da due anni al Boijmans per occuparsi di arte moderna e contemporanea - che ci ha accompagnato attraverso le tre sezioni dell’esposizione, una per ciascuno dei protagonisti.
Medardo Rosso nasce a Torino nel 1858 e muore a Milano nel 1928. Constantin Brancusi nasce a Pestisani in Romania nel 1876 e muore a Parigi nel 1957. Man Ray nasce a Filadelfia nel 1890 e muore a Parigi nel 1976. In comune c’è intanto un luogo, Parigi, in cui tutti finiscono per passare anni importanti della loro vita. Rosso ci va nel 1883, frequenta ambienti impressionisti, ma si tratterà di soggiorni tanto fondamentali quanto brevi. Brancusi arriva nel 1904 (quando Rosso se ne è appena andato) e finisce per farne la propria città di adozione. Man Ray farà lo stesso (a parte la parentesi della seconda guerra mondiale) a partire dal 1920. Gli unici ad avere una conoscenza diretta fra loro sono quindi Man Ray e Brancusi. Eppure la mostra mette in luce una specie di armonia fra opposti e un legame che si evidenzia via via che se ne segue il percorso. Questo legame è costituito dalla fotografia, mezzo che tutti e tre hanno utilizzato in relazione al proprio lavoro creativo, seppure per fini e con modalità differenti. Immagini che in mostra sono messe in relazione diretta (o indiretta) con le sculture.


Man Ray, Autoritratto con lampada (gelatina d’argento, 1934).

Constantin Brancusi, Autoritratto nell’atelier (gelatina d’argento, 1934 circa), Parigi, Centre Pompidou.


Medardo Rosso, Autoritratto nell’atelier (1906 circa).


Medardo Rosso, Enfant à la bouchée de pain nella sala di Cézanne al Salon d’Automne (gelatina d’argento,1904).

Medardo Rosso è un impressionista prestato alla scultura; sfalda le forme, le accenna appena, suggerisce densità e qualità delle superfici giocando su effetti di luce e irregolarità delle superfici stesse. Cerca di fermare momenti, non di individuare soggetti precisi. Usa soprattutto la cera (in mostra Ecce puer, 1906), ma anche gesso, bronzo e terracotta. Le sue sculture non sono fatte peressere viste da ogni lato (tanto è vero che spesso dietro sono cave); l’artista cerca di determinare il punto di vista dell’osservatore per determinare un effetto emotivo, e qui entra in gioco la fotografia. Rosso utilizza le foto dei propri pezzi rielaborandole in una sorta di postproduzione artigianale, assolutamente pionieristica e sperimentale (stiamo parlando degli anni a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento; i nonni degli ideatori di Photoshop non erano ancora nati), con tagli molto ravvicinati in fase di riproduzione (e anche tagli con le forbici su stampe già fatte), foto rifotografate, ingrandimenti, scontornature, evidenziazioni, sfocature. Rosso fotografa o fa fotografare ripetutamente le proprie opere, finché cessa di scolpirne di nuove nel 1906; negli anni successivi si applica a ossessive ripetizioni con varianti di materiali, strutture, inquadrature. E le fotografie diventano così per lui strumento di riprogettazione e reinterpretazione; spesso le inserisce nelle mostre dei suoi lavori, segnalandoci così l’importanza che attribuiva loro.

Medardo Rosso, Bambino malato (aristotipo, 1909 circa);


Bambino malato (1895; bronzo 1903-1904).


Medardo Rosso, Bambino in miseria (Enfant à la bouchée de pain, cera su intonaco,1897), Roma, Galleria nazionale di arte moderna.

Constantin Brancusi è con ogni evidenza uno scultore dai tratti decisamente opposti. Creatore di forme limpide e scintillanti, nitidamente isolate nello spazio che le circonda, maniacale nella politura del metallo come nella cura del dettaglio delle sue opere in marmo (illuminante a questo proposito la sezione video della mostra, che ci mostra fra l’altro Brancusi al lavoro); soggetti idealizzati e universali, organismi semplificati che tendono all’astrazione geometrica senza lasciare mai la presa sulla realtà di riferimento (si vedano in mostra Neonato, 1915 e il celebre Bacio, 1916). A Parigi conosce Man Ray e frequenta l’ambiente dadaista senza aderirvi in modo esplicito. Considera le sue sculture “forme in movimento” e le fotografie che ne trae ci mostrano il senso di questa affermazione. Dopo qualche tentativo di utilizzare foto altrui decide di fotografare da solo le proprie sculture (col supporto tecnico dello stesso Man Ray). Si tratta di immagini molto diverse da quelle di Rosso; le inquadrature sono meno strette, includono l’ambiente in cui si trovano (il suo atelier, che si può considerare un elemento a sé stante della sua attività creativa) e a volte altre opere. Lo scopo evidente è anche qui indirizzare sguardi e interpretazioni, ma c’è anche uno scopo pratico, quello di dare indicazioni precise a eventuali acquirenti lontani o agli allestitori delle sue mostre, in termini di collocazione, orientamento illuminazione e cura delle superfici riflettenti dei singoli pezzi. Fino all’ultimo sorveglierà personalmente la riproduzione dei propri lavori su libri e cataloghi.

Man Ray, L’enigma di Isidore Ducasse (gelatina d’argento, 1920-1975).


Man Ray, L’enigma di Isidore Ducasse (materiali vari, 1920, 1971), Rotterdam, Museum Boijmans van Beuningen.


Constantin Brancusi, Principessa X(gelatina d’argento,1930 circa), Parigi, Centre Pompidou.

Man Ray non so fino a che punto possa essere considerato uno scultore. Il suo rapporto con l’oggetto passa piuttosto attraverso la fotografia, che diviene in pratica il suo “mestiere”. Al punto che spesso realizza strutture e assemblaggi che fotografa e poi distrugge (salvo poi rimetterli insieme molti anni dopo: in mostra abbiamo l’Enigma di Isidore Ducasse, 1920 ma versione 1975, e Cadeau, ideato nel 1921 e rifatto più volte successivamente). L’uso che fa Man Ray della fotografia è più noto; organizza figure e oggetti su fondi neutri e cerca nei fatti di mascherarne le reali dimensioni con una ricerca di monumentalità (si veda per esempio l’immagine fotografica dell’Enigma, dove l’oggetto, in sé di dimensioni contenute, sembra incombere come una montagna). Con i “rayographs”, poi, si spinge oltre, fino a realizzare immagini fotografiche senza usare il tramite della macchina ma lasciando all’oggetto stesso il compito di lasciare la propria impronta sulla carta sensibile.
La mostra ci propone insomma quello che i tre artisti desideravano che noi vedessimo. Nei tre casi è evidente l’intenzione di manipolare l’immagine della propria attività creativa; lo sforzo di determinare le condizioni di fruizione delle proprie opere per condizionare il più possibile la percezione che ne avrà lo spettatore. Un aspetto di singolare modernità, a pensarci, in un mondo come quello attuale in cui è molto diffuso un analogo atteggiamento di veicolazione generalizzata di immagini di sé e del proprio mondo privato manipolate a fini di comunicazione sociale. Certamente, nei tre casi siamo di fronte alla piena consapevolezza dell’avvento di un mondo nuovo per le opere d’arte e per l’immagine dell’artista stesso, un mondo in cui creatori e creature cadono in una sorta di “dipendenza” dal moltiplicarsi delle immagini che li veicoleranno

Constantin Brancusi, Principessa X (bronzo, 1915-1916),


Parigi, Centre Pompidou; Constantin Brancusi, La musa addormentata (bronzo, 1910), Chicago, Art Institute.

ART E DOSSIER N. 309
ART E DOSSIER N. 309
APRILE 2014
In questo numero: CARICATURE E BIZZARRIE Da Leonardo a ''Frigidaire'' da Daumier a Jossot e a Jacovitti. IN MOSTRA: Cinquecento inquieto, La città, Rosso, Brancusi, Ray.Direttore: Philippe Daverio