Aste e mercato

LUGLIO-AGOSTO 2020

Top lot

Èuno splendido Tiepolo il protagonista di questa storia a lieto fine insieme a un critico d’arte, novello Sherlock Holmes, un banchiere e la National Gallery di Londra. Unica sconfitta, Venezia e l’Italia, ma nell’Ottocento era la norma (il grosso delle collezioni internazionali, all’epoca, furono in gran parte realizzate con la vendita del nostro patrimonio artistico). Allegoria di Venere e Tempo venne dipinto nel 1754-1758 sul soffitto di un palazzo veneziano per festeggiare la nascita di un piccolo erede a lungo atteso da una famiglia nobile, forse i Contarini. Lì rimase appena poco più di un secolo. Poi giunse dall’Oltralpe qualcuno che diede del denaro ai proprietari e staccò l’affresco per abbellire la propria magione, un po’ come fece la coppia Jacquemart-André con un altro Tiepolo che adesso si trova nella loro casa-museo di Parigi. Allegoria di Venere e Tempo ricomparve sul soffitto della splendida Bute House acquistata come residenza londinese da Henri Louis Bischoffsheim (1828-1908), banchiere-collezionista amico dei Rothschild.

Nel 1925 i suoi eredi vendettero Bute House al regno d’Egitto che Henri Louis aveva sostenuto finanziariamente, senza dar molto peso al Tiepolo. L’opera cadde nel dimenticatoio. Si sapeva solo che si trovava da qualche parte a Mayfair. L’esperto di Christie’s, David Carritt, fiutò l’affare e indossò gli abiti di Sherlock Holmes: si mise in cerca del Tiepolo attivando contatti, interrogando esperti come Michael Levey, consultando archivi. Ci volle del tempo ma alla fine la sua pista lo condusse alla porta dell’ambasciata d’Egitto. Carritt alzò il telefono e si fece ricevere nel salotto della casa londinese dove campeggiava il Tiepolo. Spiegò all’ambasciatore il valore dell’opera e sottolineò il rischio di perderla se fosse scoppiato un incendio. Stratagemma banale, specie dopo che era uscita indenne dai bombardamenti della seconda guerra mondiale? Forse, ma Carritt promise anche un ottimo introito allo Stato egiziano se l’opera fosse stata offerta da Christie’s, che non stava più nella pelle. Fu trovato un accordo e nel salotto venne sistemata una copia al posto dell’originale che venne restaurato e andò in asta nel 1969. La National Gallery decise allora di giocare il tutto per tutto per portare il Tiepolo nelle sue sale, chiedendo il supporto del Pilgrim Trust, fondato negli anni Trenta del secolo scorso dal braccio destro di Rockefeller (Edward Harkness). Sommando i loro portafogli, le due istituzioni riuscirono a battere la concorrenza: il Tiepolo piò essere ora ammirato da tutti entrando nella sede del museo londinese a Trafalgar Square. Pare che gli egiziani abbiano usato il lauto ricavato per restaurare dei templi antichi. Lo speriamo.

Top collector

Strano che il cognome Vanderbilt sia sinonimo di magnate americano del Novecento, visto il declino economico sofferto dalla famiglia proprio all’inizio di quel secolo. La loro fama è però tenuta alta dal segno indelebile che seppero lasciare nel mondo dell’arte e dell’architettura. A far fortuna fu soprattutto William Henry Vanderbilt (1821-1885), il magnate delle ferrovie degli Stati Uniti, diventando probabilmente l’uomo più ricco del suo tempo. In meno di quattro anni (fra il 1878 e il 1882) ammassò poi un’incredibile quantità di oggetti (vasi, camini ecc.) ma soprattutto di quadri (oltre duecento), provenienti da vari paesi europei. Li mostrava agli amici nel suo mega palazzo neworchese a due torri sulla Fifth Avenue / 57th Street.


Joseph Mallord William Turner, La fontana dell’indolenza (1834), Londra, Beaverbrook Foundation.

Diciamo pure che non aveva lo stesso gusto di Henry Frick, la cui casa-museo è tuttora uno dei gioielli di New York, e che gran parte delle sue opere furono create da nomi ormai non sulla cresta dell’onda come allora. Ma nel suo palazzo si trovava anche una delle versioni del Seminatore (1850) di Jean-François Millet, che a ai suoi tempi fece scandalo perché l’umile contadino è ritratto quasi fosse un eroe. Una tela in cui si odono gli echi della celebre parabola dei Vangeli (Matteo 13,1-23, Marco 4,1- 20 e Luca 8,4-15). Inoltre nel suo palazzo si poteva ammirare La fontana dell’indolenza di Joseph Mallord William Turner, posizionata nel bel mezzo di una serie di templi classici, dalla quale fuoriescono spruzzi simmetrici che si stagliano su uno sfondo poco coerente con il paesaggio dell’antica Grecia. Il talento di Turner nel creare effetti di luce fece il resto. La collezione era poi arricchita da una serie di grandi orientalisti, fra cui Eugène Delacroix e il suo Mulay ‘Abd al-Rahman, sultano del Marocco, da un’infinità di quadri storici come Luigi XIV e il Grand Condé del tuttora quotato Jean-Léon Gérôme. E poi Millais, Couture e tanti altri. Strano, ma quasi più niente si trova a New York. Nel 1926 uno dei Vanderbilt vendette il palazzo che fu subito distrutto per costruire i grandi magazzini Bergdorf Goodman (ancora oggi esistenti), e nel 1945 un altro rampollo della stessa famiglia mise all’asta tutta la collezione. Qualcosa finì in Giappone (come il Millet), qualcos’altro rimase negli Stati Uniti (come il Turner), qualcos’altro ancora migrò in Europa (il Gérôme per esempio). Ma una cosa fondamentale è rimasta. I Vanderbilt crearono i primi cataloghi dettagliati di una collezione privata americana, all’inizio in piccoli volumi, poi in due splendidi tomi tuttora punto di riferimento per gli storici dell’arte. Meglio delle montagne di dollari che avevano.

ART E DOSSIER N. 378
ART E DOSSIER N. 378
LUGLIO-AGOSTO 2020
In questo numero: EROS IN ARTE: I colori delle donne di Corbaz. Se il bordello ispira il pittore. LUOGHI DA VEDERE: Due fondazioni ad Atene. Palazzo ducale a Sassuolo. Le case a graticcio in Germania. IL SENSO E LA BELLEZZA: San Girolamo nel Rinascimento. Donatello e ilmovimento. I monili di Raffaello.Direttore: Philippe Daverio