Nella realtà le autorità chiudevano più di un occhio e a metà secolo si contavano in città circa mille prostitute attive nei piccoli bordelli (in media vi esercitavano dalle due alle cinque ragazze) e nei “musicos”, locali dove si beveva, fumava, ballava e si ascoltava musica, appunto. Un’attività quasi interamente gestita da donne, a loro volta spesso ex prostitute. Le ragazze venivano dalle campagne e dai piccoli centri delle Province Unite, ma anche dalla Germania e dalla Scandinavia. Al solito, il miraggio di vivere di un lavoro da sarta o da domestica durava poco e molte finivano in un bordello. Le tenutarie che le ospitavano trattenevano parte dei guadagni (circa il cinquanta per cento) per vitto, alloggio e soprattutto per la fornitura di abiti vistosi, di cappelli con piume colorate, falsa ma appariscente gioielleria, insomma tutti i “segnali” dell’appartenenza al mestiere, come le ricorrenti calze rosse.
La pittura di area fiamminga arrivò alla definizione del genere “bordeeltjes” gradualmente. Nel secolo XVI cominciò a diffondersi come tema pittorico una particolare versione dell’episodio biblico del Figliol prodigo che si concentrava non tanto sul momento della riconciliazione dello scapestrato figliolo con il padre comprensivo quanto sulle bisbocce del giovane non ancora pentito né a corto di soldi: un trionfo di locande, banchetti, musica, vino e donnine molto su di giri. Più tardi nacque la moda di ritrarre “allegre compagnie”, sempre più allegre. Fino a una più stabile definizione del genere che prevedeva quasi invariabilmente uno o più giovani uomini un po’ alticci e molto sciocchi ingannati - spesso derubati - dai sapienti artifici di ragazze sorridenti sotto gli occhi attenti di una mezzana; le ambientazioni variavano dalla taverna un po’ sordida al salotto accogliente e con qualche pretesa, così come l’abbigliamento di clienti e prostitute. Immagini di seduzione, in cui, con un’ambiguità evidente, si concilia un’ipotetica denuncia di comportamenti immorali con l’ammiccamento complice fra maschi che sanno di cosa si sta parlando.
Per questa ragione quel genere di quadri poteva essere acquistato da chiunque. Si trova un dipinto con un nudo persino nel salotto della “poppenhuis” (casa di bambola) di Petronella de la Court (1670-1690, Utrecht, Centraal Museum), fedele riproduzione in scala della ricca casa borghese della proprietaria. Tra i primi a praticare il genere i cosiddetti caravaggisti di Utrecht, come Gerrit van Honthorst e Dirck van Baburen. Il primo è autore di molte allegre compagnie e scene con il Figliol prodigo ma anche di una curiosa immagine di Cortigiana sorridente con immagine oscena (1625) che è raffigurata mentre guarda dritto verso di noi, piuma sul cappello, ampia scollatura, veste rossa sgargiante, con in mano un piccolo dipinto ovale con una donna nuda vista di spalle che cela il volto con una mano; sotto, una scritta: «Chi riconosce il mio sedere da dietro?» («Wie kent mijn naers / van Afteren»). Non si tratta di un’opera occasionale, è firmata e datata e se ne conoscono almeno otto copie del tempo. Doveva trattarsi invece di una produzione ad hoc che dovette avere successo, forse un gioco a nascondino con l’amante-cliente, il divertimento di manifestare pudicizia nel trasgredirla; complice anche il doppio senso del termine “kent”, “riconoscere/conoscere”, interpretabile nel suo significato “visivo” ma anche in quello “biblico”.