Studi e riscoperte. 1 
Il bordello come genere pittorico

CASE CHIUSE
E CASE DI BAMBOLA

La frammentazione dei generi pittorici nei Paesi Bassi del XVI-XVII secolo ha dato vita a una tipologia di quadri molto particolare che è riuscita a scavarsi una nicchia di mercato per alcuni decenni. Si tratta dei “bordeeltjes”, scene ambientate nelle case di piacere, con prostitute, mezzane e clienti, molto vino e un po’ di musica.

Claudio Pescio

Chi fosse arrivato ad Amsterdam via mare, in un qualunque giorno del secolo XVII, sarebbe sbarcato su una delle banchine a nord della città e, una volta sceso a terra, sarebbe stato accolto dalla piccola folla di prostitute che in quei quartieri a ridosso del porto viveva e lavorava.

Chi arrivasse oggi, in treno, si troverebbe più o meno nella stessa zona e, lasciando alla propria destra il bacino del Damrak per dirigersi verso est, in pochi passi raggiungerebbe quello che oggi è il Distretto a luci rosse, uno dei pochi luoghi in Europa a poter vantare una secolare continuità di esercizio delle stesse attività.

Attività che non erano e non sono evidentemente una peculiarità olandese né nascevano in quel tempo ma che nel XVII secolo avevano fatto di Amsterdam una delle città più famose in questo tipo di offerta, al punto che nel 1681 un libriccino dal titolo ‘t Amsterdamsch Hoerdom (Le prostitute di Amsterdam) divenne in breve un bestseller, con molte ristampe ed edizioni in lingua straniera; era un manuale illustrato che forniva ai visitatori informazioni dettagliate sui luoghi, gli esercizi e le specialità (e anche i pericoli) che si potevano trovare nell’intrico di vicoli e canali che tuttora circondano la Oude Kerk.

La pittura di genere olandese del periodo non tardò a cogliere nel fenomeno una nuova opportunità creativa e commerciale, e nacque un nuovo genere, i “bordeeltjes”, le scene di bordello. Cercheremo qui brevemente di circoscriverne i contorni, di capire a quale pubblico fossero destinati quei dipinti, qual era il loro scopo e fino a che punto rappresentavano una situazione reale.



Gerrit van Honthorst, Cortigiana sorridente con immagine oscena (1625), Saint Louis, Saint Louis Art Museum.

Immagini di seduzione, in cui, con un’ambiguità evidente, si concilia un’ipotetica denuncia di comportamenti immorali con l’ammiccamento complice


I principali centri di produzione di questi quadri erano la stessa Amsterdam, Haarlem e Utrecht. In realtà, nei Paesi Bassi del Nord la nuova repubblica calvinista - anche in seguito a rovinose folate di sifilide - aveva inasprito le restrizioni all’esercizio della prostituzione rispetto a secoli di non dichiarata tolleranza da parte delle autorità cattoliche nel nome di un tasso accettabile di “male inevitabile” nella comunità dei fedeli e dei cittadini, purché esercitato in modo discreto e in luoghi particolari. La prostituzione era diventata un crimine, non più solo un peccato confessabile e perdonabile, e molte delle prostitute di Amsterdam conobbero la reclusione nel carcere dello Spinhuis, appositamente allestito per loro. «Il grembo di una puttana è la barca del demonio», era un motto ricorrente.

Jan van Hemessen, Scena di bordello (1545-1550 circa), Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle.


‘t Amsterdamsch Hoerdom (edizione francese, Le putanisme d’Amsterdam) (1681), frontespizio.

Pieter Aertsen, Il Figliol prodigo (1560).


Johannes Baeck, Parabola del Figliol prodigo (1637), Vienna, Kunsthistorisches Museum.

Le ambientazioni variavano dalla taverna un po’ sordida al salotto accogliente e con qualche pretesa


Nella realtà le autorità chiudevano più di un occhio e a metà secolo si contavano in città circa mille prostitute attive nei piccoli bordelli (in media vi esercitavano dalle due alle cinque ragazze) e nei “musicos”, locali dove si beveva, fumava, ballava e si ascoltava musica, appunto. Un’attività quasi interamente gestita da donne, a loro volta spesso ex prostitute. Le ragazze venivano dalle campagne e dai piccoli centri delle Province Unite, ma anche dalla Germania e dalla Scandinavia. Al solito, il miraggio di vivere di un lavoro da sarta o da domestica durava poco e molte finivano in un bordello. Le tenutarie che le ospitavano trattenevano parte dei guadagni (circa il cinquanta per cento) per vitto, alloggio e soprattutto per la fornitura di abiti vistosi, di cappelli con piume colorate, falsa ma appariscente gioielleria, insomma tutti i “segnali” dell’appartenenza al mestiere, come le ricorrenti calze rosse.
La pittura di area fiamminga arrivò alla definizione del genere “bordeeltjes” gradualmente. Nel secolo XVI cominciò a diffondersi come tema pittorico una particolare versione dell’episodio biblico del Figliol prodigo che si concentrava non tanto sul momento della riconciliazione dello scapestrato figliolo con il padre comprensivo quanto sulle bisbocce del giovane non ancora pentito né a corto di soldi: un trionfo di locande, banchetti, musica, vino e donnine molto su di giri. Più tardi nacque la moda di ritrarre “allegre compagnie”, sempre più allegre. Fino a una più stabile definizione del genere che prevedeva quasi invariabilmente uno o più giovani uomini un po’ alticci e molto sciocchi ingannati - spesso derubati - dai sapienti artifici di ragazze sorridenti sotto gli occhi attenti di una mezzana; le ambientazioni variavano dalla taverna un po’ sordida al salotto accogliente e con qualche pretesa, così come l’abbigliamento di clienti e prostitute. Immagini di seduzione, in cui, con un’ambiguità evidente, si concilia un’ipotetica denuncia di comportamenti immorali con l’ammiccamento complice fra maschi che sanno di cosa si sta parlando.
Per questa ragione quel genere di quadri poteva essere acquistato da chiunque. Si trova un dipinto con un nudo persino nel salotto della “poppenhuis” (casa di bambola) di Petronella de la Court (1670-1690, Utrecht, Centraal Museum), fedele riproduzione in scala della ricca casa borghese della proprietaria. Tra i primi a praticare il genere i cosiddetti caravaggisti di Utrecht, come Gerrit van Honthorst e Dirck van Baburen. Il primo è autore di molte allegre compagnie e scene con il Figliol prodigo ma anche di una curiosa immagine di Cortigiana sorridente con immagine oscena (1625) che è raffigurata mentre guarda dritto verso di noi, piuma sul cappello, ampia scollatura, veste rossa sgargiante, con in mano un piccolo dipinto ovale con una donna nuda vista di spalle che cela il volto con una mano; sotto, una scritta: «Chi riconosce il mio sedere da dietro?» («Wie kent mijn naers / van Afteren»). Non si tratta di un’opera occasionale, è firmata e datata e se ne conoscono almeno otto copie del tempo. Doveva trattarsi invece di una produzione ad hoc che dovette avere successo, forse un gioco a nascondino con l’amante-cliente, il divertimento di manifestare pudicizia nel trasgredirla; complice anche il doppio senso del termine “kent”, “riconoscere/conoscere”, interpretabile nel suo significato “visivo” ma anche in quello “biblico”.


Jan Steen, La cortigiana (o Donna dissoluta, 1660-1662 circa), Saint-Omer, Musée de l’hotel Sandelin.


Hendrik Pot, Scena di bordello (1630).

Immagini realistiche e al tempo stesso ricche di rimandi simbolici

Haarlem ospitava due tra i più prolifici autori di “bordeeltjes”, per qualche tempo Jan Steen, che ne realizzò una quarantina - tra le quali La cortigiana (o Donna dissoluta, 1660-1662 circa) in cui la postura, le monete nella mano, la mezzana seminascosta non lasciano spazio a fraintendimenti - e Hendrik Pot, che raffigurò probabilmente le scene più aderenti alla realtà, ambientate in semplici abitazioni adibite a casa di incontri.

Nei “bordeeltjes” è presente quasi tutta la simbologia erotica e allusiva di “vanitas” (le carte da gioco, la musica, la frutta), di scimmie e cani (che simboleggiano la natura sensuale e irragionevole dell’uomo), di mezzane (la cui bruttezza rimanda all’immagine della strega, frutto di una vita dedita al vizio), di vino e cibo (manifestazione concreta del cedimento ai piaceri terreni), spesso cipolle e ostriche (alimenti considerati afrodisiaci); fino alle varie simbologie falliche o allusive al sesso femminile: spiedi, salsicce, pollame, pesci, spade oppure calzature, brocche, vasi da notte, mortai e pestelli.


Jan Steen, Scena di bordello (1655-1665 circa), Amsterdam, Rijksmuseum.

Simboli, dicevamo, ma anche immagine realistica di ambienti del tempo. Credibile e tuttavia incompleta. In quei dipinti non appaiono la violenza del contesto, le malattie veneree, la brutalità a cui le giovani prostitute erano sottoposte da parte di clienti e guardie municipali, la realtà della prostituzione di strada, la sporcizia di ambienti che contrastavano con l’immagine di sé che la borghesia olandese affidava invece proprio alla pulizia delle proprie abitazioni. E qui possiamo riallacciarci a un tema che abbiamo trattato nel numero scorso di questa rivista, quello della casa olandese concepita come luogo dell’accudimento e della pulizia, tabernacolo della virtù civica. Il bordello è, come lo definisce Simon Shama, un’anti-casa che ospita un’anti-famiglia, e il “bordeeltje” è una rappresentazione necessaria a una migliore percezione del suo contrario, la casa modello della famiglia modello.


Dirk van Baburen, Il Figliol prodigo (1623), Mainz, Landesmuseum.

Per approfondire il tema: L. van de Pol, The Burgher and the Whore, Oxford 2011; S. Shama, Il disagio dell’abbondanza. La cultura olandese dell’epoca d’oro, Milano 1993, soprattutto il capitolo 6, “Massaie e donnacce: la casa e il mondo”; The Art of Laughter. Humour in Dutch Paintings of the Golden Age, catalogo della mostra (Haarlem, Frans Hals Museum, 2017-2018), Zwolle 2017.

ART E DOSSIER N. 378
ART E DOSSIER N. 378
LUGLIO-AGOSTO 2020
In questo numero: EROS IN ARTE: I colori delle donne di Corbaz. Se il bordello ispira il pittore. LUOGHI DA VEDERE: Due fondazioni ad Atene. Palazzo ducale a Sassuolo. Le case a graticcio in Germania. IL SENSO E LA BELLEZZA: San Girolamo nel Rinascimento. Donatello e ilmovimento. I monili di Raffaello.Direttore: Philippe Daverio