L'oggetto misterioso


IL SORRISODELL’UOMO-LEONE

di Gloria Fossi

È il più remoto esempio di figura ibrida.
Ricostruita nel 2013, la statuetta rappresenta un uomo con la testa di leone? O un leone col corpo di uomo? E chi fu a scolpirla?

È in ascolto? Sta parlando? Qualcuno v’intravede un sorriso.
Tutto può essere… l’Uomo-leone è un individuo immaginario, eppure concreto: ci appare nella forma di una delle prime sculture, forse la prima in assoluto del nostro passato. Fino a oggi, è il più antico esemplare di figura ibrida che si conosca. Alto 31 cm, ha circa quarantamila anni ed è rimasto sepolto fino al secolo scorso, in frammenti, nella grotta di Hohlenstein-Stadel, nel Giura svevo, habitat di umani anatomicamente moderni, cioè della specie Homo sapiens: la nostra. Cacciatori-raccoglitori, i nostri lontani antenati si spostavano a piccoli gruppi nelle valli dell’Alto Danubio, modellate nell’era glaciale, frequentate da mammut, renne, cavalli, bisonti, leoni delle caverne. Nelle grotte lasciarono i primi strumenti musicali, sculturine di mammut e piccole teste di cavalli. In quell’area, come nella regione attorno alla grotta Chauvet, in Dordogna, si ritiene ora, dopo le recenti scoperte, che siano sorte le prime manifestazioni figurative dell’umanità: a Chauvet un ciclo parietale con strabilianti immagini di animali, datate attorno a 35.000 anni fa. Nel Giura svevo, in sei grotte vicine fra loro (dal 2017 nella lista Unesco del Patrimonio dell’umanità), una serie di oggetti scolpiti in avorio di mammut, di altrettanto, sorprendente realismo, databili ancora più indietro, fino a 40.000 anni fa.
Torniamo al nostro Uomo-leone del Giura svevo (ammesso che si tratti di un uomo, come pare in effetti più probabile, e non di una donna, come altri propongono). Eretto, testa leonina, corpo in parte umano, fu scolpito in un unico pezzo ricavato dalla parte più tenera di una zanna di mammut. La foggia lievemente arcuata corrisponde alla zona meno ricurva della zanna, la più prossima alla bocca dell’animale. Nel 2013 è stato ricomposto con ottocentotrentadue frammenti rinvenuti a più riprese negli scavi di Hohlenstein-Stadel (1939-2012). La grotta in realtà era nota fin dal 1861, quando fu avvistata da un geologo e paleontologo tedesco, Oscar Fraas, in cerca di fossili. Nel 1935 altri archeologi effettuarono gli scavi, proseguiti fino al 25 agosto 1939. La scoperta più sensazionale avvenne proprio quel giorno, e poi, alla fine della serata il cantiere fu chiuso per lo scoppio della guerra. Erano venuti alla luce circa duecento frammenti d’avorio che fecero subito presupporre l’esistenza di una scultura elaborata. Non ci fu tempo di far altro che spedirli nella vicina Ulma in deposito. Nel 1969, Joachim Hahn, archeologo di grande talento, si rese conto della rilevanza di quei frammenti, che assemblò ricreando una statuetta, ancora molto lacunosa, alta 31 cm. Nel 2013 Thomas Beutelspacher e Claus-Joachim Kind hanno individuato, nella grotta di Hohlenstein-Stadel, il punto esatto del ritrovamento del 1939, da dove sono emerse oltre cinquecento schegge d’avorio lavorate.
La statuetta è stata smontata e rimontata con un lavoro certosino, col risultato che abbiamo oggi sotto gli occhi (è suggestivo osservarla nel sito online che la riproduce in 3D, v. nota a fine articolo).
Il radiocarbonio applicato ai dati stratigrafici del ritrovamento ci dicono che l’oggetto risale alla fase più antica del Paleolitico superiore, l’Aurignaziano. Dopo quarantamila anni, l’Uomo-leone è tornato “in vita”, nel Museum Ulm, protetto in una vetrina. Presenta lacune, parti della superficie esterna sono perdute, purtuttavia ha un fascino arcano, tanto è distante nel tempo eppure così presente e verosimile. È un felino con l’aspetto in parte umano o un essere umano in parte felino? In realtà è un “teriantropo”, divinità con testa animale e corpo umano. La sua testa corrisponde a quella di un leone delle caverne (“Panthera leo spelaea”), privo di criniera anche negli esemplari maschili.


Veduta dell’Uomo-leone di Hohlenstein-Stadel (40.000-35.000 anni fa circa), Ulma, Museum Ulm.


Veduta dell’Uomo-leone di Hohlenstein-Stadel (40.000-35.000 anni fa circa), Ulma, Museum Ulm.

Questa sottospecie, estinta 14.500-12.000 anni fa, è nota in Europa occidentale - Italia compresa - attraverso fossili, e dal 2015 anche per due commoventi leoncini perfettamente mummificati di 48.500 anni fa, sopravvissuti nel “permafrost” presso il fiume Ujandina in Siberia. Morirono subito dopo la nascita, ma il loro aspetto attesta che da adulti sarebbero stati identici alle più antiche figurazioni paleolitiche della loro specie: non solo la nostra statuetta dell’Uomo-leone, ma ancora di più alle immagini del tutto naturalistiche di leoni e leonesse in branco al museo della grotta Chauvet in Dordogna.
L’Uomo-leone ha occhi e narici ben individuati, piccole orecchie delineate nel cavo interno, arti superiori simili a zampe feline, atteggiati però a pose umane. L’arto sinistro è solcato da incisioni orizzontali che creano un effetto di scarificazione. Il busto è troppo allungato per somigliare a quello di un uomo, però vi s’indovinano genitali maschili o forse femminili, comunque umani, come umani sono polpacci e piedi. Nel solco della bocca è stato individuato, con un microscopio digitale, del liquido organico, forse sangue. Per quale motivo vi sia stato insufflato, resta un mistero. Le superfici originali recano tracce di usura come se la statuetta fosse stata maneggiata a lungo, per generazioni.
Forse fu sempre tenuta in quella grotta esposta a nord, freddissima e inadatta alla vita quotidiana, utilizzata solo in particolari occasioni. Chi ne fu l’autore?
Fisicamente il nostro antenatoartista era come noi, un po’ più piccolo di statura ma in grado di resistere a temperature inferiori alle nostre di dieci-dodici gradi. La sua padronanza della materia suggerisce che questa non dovette essere la sua prima opera. Basti osservare come ottenne il vuoto fra le gambe (zampe?) divaricate, sfruttando la piccola area cava della zanna di mammut, corrispondente alla polpa dentaria. Nel 2014 l’Uomo-leone è stato replicato. In Germania, Wulf Hein, specializzato in tali ricostruzioni, ha lavorato un avorio di elefante con strumenti litici appuntiti.


La grotta di Hohlenstein-Stadel nel Giura Svevo, in Germania.


Leoni e leonesse delle caverne (35.000-32.900 anni fa circa), Vallon-Pont d’Arc, replica nel museo della grotta Chauvet (Ardèche, Francia).

Risultato: quattrocento ore di lavoro, davvero tanto tempo che il nostro antenato dovette sottrarre a mansioni di sopravvivenza. Uomo o donna che fosse, dedicava l’intera sua attività a questo compito? O scolpiva a tempo perso?
Forgiò anche gli strumenti quotidiani per la sua piccola comunità? E fu lui (o lei) a perforare quei denti di volpe artica, lupo e cervidi adattati a pendenti, che sono stati trovati nella grotta presso un deposito di corna di renna? Cosa sarebbe stato/a capace di realizzare se fosse vissuto/a in tempi più recenti? Sono enigmi senza soluzioni, anche se è verosimile che in quell’antro buio una piccola comunità avesse condiviso in certe occasioni riti e credenze per la comprensione del mondo, al cui centro stava questo simulacro. C’è chi si è spinto a identificare la statuetta in un remoto segno astrologico, o in un amuleto raffigurante il mitico protagonista di un primo fantasioso viaggio umano nel cosmo, dove il nostro simile si sarebbe trasformato in essere soprannaturale.
E se la statuetta fosse servita anche da giocattolo, come alcuni propongono? Ci piacerebbe, ma ignoriamo come i bambini di allora trascorressero il tempo. Almeno una considerazione non ci pare peregrina. Quel Donatello di quarantamila anni fa era in grado di elaborare pensieri complessi. Come avrebbe potuto, altrimenti, scolpire una figura tanto espressiva?


Un leone delle caverne, nella ricostruzione di questa specie estinta, Vallon Pont-d’Arc, museo della grotta Chauvet (Ardèche, Francia).

Per saperne di più:
The Return of the Lion Man. History Myth Magic, catalogo della mostra (Ulma, Museum Ulm, novembre 2013 - giugno 2014), Ulma 2013; M. Masseti, P. P. A. Mazza, Western European Quaternary lions: new working hypotheses, in “Biological Journal of the Linnean Society”, vol. 109, 2013, pp. 66-67; AA. VV., The Smile of the Lion Man, in “Quartär”, vol. 61, 2014, pp. 129-145; N. MacGregor, Living with the Gods, Londra 2018, pp. 2-13; G. Fossi. Preistoria. L’alba della civiltà, Milano 2019, pp. 38-39 e passim; Des lions et des hommes, catalogo della mostra (Grotte Chauvet 2 - Ardèche, aprile-settembre 2019), a cura di M. González Menéndez Parigi 2019, pp. 30-31. Filmografia: W. Herzog, Cave of Forgotten Dreams, docufilm in 3D (Francia-Canada- USA-GB-Germania/2010); www.youtube.com/watch?v=kULwsoCEd3g; W. Hein, Lion Man 2.0 - The Experiment (documentario, Germania 2014). Su web: www.urmu.de/de/Forschung-Archaeologie/Eiszeitkunst/ Hohlenstein-Stadel/Loewenmensch

ART E DOSSIER N. 377
ART E DOSSIER N. 377
GIUGNO 2020