“fuga nel passato”, il neosettecentismo
risulta più calato nella temperie
contemporanea di quanto non appaia
Studi e riscoperte. 2
Il neosettecentismo nel secondo Ottocento
Tendenza artistica minore ma tra le più stimolanti per afferrare la cultura europea della seconda metà dell’Ottocento, il neosettecentismo, espresso in pittura attraverso stilemi personali, ha restituito con acceso cromatismo atmosfere leggere e leziose, galanti e spiritose in una rinnovata interpretazione dell’universo rococò.
Alessio Costarelli
Sebbene non sia possibile indicare un pittore che si sia votato in modo esclusivo a questa produzione, essa fu variamente frequentata da molti in virtù del diffuso successo di mercato. Limitandoci agli italiani, se un artista di primo livello come Mosè Bianchi vi si dedicò saltuariamente, altri dotatissimi pittori più o meno noti come il ticinese Luigi Rossi, il modenese Vittorio Reggianini, il fiorentino Federico Andreotti, il romano Attilio Simonetti o il bolognese Giovanni Paolo Bedini vi improntarono una parte non irrilevante della loro carriera, legando a tal punto il loro nome a questo genere da farne dimenticare per lungo tempo differenti produzioni. Lo stesso Giovanni Boldini mostra, nella sua produzione della prima metà degli anni Settanta, una già netta predilezione per le ambientazioni aristocratiche (talora neorococò, di moda a Parigi), vivacemente tratteggiate, dalle quali svilupperà poi la propria peculiare rappresentazione dell’alta società, un’immagine raffinata, a tratti spregiudicata, neosettecentesca nello spirito (i suoi ritratti sono molto più imparentati con quelli di Boucher, Reynolds e Gainsborough che non di Ingres o Hayez) ma non più nella moda, frattanto a sua volta evolutasi nella strepitosa eleganza “fin de siècle”.Diversamente dal caso della Francia, non si pensi tuttavia che in Italia il neosettecentismo abbia riguardato solo le arti pittoriche, né che l’autorappresentazione in chiave rococò fosse un fenomeno di costume limitato a un ceto sociale. Le prime avvisaglie del mutare del gusto in senso settecentesco si ebbero all’inizio degli anni Sessanta, con circa un decennio di ritardo rispetto alla Francia ove però, al di fuori della pittura, la moda risentì presto del revival dello stile impero in conseguenza dell’ascesa al potere di Napoleone III. La nascita dello Stato unitario, sviluppatasi per gradi tra il 1861 e il 1870, amplificò in Italia la ricerca di una nuova immagine identitaria non solo per la classe dirigente, ma anche per la nazione stessa ed è in questo contesto che per tutto il decennio si consumò la duplice contrapposizione, da un lato, tra pittura “verista” e pittura “storico-morale” per la palma di nuova arte nazionale, dall’altro tra pittura severa e naturale (la scuola toscana) e pittura piacevole ed elegante per sancire la preminenza della libertà dell’artista o dell’esigenza del mercato.Prima che in pittura, fu nelle arti applicate che iniziarono a comparire decorazioni in stile, probabilmente su influenza della contemporanea produzione pittorica francese di maggiore esportazione.Le dame italiane cominciarono dunque a sfoggiare ventagli dipinti con scenette galanti, mentre le abitazioni venivano arredate con specchiere e trumeau in una derivazione dello stile Luigi XV, come mostra un bel quadro di Luigi Busi intitolato La commendatizia, esposto con successo a Brera nel 1874. Anche i primi musei, specialmente quelli dedicati alle arti decorative e cosiddette industriali, furono allestiti secondo questo gusto e continuarono a esserlo ancora per tutto il primo quarto del Novecento. Lo stesso palazzo del Quirinale a Roma, da sede papale divenuto residenza reale, tra l’ottavo e il nono decennio fu ampiamente riarredato secondo questo stile, perlopiù smantellando le ultime sopravvivenze delle sistemazioni napoleoniche.Perfino la letteratura ne fu toccata e un intelligente scrittore d’arte come Giuseppe Rovani poté dare alle stampe un romanzo come Cento anni, edito a Milano nel 1869 con immediato successo, nel quale la coerenza estetica e di pensiero del secolo XVIII veniva contrapposta all’eclettica confusione di costumi suoi contemporanei. Nei quadri così come nei romanzi, dunque, il Settecento rappresentava «un mondo immaginario al quale chiedere in prestito, come per gioco, personaggi di una commedia scandalosa che il tempo aveva reso inoffensivi»(1), mai però per fuggire la realtà di un mondo in forte evoluzione, come si è soliti affermare(2), bensì per costruire, attraverso quell’esempio, l’immagine di un’epoca nuova, laica e ancora piena di speranze.È solo con gli anni 1870-1880, quando le forti e molteplici sperimentazioni pittoriche italiane si frantumavano esaurendo definitivamente la propria forza aggregatrice e la costituenda nazione sposava con convinzione lo storicismo come stile unitario e unificante, che il neosettecentismo - quella «smorfietta donnesca parigina» (Boito) oramai accusata di antipatriottismo - poté liberamente affermarsi e diffondersi per un quindicennio anche su tela quale altra faccia di quella pittura degli affetti quotidiani invero propugnata fin dagli anni Cinquanta da Pietro Selvatico. Considerata tuttavia estranea tanto alla pittura del vero quanto alla rinnovata eloquenza del genere storico, essa ebbe vita solamente fin quando le tendenze del mercato glielo concessero, ossia fino a che quella classe dirigente alla ricerca d’una immagine di sé non riuscì a trovarne una propria e moderna nelle abat-jour liberty, nei cappelli a larghe falde, nelle lunghissime collane di perle e nell’opera di chi, come Boldini, Sargent o De Nittis, seppe tradurle in suggestivi e preziosi ritratti, simboli di un’intera epoca.
(1) J. Starobinski, La scoperta della libertà 1700-1789, Milano 1964, p. 9.
(2) Una sorta di nuovo revival neorococò si ebbe, tra gli anni Venti e Quaranta del Novecento, nell’elegante produzione delle ceramiche Fabris: è in questo caso, piuttosto, che la licenziosità delle scenette e la brillante policromia delle sue realizzazioni, di grande successo
commerciale, può aver ragionevolmente rappresentato una fuga decorativa dall’austerità
stilistica e cromatica di moda e costumi fascisti.
ART E DOSSIER N. 377
GIUGNO 2020