Cataloghi e libri

MAGGIO 2020

FIRENZE

«Quel che Firenze insegnò a tutti più di mezzo secolo fa è il senso della dignità e, indirettamente, il senso, o il nonsenso, delle circostanze ». Ci piace ricordare questa frase, dall’appassionato saggio di González-Palacios che correda gran parte del volume su Firenze, ampiamente illustrato con molte foto di Massimo Listri e Antonio Quattrone, fra gli altri. In questo periodo così duro per l’umanità (l’attuale numero della rivista va in stampa a fine marzo, in piena emergenza sanitaria per coronavirus), il ricordo dell’alluvione, la voglia di risorgere dei fiorentini possono essere di esempio, anche se il libro è uscito a dicembre, in tempi non sospetti, e certo era inimmaginabile la catastrofe che ha colpito il mondo intero. Come non poteva immaginarla Tim Parks, quando nel libro, con fine penna, rievoca il Banco dei Medici, partendo dall’immane trauma collettivo della peste: quella del 1348 e le sei ricadute, fino al 1412. Dal 1400 al 1550 «si assistette a una lenta ripresa», scrive lo scrittore inglese, ricordando le parole di Francesco Guicciardini. Ci permettiamo d’integrare un poco il brano dello storico del Cinquecento: «Gli uomini erano tanto stracchi delle turbulenzie passate […] E veramente in quegli tempi si dimostrò quanta fussi la potenzia della città nostra quando era unita, perché soportorono dodici anni la guerra di Giovan Galeazzo con spesa infinita e di eserciti italiani ed esterni». Ma torniamo al saggio dello storico dell’arte di origine cubana, che a lungo ha vissuto a Firenze per poi trasferirsi a Roma. Nei suoi ricordi ripercorre le strade d’Oltrarno, i palazzi e musei, le scoperte (tante) di oggetti preziosi, le sue attribuzioni, gli artisti celebri e quei “pittorelli” che pure apprezza, gli incontri con i custodi di tanta bellezza, come un religioso ucraino che parlava italiano meglio di un fiorentino; e gli amici collezionisti, i poeti, le nobildonne, gli antiquari e gli storici dell’arte. Salvo rare eccezioni, nessun fiorentino, pochi gli italiani (Chiarini, Longhi), Middeldorf, Pope- Hennessy, Offner. Il percorso segue le immagini, o meglio le immagini seguono il suo itinerario in una Firenze arcinota e bellissima e di una meno turistica, che non vediamo l’ora di poter rivisitare, virus permettendo.


Franco Maria Ricci, Tim Parks e Alvar González-Palacios Franco Maria Ricci, Parma 2019 204 pagine, 126 ill. colore € 70

UN PUNTO DI APPRODO

Ci sono libri che nella loro folgorante perfezione, intensi in ogni parola, circolari e bellissimi come una forma-sonata, è impossibile descrivere. Un punto di approdo è uno di questi. Il suo autore, Hisham Matar, nato a New York nel 1970, figlio di un dissidente libico sparito nelle carceri di Gheddafi, ha vinto il Pulitzer nel 2017 per il romanzo Il ritorno. Non è uno storico dell’arte, ma merita almeno una laurea honoris causa che l’Università di Siena dovrebbe conferirgli. La sua comprensione della pittura senese- di Duccio e i Lorenzetti in particolare - è così nuova e convincente, da mettere in discussione ogni parametro e metodo ai quali ricorre di solito lo storico dell’arte. Diremo solo, perché il libro va letto, che l’incontro dello scrittore con Siena e la sua pittura scaturisce da ripetuti incontri ravvicinati, di fronte a un dipinto per volta, per ore, giorni, settimane, alla National Gallery di Londra. Ma questo, appunto, è solo un aspetto.


Hisham Matar Traduzione di Anna Nadotti Einaudi, Torino 2020 128 pp., 16 ill. colore € 20; eBook € 7,99

BORROMINI

A distanza di trent’anni dall’ultima edizione, la monografia di Portoghesi su Francesco Borromini architetto (Bissone, Lugano 1599 - Roma 1667) viene ripubblicata da Skira in una versione ampliata e per la quasi totalità riscritta dal suo autore, con un formidabile apparato fotografico aggiornato (vi compare anche la serie di bianchi e neri di Oscar Savio, scomparso nel 2005, già nel volume originale). Ben aggiornata anche la bibliografia, a cura di Stefania Tuzi. A giudicare dalle sedici pagine in corpo minuto che registrano articoli, saggi, libri, atti di convegni successivi al 1990, si capisce quale capillare revisione critico-filologica su Borromini abbia condotto il celebre studioso e architetto romano (classe 1931) in questa sua nuova fatica. Il libro si configura indispensabile per gli storici dell’architettura secentesca, e moderna in generale. Tuttavia potrà offrire una lettura piacevole anche ai non specialisti, per la narrazione colta ma sempre chiara e avvincente. Borromini (in realtà si chiamava Castelli) era nato vicino a Lugano ma a Roma visse per cinquant’anni, covando amicizie e rivalità, come quella ben nota con Bernini, col quale inizialmente si trovò a collaborare. «Imprevedibile e teatrale, oscillante fra fedeltà e amore» per i committenti (papi, principi, prelati), Borromini fu vittima anche della propria inquietudine. Ma lo si capisce, giacché si vide togliere commissioni di prestigio come la fontana di piazza Navona, e i testimoni lo rammentano come pazzo di dolore. Oltre alla rievocazione biografica e alla disamina puntuale su tutte le opere - chiese (prima fra tutte il mirabile edificio di Sant’Ivo alla Sapienza) e ville, palazzi, cappelle, sagrestie - Portoghesi analizza le opere minori, di collaborazione, mai realizzate o distrutte; e i disegni, fondamentali per tanti capolavori. Ne emerge un artista autonomo e anticonformista, dallo stile inconfondibile, che muore suicida il 3 agosto 1667, nella camera della sua casa affacciata sul Tevere, a seguito di alterni rapporti con committenti e altri artisti, dopo essersi gettato sulla lama della sua spada. E qui si fa chiarezza anche fra mito, romanzo e realtà storica.


Paolo Portoghesi Skira, Milano 2019 632 pp., 1044 ill. colore e b.n € 90

IL COSTO DEL PARTENONE

Atene, 431 a.C.: il conflitto è imminente. Tucidide (II,13) e altri con lui, si domandano se fu Pericle a determinare la guerra del Peloponneso. «Atene è più forte, è più ricca degli avversari», rassicurava Pericle: «Oltre a rendite e tributi degli alleati (600 talenti), restano 6000 talenti d’argento. Restano - precisa Pericle - perché dal tesoro di 9700 vanno tolte le spese per i Propilei [tra le altre cose, costati 2012 talenti, più del Partenone], e altre fabbriche dell’Acropoli ». Spesa eccessiva? Forse, ma i Propilei erano lo spettacolare ingresso alla rocca, un «regno di cifre favolose » in termini monetari, come spiega Marginesu in questo libro bellissimo, che fra gli altri testi in bibliografia cita il brano di Tucidide che abbiamo riletto con piacere (è disponibile online). «Quanti sacrifici e denaro per la gloria della nostra città?» chiedono gli ateniesi. Pericle rassicura: «Li avete spesi bene, oggi siamo ricchi, non solo dei doni in oro e argento e del bottino dei Medi. C’è un altro tesoro, più grande e sotto gli occhi di tutti: la gigantesca statua crisoelefantina di Atena, nel Partenone. Bella, ma soprattutto ricca, ornata di 40-50 talenti d’oro. Grazie a voi. Se useremo questo tesoro per la pubblica salvezza », raccomanda, avveduto, «dovremo però rimettervelo di peso non inferiore». L’arte come tesaurizzazione, dunque, e bene pubblico in ogni senso. Marginesu non spiega solo, con dati comparativi, gli antefatti e i costi dell’Acropoli periclea e della statua di Atena, per la quale Fidia avrebbe fatto la cresta, falsificando i conti. Indaga anche, con dono narrativo, sul rapporto fra committenza e artista, sul ruolo quasi divino dello scultore, sul prezzo e non solo sul costo dell’opera d’arte nella Grecia del V secolo a.C. Un quadro poteva valere tante monete d’oro quante materialmente lo ricoprivano. Pensare che i soldati romani, nel saccheggio di Corinto, getteranno i dadi per giocare sopra un dipinto prezioso buttato a terra con altri (Polibio, XXXIX, 2, 12). Di molto altro ancora informa il libro, e non resta che leggerlo, anche per fruttuose comparazioni con quanto indagato da studiosi come Richard Goldthwaite sulla costruzione della Firenze rinascimentale.


Giovanni Marginesu Salerno Editrice, Roma 2020 172 pp. € 15

ART E DOSSIER N. 376
ART E DOSSIER N. 376
MAGGIO 2020