Luoghi da conoscere
Aquileia

UNA CITTÀ
DI FRONTIERA

Sito archeologico fondamentale del Friuli-Venezia Giulia, Aquileia è stata una delle città più importanti dell’Impero romano nel Mediterraneo, crocevia per gli scambi commerciali e centro di irradiazione del cristianesimo nel Medioevo. Tra le sue antiche testimonianze troviamo, oltre a statue e rilievi, la piazza del Foro, la basilica romanica di Santa Maria Assunta e i mosaici pavimentali del IV secolo.

Sergio Rinaldi Tufi

Ad Aquileia, principale realtà archeologica del Friuli-Venezia Giulia, spettava nella piana dell’Isonzo (in precedenza abitata da tribù di carni e di veneti), in prossimità della laguna di Grado, il ruolo di città di frontiera nordorientale dell’Italia romana, ma, al tempo stesso, anche quello di terminale nord delle rotte nel Mediterraneo, in quanto situata all’estremità settentrionale dell’Adriatico: qui sbarcavano persone e merci che talvolta restavano in zona, ma in molti casi proseguivano verso i valichi alpini e l’Europa centrale e settentrionale. Giungeva inoltre qui la via che consentiva di importare dal Baltico, e poi distribuire per vie di terra e di mare, una preziosissima resina fossile: l’ambra.

Dopo la seconda guerra punica e la fondazione di numerose colonie in Emilia, questo territorio non era ancora romano, ma l’Urbe vigilava: così, quando nel 181 a.C. un gruppo di celti proveniente dall’area dell’odierna Slovenia si insediò al margine della laguna, con l’uso della diplomazia fu indotto a ritirarsi; poi, malgrado la postazione romana più vicina fosse a circa trecento chilometri, l’importanza strategica del sito indusse l’Urbe a fondare una colonia, insediando militari di vario ordine e grado e lottizzando per loro settantadue ettari di terreno coltivabile.

La piazza del Foro, di forma rettangolare allungata, chiusa da portici colonnati


Un rilievo del secolo seguente è noto perché, al di là del livello artistico (dignitoso ma non eccelso), raffigura magistrati romani che, grazie a un aratro trainato da una coppia di buoi, tracciano un solco: scena in genere interpretata come cerimonia di fondazione della colonia e sua delimitazione rituale, ma secondo recenti studi si tratterebbe di un momento di una festa agraria, cosa plausibile in questa fertile pianura (Monika Verzar).
La città ebbe un primo Foro sull’asse nord-sud (“cardo”, o cardine), corrispondente all’attuale via Giulia Augusta. Vi sorgeva un santuario dedicato a Giove (come ci rivela un’iscrizione su una colonna superstite) da Tampia, appartenente a una famiglia di coloni fondatori. Nel I secolo a.C. la produzione artistica è notevole: oltre al rilievo già ricordato spiccano alcuni ritratti che, con il “verismo” tipico dell’epoca repubblicana romana, presentano nei volti i segni dell’età e della fatica propri di una classe dirigente legata alla proprietà terriera e al lavoro nei campi. Sempre in epoca repubblicana fu eseguita una splendida applique in bronzo, raffigurante di profilo Borea: chioma agitata, bocca che sembra soffiare, è la personificazione del vento del nord-est resa con una raffinatezza di derivazione ellenistica.


La piazza del Foro romano, di cui rimane un tratto ricostruito negli anni Trenta.

La colonia si consolida, ed è scelta come base da Cesare per la conquista delle Gallie (58 a.C.) e da Ottaviano per le campagne in Illiria (35-33 a.C.). Quando quest’ultimo, divenuto Augusto e spesso presente in città (dove esisteva un suo palazzo), divide l’Italia in regioni, Aquileia diviene capoluogo della Regio X, Venetia et Histria: preminenza poi mantenuta per secoli, grazie anche al diffuso benessere (commerci, artigianato, agricoltura, viticoltura) e al contemporaneo fiorire dell’architettura e delle arti figurative.

Spicca la piazza del Foro, di forma rettangolare allungata, chiusa da portici colonnati (di cui rimane un tratto ricostruito negli anni Trenta del secolo scorso), la cui sommità era coronata da cippi decorati con teste di Giove Ammone e di Medusa, non eseguite in serie ma con variazioni talvolta notevoli; adiacente era la basilica per le attività giudiziarie. Si realizzò inoltre un sorta di “quartiere dello spettacolo”, con un teatro e un anfiteatro di cui però resta molto poco. Grandioso era il porto sul fiume Natissa (oggi Natisone), e poderosa la banchina della riva destra, provvista di gradinate che conducevano al livello dell’acqua e dotata di pietre forate sporgenti per annodare le gomene delle navi; restano anche avanzi dei magazzini retrostanti. La banchina sinistra, scavata ai tempi dell’Impero austroungarico, era distante cinquanta metri: una “passeggiata archeologica” suggestiva ma ingannevole (costruita durante il fascismo), che in pratica ha invaso il letto della Natissa, impedisce però di valutare l’originaria larghezza del corso d’acqua. Fra il “cardo” e il fiume, il centro urbano era costituito da isolati disposti a scacchiera: numerose erano le belle “domus” con mosaici pavimentali. Da non trascurare la cinta muraria, che subisce nel tempo varie modifiche.

Nei mosaici pavimentali della basilica romanica Giona nella grande distesa di un mare ricco di pesci

Continua anche in età imperiale una copiosa produzione di sculture, ben documentata nel grande Museo archeologico nazionale che attualmente è in fase di riorganizzazione. Spicca, fra le altre, proprio una statua di Augusto con la testa coperta da un lembo (particolarmente abbondante) della toga, in veste cioè di pontefice massimo (la più alta autorità religiosa): la resa del volto, e soprattutto del panneggio, fa pensare a uno scultore proveniente dall’Urbe. Ma interessante è anche un semplice ed efficace tipo di produzione non “aulica”, non legata alla sfera del potere: stele funerarie con scene di mestiere (notevole una bottega di fabbro), altre dedicate a soldati, la statua di un capitano di nave, un rilievo con gladiatore ...
Quando nel 238 d.C. Massimino Trace, acclamato imperatore dalle truppe e in marcia da nord verso Roma per imporre al Senato la ratifica della nomina, giunse ad Aquileia, fu sconfitto e ucciso: la città si scoprì baluardo dell’impero, e lo fu anche in seguito, in presenza di tempi via via più inquieti; furono costruiti una residenza imperiale e un circo, conservati però molto parzialmente. Nel IV secolo, l’imperatore Costantino celebrò qui il fidanzamento con Fausta; il vescovado godeva di notevole prestigio, e ospitò nel 381 il concilio che condannava l’eresia ariana, voluto da sant’Ambrogio; alla fine del secolo fu istituito il Patriarcato. Nel V la città subì la violenza degli unni di Attila, e poi di visigoti, ostrogoti, longobardi. Intorno al 450, una singolare cinta muraria a spuntoni triangolari racchiudeva una città dalle dimensioni ormai dimezzate. Gli abitanti si rifugiarono sulle isole della laguna, demolendo molti monumenti per reimpiegare i materiali nella costruzione di edifici a Grado.


Rilievo del I secolo a.C. con scena in genere interpretata come cerimonia di fondazione della colonia e sua delimitazione rituale, ma secondo recenti studi si tratterebbe piuttosto di un momento di una festa agraria, cosa plausibile in questa fertile pianura.

Ma il Patriarcato mantiene il suo prestigio, anzi giunge a includere tutto il Nord-est; nel IX secolo con il patriarca Massenzio, e ancor più nel 1019-1042 con Poppone, si stringono i rapporti con il Sacro romano impero: nel 1077 Enrico IV, re di Germania e (appunto) imperatore, aggiunge la Carniola e l’Istria. Proficuo è il buon rapporto con Venezia, che tuttavia poi si incrina per motivi di rivalità commerciale, finché nel 1420, battendo sul tempo gli Asburgo alla ricerca di uno sbocco al mare, la Serenissima non si impossessa di tutto il territorio. Il quale però, nel 1509, diviene comunque parte dall’Impero austroungarico, e tale resta fino al 1918. Nella storia del cristianesimo aquileiese spicca la cattedrale romanica di Santa Maria Assunta, inaugurata da Poppone nel 1031, e ancora in uso oggi. Ma tutto era cominciato con il vescovo Teodoro, che poco dopo l’Editto di Costantino del 313 aveva fatto costruire un complesso costituito da due chiese parallele (una a nord e una a sud), intervallate da altri ambienti: lo schema della doppia basilica è un fenomeno diffuso in area adriatica, di cui si sono tentate varie spiegazioni. Vi era una spettacolare decorazione musiva pavimentale: mentre i mosaici dell’aula nord e degli ambienti intermedi sono oggi visibili in un sotterraneo appositamente realizzato, quelli dell’aula sud costituiscono la pavimentazione della basilica popponiana. La situazione è complessa, perché su tale aula si sono avvicendati vari interventi: quello del vescovo Cromazio (388-407), con nuove strutture fra cui il battistero; quello del vescovo Massenzio (IX secolo), che creò anche una cripta, più tardi splendidamente affrescata (leggende di san Marco); poi, appunto nell’XI secolo, la costruzione popponiana. Massenzio e Poppone non “rispettarono” i mosaici teodoriani, sovrapponendovi altri pavimenti: il recupero avvenne all’inizio del Novecento, così che oggi vediamo mosaici del IV secolo che fanno da pavimento a una basilica dell’XI secolo.

Basilica straordinaria: l’alta facciata (preceduta dal battistero, che è ancora quello di Cromazio) reca al centro una grande bifora. All’interno, l’ampio spazio si articola in tre navate, e sullo sfondo l’abside presenta splendidi affreschi: Madonna in trono col Bambino, figure di santi, immagini dello stesso Poppone e (a riprova dei buoni rapporti con il Sacro romano impero) di Corrado II di Sassonia detto il Salico. Staccato dalla basilica è il campanile (che qualcuno, anche se è arduo capire su quali basi, ritiene ispirato all’antico Faro di Alessandria), modello a sua volta per tanti campanili successivi.

Ma eccoci ai mosaici pavimentali risalenti al IV secolo: la loro superficie di settecentosessanta metri quadrati è la più grande nell’ambito delle province romane d’Occidente. Si distinguono quattro grandi campate: tre erano scompartite in riquadri, e fra i soggetti più noti ve ne è uno interpretato (pur con dubbi) come “Buon pastore”, raffigurazione allegorica di Cristo priva di ogni riferimento spaziale (i piedi non toccano terra). La quarta campata, la più grande, raffigura vicende del profeta Giona nella grande distesa di un mare ricco di pesci. Spicca, ed è qui raffigurato con grande vivacità, l’episodio in cui il profeta stesso, su un nave fenicia salpata da Giaffa, fu gettato in mare, per poi essere inghiottito da un mostro marino e uscire dalle sue fauci dopo tre giorni. Narrazione che allude alla Resurrezione, ma che nell’orizzonte aquileiese, in cui la navigazione era un tema vitale, poteva alludere a naufragi da cui salvarsi o a carichi inabissati da recuperare (Vittorio Peri). L’Aquileia paleocristiana è testimoniata anche da un quartiere nella zona sudorientale con la basilica dei Santi Felice e Fortunato: viene da qui, fra l’altro, un rilievo con l’abbraccio fra Pietro e Paolo (IV secolo d.C.), schema iconografico non molto consueto che ricompare però anche in preziosi vasi vitrei policromi.


UNA FONDAZIONE PER AQUILEIA

Gli scavi di Aquileia sono stati condotti, per quasi un secolo, dalla Soprintendenza del Friuli-Venezia Giulia, in crescente collaborazione con varie università (Trieste, Udine, Padova) e accademie (École française de Rome); nel 1988 è stata creata una fondazione che coinvolge inoltre Regione, provincia di Udine, Comune, Arcidiocesi di Gorizia. Dell’attività della fondazione dà puntuale informazione “Archeologia Viva”: da ricordare fra l’altro numerose mostre e manifestazioni non solo su Aquileia stessa ma anche, per esempio, sulla sorte dei beni culturali nei teatri di guerra.

ART E DOSSIER N. 376
ART E DOSSIER N. 376
MAGGIO 2020