Studi e riscoperte. 3
Il Polittico Griffoni

LA RICOSTRUZIONE
DI UN CAPOLAVORO

Il monumentale polittico realizzato da Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti per la cappella di Floriano Griffoni in San Petronio a Bologna, esempio di modernità pittorica coniugata al gusto tardogotico della committenza, ha una storia travagliata di smembramenti, traslochi e decurtazioni. Studi recenti (e una mostra?) aiutano a ricostruire i passaggi cruciali.

Alessio Costarelli

Il 14 febbraio 1725 Stefano Orlandi, pittore quadraturista incaricato, insieme a Vittorio Maria Bigari, di rinnovare arredo e decori della cappella recentemente acquisita in San Petronio a Bologna dal monsignore Pompeo Aldrovandi, scriveva all’alto prelato parole che avrebbero segnato il destino di uno dei massimi capolavori del Rinascimento emiliano: «Mi viene significato che Vostra Signoria Illustrissima sia per fare dipingere nella sua capella l’ornamento del altare […] per ciò è stimato bene presentarli un piccolo abozo della forma che si ritrova, la tavola di detto altare a ciò veda, che per fare un ornamento moderno quello non potria servire in nisuna forma»(1). Il consiglio, che suona come una sentenza, non mancò d’essere accolto e già nel 1732 l’opera stava, smembrata, alle pareti di villa Aldrovandi (ora Soncini-Sessa) a Mirabello, nel Ferrarese.
Per il grande polittico compiuto da Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti tra il 1470 e il 1473 per Floriano Griffoni ebbe così inizio una storia, fin troppo comune, di traslochi e decurtazioni che in due secoli lo hanno diviso tra le maggiori collezioni pubbliche e private del mondo, da Washington a Ferrara passando per Londra, Parigi, Rotterdam, Milano e Venezia. Per la prima volta dopo quasi trecento anni, le quattordici tavole superstiti sono state riunite a Bologna in una mostra, curata da Mauro Natale e Cecilia Cavalca, dal valore davvero eccezionale(2). La riscoperta critica di un simile capo d’opera si deve, è cosa nota, a Roberto Longhi nella sua Officina ferrarese (I ed. 1934). Riprendendo una fondamentale intuizione di Gustavo Frizzoni - il primo a ipotizzare nel 1888 l’appartenenza al perduto polittico petroniano delle quattro tavole maggiori (il San Vincenzo Ferrer di Londra, il San Pietro e il San Giovanni Battista di Brera e la lunga predella della Pinacoteca vaticana) - fu Longhi a restituire in via definitiva a Francesco del Cossa la paternità del polittico (fin da Vasari data a Lorenzo Costa) e a proporre una nuova e ardita ipotesi ricostruttiva, ponendo al contempo l’opera al centro di un importante snodo critico nella storia dell’arte del Rinascimento a Bologna; una ricostruzione ancora solo induttiva che si scontrò con forti e autorevoli critiche ma che lo studioso di Alba non mancò mai di difendere e anzi ulteriormente affinare nel corso degli anni a seguire. I dubbi erano molteplici: si percepivano dissonanze e incongruenze atmosferiche e stilistiche tra le tavole inferiori e quelle del registro superiore da lui identificate e si stentava a immaginare, per una città come Bologna al tempo ancora considerata marginale entro il panorama del Rinascimento italiano, la realizzazione di un’opera che, in questo modo, assumeva una monumentalità e modernità assolutamente significative. Il reperimento, a distanza di decenni, della citata lettera di Orlandi corredata da uno schizzo della carpenteria e da un elenco sommario delle tavole ha sostanzialmente confermato l’ipotesi longhiana, rendendo omaggio quanto pochi altri casi all’altezza del suo magistero.

(1) L’importante documento fu reperito da Francesca Montefusco Bignozzi e pubblicato da Daniele Benati nel 1984.

(2) La ricostruzione del Polittico Griffoni è al centro di una mostra organizzata da Genus Bononiae a palazzo Fava a Bologna, inizialmente prevista dal 12 marzo al 28 giugno e posticipata in seguito alle disposizioni per contenimento del virus Covid-19. Al momento di andare in stampa non sono state ancora comunicate le nuove date di apertura al pubblico.

La mostra è suddivisa in due sezioni: la prima, su sei sale, ripercorre la storia del Polittico Griffoni e del suo contesto di impianto entro la basilica di San Petronio. È prevista una riproduzione a scala reale del polittico, che ben rende l’idea di cosa avremmo potuto ammirare. La seconda parte, curata da Adam Lowe e Guendalina Damone e intitolata La materialità dell’aura. Nuove tecnologie per la tutela, approfondisce l’operato di Factum Foundation nella rilevazione scientifica delle immagini delle tavole, illustrando l’apporto delle nuove tecnologie per lo studio e la tutela del patrimonio artistico mobile.

Predella con le Storie di san Vincenzo Ferrer, Roma, Pinacoteca vaticana.

Fu Longhi a restituire a Francesco del Cossa la paternità del polittico


La definizione di forma e proporzioni generali del polittico è invero ancora oggetto di studio da parte degli specialisti, sebbene recenti ipotesi ricostruttive - comunque non esenti da qualche difficoltà - abbiano fornito un ulteriore contributo alla risoluzione del problema. Un dibattito, questo, tutt’altro che fine a se stesso, giacché una migliore definizione del dialogo (o del contrasto) architettonico ed estetico tra la forte modernità pittorica delle tavole - aggiornata sui maggiori capolavori di Firenze e della scuola padovana, ma anche sulla luce e la spazialità di Piero della Francesca - e l’attardato goticismo di una tipologia, quella del polittico cuspidato, evidentemente imposta dalla committenza - ancora prevalente in città ma già superata dallo stesso Cossa nella cosiddetta Pala dell’Osservanza (1467-1469) - può, essa sola, consentire di comprendere l’effettivo ruolo storico svolto dall’opera entro la complessa evoluzione allora in corso a Bologna dalla tradizione tardogotica a quella rinascimentale.

Se dunque nella raffinata carpenteria approntata dall’intagliatore cremasco Agostino de’ Marchi assistiamo, come che sia, a un tentativo di aggiornamento in chiave antica di un impaginato intrinsecamente gotico(3), ogni dettaglio delle tavole parla invece un guaggio moderno, antidecorativo, monumentale e prospettico che travalica totalmente le dimensioni effettive delle singole tavole, comprese quelle dei pilastri. I tre santi maggiori, avvolti in pesanti manti accartocciati, si fregiano della solidità delle sculture e riempiono, come statue nelle nicchie, lo spazio loro concesso lasciando ben poco alla vista dei rocciosi paesaggi immaginari alle loro spalle; mentre nel registro superiore la prospettiva, fondamentale presupposto della nuova spazialità rinascimentale, non si arrende all’appiattimento del fondo dorato e stimola il pittore a sviluppare soluzioni originali, quale la posa informale di san Floriano, o quasi bizzarre, come i due occhi «rifioriti su di uno stelo di leguminosa» (Longhi) di santa Lucia.


San Vincenzo Ferrer, Londra, National Gallery.

San Pietro, Milano, Pinacoteca di Brera.



San Giovanni Battista, Milano, Pinacoteca di Brera.


San Floriano, Washington, National Gallery of Art.
Tondo con la Crocifissione, Washington, National Gallery of Art.


Clipei con Angelo annunciante e Vergine annunciata, Gazzada (Varese) Collezione d’arte di villa Cagnola.

(3) Longhi, ignaro della lettera di Orlandi, immaginava non a caso una «mirabile incorniciatura bentivolesca».

Ogni dettaglio delle tavole parla un linguaggio moderno, antidecorativo, monumentale e prospettico


Più «secca e tagliente», secondo la definizione di Vasari, la predella, ch’egli giudicava «molto meglio opera che la tavola» ed effettivamente da sempre annoverata tra i capolavori di un ancor giovane Ercole de’ Roberti, cui buona parte della critica più recente attribuisce anche i due clipei con l’Annunciazione. Il racconto dei Miracoli di san Vincenzo Ferrer si svolge in una scenografia attentamente costruita, con un oculato variare di ritmi pausati e accelerazioni narrative: a osservarla, così composta nel suo sviluppo orizzontale, par quasi uno spartito musicale, ripartito in battute corrispondenti al variare dei sette apparati architettonici e animato da silenzi e concitazioni, da minime e semicrome di cui si riescono perfino a cogliere pizzicati e legature. E benché i personaggi siano qui ovvi eredi del Settembre nel Salone dei mesi di palazzo Schifanoia a Ferrara, la composizione dei corpi, il disegno in generale dichiarano l’influsso di quella che Carlo Volpe considerava la più rustica e morbida maniera bolognese di Del Cossa, in virtù della quale De’ Roberti ammorbidisce, seppur di poco, gl’irti e inamidati panneggi ferraresi, meditando al contempo il patetismo delle “mise en scène” di Niccolò dell’Arca, di cui si ricordò pochi anni più tardi anche nei perduti affreschi della cappella Garganelli nella cattedrale bolognese, tanto ammirati da Michelangelo. Si attende dunque la mostra dove le vicende del polittico e della basilica che lo ospitò si intrecciano a delineare un capitolo fondamentale del Quattrocento bolognese; ove riscoprire il “côté” figurativo e culturale di una città pia e umanistica, attrice nient’affatto marginale sul proscenio del Rinascimento italiano; per ammirare, come mai prima era accaduto, quanto resta di un capolavoro già perduto e per lungo tempo dimenticato. Una mostra, un’occasione unica di conoscenza.


Ricostruzione del Polittico Griffoni proposta in C. Cavalca, La pala d’altare a Bologna nel Rinascimento: opere, artisti e città 1450-1500, Cinisello Balsamo 2013.

ART E DOSSIER N. 376
ART E DOSSIER N. 376
MAGGIO 2020