Musei da conoscere
Palazzo Maffei a Verona

UNA WUNDERKAMMER
DAL VOLTO BAROCCO

Nel centro storico di Verona si affaccia su piazza delle Erbe palazzo Maffei, rifatto nel Seicento ma risalente, nella sua struttura originaria, al tardo Medioevo. Da poco restaurato, l’edificio è diventato un forziere di opere d’arte, dal moderno all’antico, grazie al raffinato fiuto del collezionista Luigi Carlon.

Maurizia Tazartes

Entrando in piazza delle Erbe, nel cuore di Verona, tra gli antichi palazzi ne spicca uno, sullo sfondo, come una quinta scenografica barocca. È l’elegante palazzo Maffei, un edificio il cui corpo originario risale al tardo Medioevo. Sorgeva nell’area del Capitolium, il complesso votivo dedicato alla triade capitolina (Giove, Giunone e Minerva) quando la città, nel 49 a.C., era diventata municipio romano. Rifatto in periodo barocco, con un’ardita facciata sormontata da statue (Ercole, Giove, Venere, Mercurio, Apollo e Minerva) tutte in pietra locale, tranne Ercole realizzato in marmo romano, il palazzo è adesso “rinato” dopo un un impegnativo restauro, esterno e interno, che l’ha reso un vero gioiello. Il complesso progetto ha riguardato la spettacolare facciata su piazza delle Erbe, facciate secondarie, la scala elicoidale, gli apparati decorativi pittorici e a rilievo delle sale e ha comportato interventi strutturali di consolidamento e impiantistici. Un grande lavoro.
Non solo. L’interno di questo storico spazio si è trasformato in un museo, dove trovano ospitalità permanente trecentocinquanta opere di pittura, scultura, grafica, ceramica, arredo, dal Trecento-Quattrocento a oggi. Autori celebri, artisti meno noti ma importanti, in una lunga straordinaria passeggiata lungo sei secoli. L’anima dell’intera operazione è Luigi Carlon, imprenditore e collezionista, cavaliere del Lavoro veronese illuminato e amante del bello, che oltre a dedicarsi alla famiglia, alla professione e agli affari, è riuscito a formare dal nulla una straordinaria collezione d’arte. «Questo progetto», dice, «è il punto di arrivo di cinquant’anni di collezionismo. Sono partito dalla pittura moderna per arrivare all’antico. Queste opere, accumulate nella mia casa, sono offerte in una nuova sede alla visione di tutti. Perché? Perché le opere d’arte danno la felicità. Io, guardandole, sono felice, così lo saranno anche altre persone».


Facciata di palazzo Maffei da piazza delle Erbe.

Opere a soggetto mitologico, ispirate alle antiche gesta dei poemi omerici, filtrati attraverso il mondo cavalleresco del Rinascimento


Detto, fatto. Nel giro di due anni, 2018-2020, è entrato in campo un manipolo di esperti, tra ingegneri, architetti, designer, restauratori, storici, e tanti altri operatori. Il risultato, brillante, è quello che si presenta davanti agli occhi del visitatore, dopo aver percorso una audace scala elicoidale. Diciotto sale e ambienti vari, tra stucchi e pitture murali, soffitti decorati, mobili antichi e opere d’arte.
Ma con che criterio distribuirle? Quello che riflette il pensiero dello stesso collezionista, che amava il moderno ma gli affiancava l’antico, prediligeva la pittura medievale e rinascimentale veronese, ma non poteva fare a meno di procurarsi futuristi, metafisici, le avanguardie del Novecento. Un posto privilegiato ha l’arte veronese con artisti conosciuti, ma anche rari, che rendono importante la raccolta non solo per il pubblico in generale, ma anche per gli specialisti.


La prima sala: sul fondo, Zenone Veronese, Il ratto di Elena (XVI secolo).

A ideare il percorso, interpretando le idee di Carlon, è stata Gabriella Belli, direttrice della Fondazione Musei civici di Venezia, che dice: «Questa volta siamo partiti dal moderno per arrivare all’antico. Ecco in una delle prime sale un Taglio di Fontana, tutto rosso, una ferita che si ricollega a tante opere antiche, Crocifissioni, per esempio. Il percorso è tematico-cronologico, con pause e alternanze, molto vario. A guidarci è l’amore per la conoscenza, il fil rouge che lega con sottili motivi un’opera all’altra».

Le prime sale, che si affacciano sulla piazza, riflettono l’atmosfera di una dimora privata, o di una “Wunderkammer”, con arte antica e moderna tra preziosi arredi. Le altre, più all’interno, si presenta come una galleria museale, con capolavori della Metafisica, del futurismo e delle avanguardie internazionali. Colpiscono accostamenti insoliti come un prezioso dipinto, Alzata con prugne, della secentesca Fede Galizia, avvicinato a Morandi e Marino Marini. Ma le sorprese sono a ogni angolo.
Ogni sala, dedicata a una specifica sezione, ha un titolo allusivo e pareti colorate a tinte intense, azzurri, rossi, bianchi. La prima “Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese…” ospita importanti opere a soggetto mitologico e cavalleresco. Dominano i maestri veronesi dal Trecento al Seicento come un pittore della cerchia di Altichiero da Verona, presente con una piccola tavola di trittico con il Cristo davanti a Caifa, e Zenone Veronese con la grande tela raffigurante il Ratto di Elena, dalla lunga storia attributiva e collezionistica, acquistato nel 1912 dal Metropolitan Museum of Art di New York, rimesso in vendita da Christie’s nel 1994 ed entrato nella collezione Carlon l’anno dopo.
“Mirabilia” è la seconda piccola sala, uno scrigno, dove si fanno compagnia il Concetto spaziale di Lucio Fontana e due preziose tavole a fondo oro attribuite rispettivamente al Secondo Maestro di San Zeno (Crocifissione) e al fiorentino Lippo d’Andrea (Resurrezione di Cristo). 


La scala elicoidale vista dall’alto.

La decima sala con maioliche rinascimentali, opera di manifatture veneziane, umbro-toscane e marchigiane.

La terza sala, “Mater amorevolissima”, è dedicata alla Madonna e alla sua iconografia che cambia nel tempo, dalle immagini quattro-cinquecentesche di Antonio Badile, Liberale da Verona e Fra Girolamo Bonsignori alla monumentale scultura di Arturo Martini, Maternità, del 1932-1933. Poi, è la volta dei “Santi ed eroi”. Chi sono? Protagonisti sacri ed eroi ovidiani, interpretati da artisti veronesi o attivi a Verona tra Cinquecento e Settecento. Ed ecco, sulla parete di fondo, una grande tela con la Strage degli innocenti di Simone Brentana, l’artista giunto da Venezia a Verona nel 1686. Un dipinto tutto scorci e violenza, che spicca sulle pareti rosse insieme a opere di Jacopo Ligozzi, Paolo Farinati e Alessandro Turchi.
“L’ira funesta” è il titolo della sala successiva, che immerge i visitatori nella guerra antica e moderna. Alle tele tardo secentesche di Matteo Stom e Antonio Calza con scene di battaglie, tra grovigli di soldati, si contrappongono le visioni tragiche e informali di Leoncillo (Racconto rosso, 1963), le Combustioni di Alberto Burri (Tutto nero, 1957) e il cavaliere disarcionato di Marino Marini, con tematiche allusive alla seconda guerra mondiale.


La terza sala: in primo piano, Arturo Martini Maternità (1932-1933); sul fondo, da sinitra a destra, Fra Girolamo Bonsignori Sacra Famiglia con Santa Elisabetta e San Giovannino; Giovanni Badile (attribuito) Madonna gravida e San Giuseppe (Il sogno di Giuseppe).

Futurismo rivisitato a colori, omaggio alla celebre fotografia con i firmatari del Manifesto

Dalle tragedie belliche alla bellezza femminile con Venere e le altre, in cui dee, eroine e donne dell’antichità, Lot ed Ester, Amore, Cleopatra guardano curiose e stupite la strana Testa di donna del 1943 (Dora Maar) di Picasso o la Medusa di Fontana. La sala successiva, “Cannocchiale sulla città”, è un omaggio a Verona con paesaggi veneti di grandi autori, tra cui l’olandese Gaspar van Wittel con il capolavoro Veduta dell’Adige nei pressi di San Giorgio in Braida del 1695.
Dopo il “Salotto blu”, la “Sala degli stucchi” e “La monachella”, ambienti che rievocano l’intimità della casa del collezionista con oggetti e opere che spaziano dall’antico al contemporaneo, ecco l’immersione nel Novecento. A prepararci è la dodicesima sala, “Intermezzo”, in cui protagonista è il grande quadro di Mario Schifano con Futurismo rivisitato a colori, del 1979-1980, omaggio alla celebre fotografia con i firmatari del Manifesto scattata nel 1912 in occasione della prima mostra del gruppo a Parigi. Ma nella rievocazione non mancano tutti i protagonisti di quel primo Novecento, di correnti varie, da Casorati a Carrà, da Boldini a Medardo Rosso a Boccioni.
Altre cinque sale conducono il visitatore nei segreti della Metafisica, del surrealismo, del realismo magico per arrivare a oggi attraverso astrattismo, figurazione, materia, spazio, idea. Non manca nulla, grazie alla passione del cavalier Carlon.


La nona sala. Da sinistra a destra: Giuseppe Capogrossi, Superficie CP/833/A (1966); Gerrit Rietveld, Sedia rossa e blu (1917); Josef Albers, Homage to the Square (1954).


Tredicesima sala. Da sinistra a destra: Giacomo Balla, Linee-forza del pugno di Boccioni (1920-1925 circa); Gino Severini, Jeanne nell’atelier (Donna che legge) (1916); Giacomo Balla Linea di velocità e vortice (1914-1915 ideazione; 1930-1940 realizzazione).


Dodicesima sala: in primo piano, Medardo Rosso. La portinaia (1883-1884 ideazione; 1900- 1910 circa realizzazione); Umberto Boccioni Figura seduta (1906); in secondo piano, Mario Schifano Futurismo rivisitato a colori (1979-1980).

IN BREVE:

Palazzo Maffei - Casa museo
Verona, piazza delle Erbe 38
orario 10-18, sabato, domenica e festivi 11-19
1° gennaio 13-19, chiuso martedì e 25 dicembre
www.palazzomaffeiverona.com

ART E DOSSIER N. 376
ART E DOSSIER N. 376
MAGGIO 2020