Letture iconologiche. 1
L’Amore minaccioso di Falconet

LA SFIDA
DI CUPIDO

La figura di un amorino che invita al silenzio con fare scherzoso, inventata nel Settecento dallo scultore Falconet per madame de Pompadour, di enorme successo nella produzione artistica del tempo, ha radici lontane, addirittura nell’Antico Egitto, e un’attinenza specifica ai temi del programma artistico voluto dalla marchesa.

Giulia Franceschini

Un amorino seduto su una nuvola, con la faretra, posata per terra sulla sinistra, da cui sembra voler estrarre una freccia, ci guarda con aria birichina e con l’indice della mano destra appoggiata alle labbra fa segno di tacere. Il cosiddetto Amore minaccioso è una statuetta in marmo (circa 90 centimetri di altezza), eseguita nel 1757 dallo scultore francese Étienne-Maurice Falconet (1716- 1791) per madame de Pompadour e presentata con successo lo stesso anno al Salon parigino, l’esposizione biennale degli artisti dell’Accademia reale di pittura e scultura, di cui egli era membro dal 1744. Il catalogo della mostra ci informa che l’opera era destinata alla residenza parigina della marchesa di Pompadour, cioè l’Hôtel d’Evreux (l’attuale palazzo dell’Eliseo). Nel 1755 Falconet aveva già esposto il modello in gesso al medesimo Salon e il 15 ottobre di quell’anno richiedeva ufficialmente al marchese di Marigny, sovrintendente dei “bâtiments du roi” (nonché fratello della marchesa), un blocco di marmo per scolpire la statua. Grazie alla sua benefattrice egli è nominato nel 1757 “chef d’atelier” delle sculture alla manifattura reale di porcellana di Sèvres dove rimane fino al 1766. Produce modelli per commercializzare le sue opere marmoree in porcellana tenera: sempre di dimensioni minori dell’originale e sempre in biscuit non smaltato (che permette di creare più dettagli e rifinizione che un biscuit vetrato). Il successo dell’Amore minaccioso sembra illimitato: repliche e riproduzioni in porcellana (per alcune delle quali nel 1761 Falconet crea una Psiche come pendant), in bronzo, in piombo, senza poi contare il numero di opere varie in cui è raffigurato: quadri come l’Altalena di Fragonard o il Ritratto di Jean-Jacques Dessont di Johannes Petrus van Horstok, riproduzioni a stampa come nel Sì o no di Jean-Michel Moreau le Jeune nel suo libro Monument du costume, oppure come decorazione per candelabro. Oggi compare persino sui souvenir turistici, come il magnete in vendita all’Ermitage di San Pietroburgo, uno dei musei dove ne è conservata una celebre versione.


Étienne-Maurice Falconet, Amore minaccioso (1757), Amsterdam, Rijksmuseum.

La statua non va intesa con la rappresentazione di Amore/Cupido, bensì come un'allegoria dell'amicizia


Anche se chiamato Amore minaccioso, la statua non va intesa come la rappresentazione di un Amore/Cupido birichino in procinto di scagliare il suo dardo, bensì come un’allegoria dell’amore/amicizia, discreto e riservato. Dal 1750 in poi, infatti, madame de Pompadour non è più la favorita di Luigi XV ma l’amica, confidente e consigliera. Proprio su questa tematica la marchesa costruisce, attraverso l’arte, un programma di comunicazione a proprio favore nei confronti dell’“entourage” della corte, commissionando opere il cui tema centrale è l’amicizia. Allo scultore Pigalle, per esempio, richiede una statua dell’Amicizia il cui viso è un ritratto della committente (1753, Musée du Louvre) e a Falconet un modello in gesso con lo stesso tema, prodotto poi a Sèvres in una ventina di esemplari.


Manifattura di Sèvres, Amore minaccioso e Psiche (1758- 1766), Londra, V&A - Victoria and Albert Museum.

Nel Settecento l’Amore minaccioso era detto anche Amore silenzioso, il che si riallaccia perfettamente ai desideri propagandistici della marchesa. Il riserbo nelle questioni amorose era una qualità indispensabile alla corte di Francia e, all’inizio della relazione con madame de Pompadour, Luigi XV utilizzava il motto «discrétion et fidélité» nei loro scambi epistolari. Ella è quindi, da buona amica, riservata e silenziosa mentre Amore scocca le sue frecce verso altre donne.
L’iconografia scelta da Falconet ha radici lontane: nella mitologia dell’Antico Egitto, Arpocrate, figlio di Iside e Osiride, con un dito sulle labbra, intima di tacere. È il dio del silenzio e custode dei misteri sacri che ammonisce alla prudenza e il cui culto si diffonde in seguito nel mondo greco-romano dopo l’ellenizzazione dell’Egitto. Il tema ricompare dal Rinascimento in poi e poco a poco viene assimilato a quello di Cupido.
Nel suo libro Immagini degli dei e degli antichi Vincenzo Cartari (1502 circa - 1569) rappresenta il «dio del silenzio detto Harpocrate» come un bambinetto paffutello, in piedi, il dito della mano destra sulle labbra. Nel 1608 Otto Vaenius pubblica Amorum Emblemata in cui Amore e Arpocrate sono fusi in una sola iconografia: un amorino alato che intima il silenzio e porta a tracolla una faretra con frecce. Quest’ultimo testo (e di sicuro anche altri con iconografie similari) era accessibile a Falconet, dato che era grandemente diffuso e tradotto anche in francese.


Arte romana, Arpocrate (Egitto, II secolo a.C.), New York, Metropolitan Museum of Art.


Arte egizia, Arpocrate (VII-IV secolo a.C.), New York, Metropolitan Museum of Art.

Le fonti iconografiche di Falconet non si limitano ai libri


Le fonti iconografiche di Falconet non si limitano ai libri: il fisico e il viso dell’amorino si ispirano all´angelo nell’Estasi di santa Teresa di Bernini (Roma, chiesa di Santa Maria della Vittoria), mentre la posa rimanda ai putti di François Duquesnoy. Il tema dell’Amore non è certamente cosa nuova nel Settecento ma per la prima volta ci troviamo di fronte a un personaggio dalle fattezze realistiche, né bambino paffutello né adolescente, come si soleva rappresentare Cupido fino ad allora, bensì un ragazzino descritto con tale naturalezza che sembra quasi volersi alzare e scoccare una freccia per davvero.
Conosciamo sei versioni autografe in marmo, conservate al Rijksmuseum di Amsterdam, al Louvre, all’Ermitage (ex collezione Stroganoff), al Museo Puškin di Mosca (ex collezione di Caterina II) e due dall’ubicazione attuale ignota ma citate da fonti ottocentesche, una nella collezione Uetheman e un’altra segnalata nel 1883 in collezione privata parigina. La versione olandese ha anche un basamento settecentesco sul quale è scolpito un distico di Voltaire: «Qui que tu sois, voicy ton Maître / Il l’est, le fut ou le doit être» (chiunque tu sia, ecco il tuo Maestro / lo è, lo fu o lo sarà presto), già pubblicato nel 1731 in una raccolta di poesie scelte. Anche se la statua è fatta per girarci intorno, è poco probabile che sia stato Falconet stesso a ideare il basamento dotato di apposite maniglie per ruotare l’opera mentre gli spettatori rimangono seduti. Sia il Rijksmuseum che il Louvre affermano di possedere la versione originale. Ambedue le opere hanno una provenienza che potrebbe suggerire questa conclusione ma gli studiosi hanno messo in luce diverse discrepanze che creano dubbi, a seconda di chi scrive, sulla versione olandese o su quella francese. Probabilmente non sapremo mai qual è l’originale ma in fin dei conti forse è meglio fare come Arpocrate e tacere su tale questione.

Nocet esse locutum, in Otto Vaenius, Amorum emblemata, Anversa (1608).


Jean-Michel Moreau le Jeune, Sì o no (1781 circa), Parigi, Musée Carnavalet.



Manifattura di Sèvres, coppia di vasi (1765-1770), New York, Metropolitan Museum of Art.

Candelabro (1785 circa), Londra, Wallace Collection.


Jean-Honoré Fragonard, L’altalena (1767-1768 circa), Londra, Wallace Collection.


ART E DOSSIER N. 376
ART E DOSSIER N. 376
MAGGIO 2020