Grandi mostre. 2
Picasso e la musica a Parigi

VIBRAZIONI SONORE
IN CARNE E OSSA

Picasso è sempre stato attratto dalla musica, non c’è dubbio. Ma qual era il genere che più amava? E come si è tradotta questa passione da lui sperimentata anche attraverso l’analisi di strumenti quali, soprattutto, chitarre, violini e mandolini? L’esposizione parigina intende rispondere a questi e ad altri quesiti per svelare componenti non ancora indagate dell’inesauribile creatività dell’artista spagnolo.

Valeria Caldelli

Una pipa, un bicchiere, una bottiglia della birra preferita - marca Bass -, un asso di fiori e due dadi come simbolo della sorte. E una chitarra a forma di cuore che virtualmente avvolge tutto. In alto uno spartito senza note, in basso una scritta grande in stampatello: «MA JOLIE». L’anno è il 1914, la guerra si avvicina ma Picasso è innamorato e il “refrain” di una canzonetta cantata dal popolare Harry Fragson si trasforma così nella sua dichiarazione d’amore. Non era la prima volta che l’artista spagnolo dedicava le parole di quel ritornello alla sua compagna inserendole nelle composizioni cubiste. Lei, la musaamica- amante del momento, era una brunetta, aspirante ballerina dal carattere pacato che si chiamava Marcelle Humbert, Eva per Picasso, in quanto simbolo di tutte le donne. La canzone, invece, diventava quasi un inno alla gioia di vivere.
Come era fatto, dunque, l’universo musicale del genio indiscusso dell’arte del Novecento? Qual era il suo rapporto con quelle vibrazioni sonore che, proprio come la pittura, generano emozioni e passioni? A cercare una risposta è la mostra Les musiques de Picasso alla Cité de la musique - Philharmonie de Paris, offrendoci, con oltre duecento opere, l’immersione in un percorso non ancora esplorato che attraverso dipinti, sculture, costumi e strumenti passa dalle scene di vita gitana ai suonatori di flauto, dai musicisti del circo alle chitarre cubiste, fino ai Balletti russi e ai baccanali in cui rivive l’antichità classica.
«Il percorso dell’esposizione permette di seguire tutta la vita e la carriera dell’artista in modo cronologico e tematico, riunendo molte opere che testimoniano il suo legame costante con la musica», spiega la curatrice della mostra, Cécile Godefroy. «Così notiamo come il rapporto si sia sviluppato nel corso degli anni, degli spostamenti dell’artista e delle sue relazioni sociali. Tutti i periodi della sua carriera sono rappresentati perché la musica ha sempre accompagnato Picasso, sia nelle sue opere che nelle sue amicizie».


Il flauto di Pan (1923), Parigi, Musée National Picasso-Paris.

Musica popolare, quella che si suonava nei cabaret parigini, che veniva dalle chitarre spagnole, dai ritmi incalzanti dei suonatori di strada


Eppure Picasso non amava la musica. O almeno così sosteneva lui stesso. «Quando si parla di arte astratta si dice sempre che è come la musica. E quando vogliamo dire bene di qualcosa lo paragoniamo alla musica. Tutto diventa musica», affermava. E concludeva: «Credo che sia per questo che io non amo la musica».

Certo è vero che l’uomo e l’artista non furono mai “contagiati” dalle note classiche, nonostante l’amicizia con Stravinskij, nonostante i numerosi compositori che frequentavano la casa parigina di rue La Boétie, dove Picasso viveva con la prima moglie Olga, e nonostante i tentativi dell’amico Max Jacob che in gioventù aveva tentato di iniziarlo al pianoforte e all’opera lirica trascinandolo anche più volte a vedere La bohème. Ma un’altra musica, quella popolare, quella che si suonava nei cabaret parigini, che veniva dalle chitarre spagnole, dai ritmi incalzanti dei suonatori di strada e dagli accompagnamenti sonori della corrida, lo attirava invece come una calamita. E se succede che nell’iniziale elaborazione del linguaggio cubista la musica resti assente, è evidente come invece questa entri con forza nelle opere degli anni successivi.


Il concerto (1965).


Arlecchino con chitarra (1918).

Saranno soprattutto le chitarre, i violini e i mandolini a essere osservati, sezionati e analizzati in numerose composizioni, non tanto come strumenti “parlanti” che provocano emozioni, quanto come elementi di una sperimentazione senza freni. «Smontata, appiattita o ricomposta nelle forme di un assemblaggio di fortuna, la chitarra è l’oggetto che l’artista scompone di più nei vari pezzi - rosone, cassa, tavola armonica, colli e tasti - al fine di ristabilirne “l’idea” più liberamente », scrive Cécile Godefroy nel catalogo della mostra. Non solo. Per meglio comprendere questo “utensile” Picasso, che non sapeva suonare, tappezzava le pareti del suo atelier con una serie di strumenti a corda, mentre altri ne fabbricava lui stesso in cartone. Quella che appariva sulle pareti del suo studio era una messa in scena quasi teatrale a cui si aggiunse presto una vera e propria “installazione”, dove le lunghe braccia di un musicista dalla testa sintetizzata con tratti cubisti uscivano dalla tela per sorreggere una chitarra vera. Una ventina di questi strumenti appartenuti all’artista sono stati restaurati e ora vengono presentati per la prima volta nella esposizione parigina, insieme a fotografie, disegni e lettere che ci restituiscono il suo mondo musicale. Furono loro, chitarre e mandolini appesi come quadri, a fornire l’occasione per approfondire le nozioni di volume, di vuoto e di pieno, diventando un mezzo per “studiare” meglio gli oggetti reali, così poi da smembrarli sulla tela. Furono sempre loro a essere nella lista degli interpreti principali delle sue rivoluzionarie scenografie. Forse anche perché la chitarra, come il violino, ha forme sinuose che ricordano il corpo femminile e, come una donna, si anima se pizzichi le sue corde. Fatti non secondari trattandosi di Picasso, uomo dal temperamento passionale. «Certo, la chitarra è uno strumento sensuale, dalle forme arrotondate, che diventa viva suonando», conferma la curatrice della mostra. «Alcune opere di Picasso - disegni e pitture - ne sottolineano la dimensione antropomorfa, tanto che qualche volta la troviamo a sostituire il corpo di una donna. La chitarra è anche metaforica, lo strumento attraverso il quale l’artista dichiara i suoi amori, da Eva Gouel a Marie-Thérèse Walter. Ma soprattutto la chitarra è di provenienza spagnola, e quindi rimanda Picasso alle sue proprie origini, al flamenco andaluso, di cui era così appassionato».


Fauno bianco che suona l’aulòs (1946), Antibes, Musée Picasso.


Donna con tamburello (1939) Parigi, Musée National Picasso-Paris.

Chitarre e mandolini appesi come quadri, a fornire l’occasione per approfondire le nozioni di volume, di vuoto e di pieno

Anche i musicisti entrarono nella sua opera. Sono per la maggior parte anonimi, figure solitarie e senza voce, identificate soltanto attraverso i loro strumenti. Sono personaggi del circo e saltimbanchi che rappresentano figure universali ai margini della società, talvolta drammatizzati attraverso alcune infermità, come nel caso del Cantante cieco, una scultura in bronzo dei suoi anni giovanili. Artisti nomadi ma liberi. Liberi come un pittore. Come lui stesso, il grande Picasso, che spesso si identifica con il saltimbanco per eccellenza, Arlecchino, da sempre e per sempre suo alter ego o controfigura. Lo ritroviamo anche in Parade, lo spettacolo allestito da Sergej Diaghilev, il direttore dei Balletti russi, di cui l’artista firmò i costumi e le scene. Dopo la seconda guerra mondiale le chitarre lasciano a poco a poco il posto ai flauti e agli altri strumenti a fiato con cui vengono accompagnati i fauni e i satiri che popolano le antiche leggende. E la musica continuerà, così, a stimolare la sua creatività. Per questo la mostra ci immerge anche nei ritmi che ispirarono Picasso proponendoci un viaggio che restituisce le opere al loro contesto musicale.


Pablo Picasso davanti alla sua opera Suonatore di chitarra nel suo atelier di Parigi al 242 boulevard Raspail.


Mandolino, uno degli strumenti di proprietà di Picasso restaurati per la mostra.

Ma perché, dunque, Picasso stesso disse che non amava la musica? Forse fu la sua verve provocatoria a dettargli tanta determinazione nella pervicace e costante difesa dell’arte figurativa contro chi, come Klee e Kandinskij, voleva dare alla pittura lo stesso grado di astrazione di un suono, pensando i dipinti come sinfonie. D’altra parte non è più un segreto il malriuscito primo e unico incontro di Klee a Berna nel 1937 con un riottoso Picasso. Ma ora che un nuovo tassello del complesso puzzle della sua miniera artistica è stato individuato, abbiamo un altro pezzo del suo mondo da scoprire fino in fondo. «Non è il mondo di un melomane, ma quello di un uomo di cuore», conclude Cécile Godefroy, «che amava vedere la musica “in carne e ossa” secondo il punto di vista di chi la suonava, dei suoi strumenti e di come veniva rappresentata sulla scena o nelle strade».


Violino (1915), Parigi, Musée National Picasso-Paris.

Les musiques de Picasso

Parigi, Cité de la musique - Philarmonie de Paris
a cura di Cécile Godefroy
fino al 16 agosto
orario 12-18, sabato e domenica 10-18 e nei giorni degli eventi serali,
chiuso lunedì
www.philharmoniedeparis.fr

ART E DOSSIER N. 376
ART E DOSSIER N. 376
MAGGIO 2020