Intervista
Abdoulaye Konaté

LA TRAMA
ATTRAVERSO IL COLORE

Nella scena contemporanea africana Abdoulaye Konaté è senza dubbio uno degli artisti più noti e apprezzati. Materiale principale delle sue opere, altamente simboliche, il tessuto utilizzato con infinite sfumature cromatiche. Lo abbiamo incontrato per approfondire, con lui, la singolarità della sua poetica.

Riccarda Mandrini

Ogni opera di Abdoulaye Konaté (Diré, Mali, 1953) è in dialogo con la realtà, la cultura, la natura del suo paese, il Mali. Il suo medium è il tessile, che l’artista africano usa tinto in infinite nuance di colori e utilizza come se fosse pittura a olio o acrilica. Narratore prolifico, usa simboli che tutti noi conosciamo per parlare di storie complesse. Ritrae una effimera farfalla, per esempio, per esprimere la fragilità dell’indipendenza dei paesi africani.
A differenza di molti autori (sempre africani) della sua generazione e di quelle successive, Konaté si è formato, tra il 1972 e il 1976, in una delle accademie più prestigiose del Mali, l’Istituto nazionale delle arti di Bamako. All’inizio degli anni Sessanta, a seguito dell’indipendenza, lo Stato maliano instaurò un solido legame con l’isola di Cuba: lo scambio tra i due paesi prevedeva l’ospitalità nelle accademie e università cubane di studenti africani. Konaté fu uno di loro, si trasferì a L’Avana dove studiò all’Instituto Superior de Arte (dal 1978 al 1985), prima di tornare definitivamente in Mali.


L'opera allo Zeitz Mocaa - Museum of Contemporary Art Africa di Città del Capo.

Le sue prime mostre risalgono agli anni Novanta. Già allora l’artista adottò il tessuto quale medium del suo lavoro e, come riferisce nella conversazione che segue, fu quello il principale elemento di installazioni composte da materiali differenti. Oppure il tessuto fu usato come sfondo di un’opera: è il caso di Hommage aux chasseurs du Mandé (1995) in cui Konaté ha tratteggiato con piccole conchiglie bianche la sagoma degli “chasseurs” (cacciatori), figure tradizionali ancora molto rispettate nel Mali di oggi, arricchiti da amuleti come si possono vedere sugli abiti dei cacciatori in carne e ossa.

Il giallo è il colore del sole e della sabbia del deserto del Mali, il blu è quello del cielo e degli abiti dei Tuareg


Il tempo e l’esperienza acquisita con le mostre internazionali spingono Konaté a maturare una riflessione profonda rispetto a un nuovo modo di intendere e usare il tessuto. La scelta ricade su una stoffa a strisce ispirata, come ci racconta, al popolo senufo - distribuito in Costa d’Avorio, Mali e Burkina Faso, dedito prevalentemente all’agricoltura ma noto per avere particolari abilità musicali - e ai “buffon” (una sorta di giulliari, personaggi folk caratteristici della cultura maliana) Koré Dugaw, casta dell’etnia principale del Mali, i Bambara.

Composition en janune (2018).





Idéogrammes, signes, symboles et logos (2019).


In ogni lavoro il sentimento di Konaté si esprime nei confronti dell’oggi, del presente. Le sue composizioni figurative danno voce ai problemi che affliggono il mondo, ma è il colore che definisce la narrazione e determina la trama dell’opera. Il giallo è il colore del sole e della sabbia del deserto del Mali, il blu è quello del cielo e degli abiti dei Tuareg, il verde è quello dell’erba nella stagione fresca e delle acque del Niger.
Abdoulaye Konaté ha realizzato su commissione di Zeitz Mocaa - Museum of Contemporary Art Africa, a Città del Capo, un lavoro di grandi dimensioni, Idéogrammes, signes, symboles et logos. Alla Biennale di Dakar 2020 (originariamente programmata dal 28 maggio al 28 giugno ma posticipata, per emergenza coronavirus, in data ancora da definire, www.biennaledakar.org), l’artista presenterà una selezione di lavori mai esposti in Africa. “Art e Dossier” lo ha incontrato.


Vert pour Sidy (2018).

Composition en rouge touareg serie n. 3 (2019).

«Cerco ispirazione nelle tecniche antiche, che concettualizzo secondo i miei schemi»
(Abdoulaye Konaté)

Quando hai iniziato a utilizzare il tessile come medium?
A partire dagli anni Novanta.

Come lo utilizzavi allora e come sei arrivato al modello odierno?
Allora usavo parti di tessile all’interno di installazioni composte da diversi elementi o come una sorta di “canvas” sul quale realizzavo vari disegni. In seguito c’è stata una progressione, il tessuto è un materiale con cui viviamo ogni giorno, nel tempo mi sono accorto che potevo utilizzarlo come i pittori usano i colori a olio o acrilici.

Ma la forma attuale che tu utilizzi oggi, con la stoffa a strisce, quando hai deciso che era il modello di riferimento per il tuo lavoro?
Il modello della stoffa a strisce mi è stato ispirato sia dai costumi dei musicisti senufo, un gruppo del Mali presente anche in Costa d’Avorio, sia da quelli indossati nei loro rituali dai “buffon” Koré Dugaw.


Les Marcheurs (2008).


Non mi è chiara la relazione…

I Senufo e i Koré Dugaw sono gruppi di performer tradizionali, i loro abiti sono realizzati con strisce di tessuto colorato di vario genere, preso un po’ ovunque. Le loro performance si vedono spesso in occasione delle feste popolari nella regione di Ségou e anche di Koulikoro. Esatto. Sì. Gli abiti dei Koré Dugaw hanno anche un’altra particolarità, su di essi sono sì cucite delle strisce di tessuto strappato, ma anche oggetti di scarto, quello che la società non usa più. A volte anche oggetti di grandi dimensioni, come vecchie bottiglie, scarpe, tutto quello che possiamo considerare come “rifiuto della società”. Nella cultura popolare i “buffon” Koré Dugaw sono considerati dei saggi, sono nomadi, partecipano ai festival, vanno nei villaggi. Si può dire che essi abbiano acquisito una sorta di predestinato permesso di provocare. Per mezzo della loro “saggia” parodia, che rivela e riconcilia, mettono in evidenza le debolezze della società.

Allora possiamo dire che in ogni opera ci sono la sedimentazione e la presenza di storie e narrazioni differenti, che nell’opera compiuta diventa complessità?

È una interpretazione giusta…


Hommage aux chasseurs du Mandé (1995).

Ma come nasce un’opera, qual è la sua genesi?
Io cerco ispirazione nelle tecniche antiche, che concettualizzo secondo i miei schemi.

In senso pratico?
Quando ho un’idea, anche se non sempre da un’idea nasce un’opera, comincio a buttare giù dei disegni, faccio molti schizzi, così l’opera comincia a prendere forma sulla carta e man mano si arricchisce di contenuti che approfondisco. Una ricerca che riguarda anche il colore.

Chi realizza concretamente le opere?
Il materiale tessile è industriale. Esso viene tinto dalle donne a seconda dell’esigenza dell’opera, a loro è affidata questa delicata mansione. Da parte mia fornisco una maquette di colori e loro tingono il tessuto seguendo quest’esempio. La realizzazione concreta del lavoro viene fatta dai miei assistenti in studio. Essi preparano le strisce di tessuto che compongono l’opera e le assemblano. Gran parte del lavoro di assemblaggio viene fatta a terra.

Ti ricordi la prima esposizione alla quale hai partecipato?

È stata una mostra personale. Era il 1983 a Diré, una città del Mali che dista circa ottanta chilometri da Timbuctù. A quel tempo facevo soprattutto pittura a olio e a pastello. Era molto diverso allora, si facevano anche ritratti, c’era richiesta e funzionavano.

Il grande lavoro presentato allo Zeitz Mocaa, Idéogrammes, signes, symboles et logos…
La richiesta è venuta dallo Zeitz Mocaa. Koyo Kouoh (il direttore artistico del museo africano) mi propose di progettare un arazzo di grandi dimensioni da esporre sulla parete interna dell’ex silos. Idéogrammes è un omaggio al lavoro di due studiosi, Youssouf Tata Cissé (1935-2013), un ricercatore del Mali che ha vissuto a Parigi e studiato per anni i segni e il loro significato, e l’accademica francese Germaine Dieterlen (1903-1999), esperta di storia e cultura del Mali. Come contenuto ho scelto i segni, gli ideogrammi. Cissé era un amico, con alcuni curatori stiamo lavorando alla redazione di un libro in cui sono raccolti i suoi studi. Dunque, di fatto, Idéogrammes parte dalla sua ricerca, sull’opera sono ricamati i segni che fanno parte degli studi di Cissé ai quali ho aggiunto i segni che appartengono alla nostra quotidianità.

Abdoulaye Konaté a Dakar, alla Biennale…
Saranno presenti dieci arazzi. Tutte opere di grandi dimensioni molte delle quali sono state esposte in vari paesi nel mondo, ma mai in Africa.

DAK’ART - La Biennale de l’art africain contemporain

Dakar, Ancien Palais de Justice
programmata dal 28 maggio al 28 giugno, è stata posticipata per emergenza coronavirus in data ancora da definire
www.biennaledakar.org

ART E DOSSIER N. 376
ART E DOSSIER N. 376
MAGGIO 2020