L'oggetto misterioso      


L’ENIGMA DI UN SORRISO

di Gloria Fossi

Perché sorride e a chi si rivolge Regelinda, moglie del margravio Ermanno I? E cosa nasconde la sua austera cognata Uta di Ballenstedt? Misteri delle splendide statue-colonna scolpite a Naumburg verso il 1249 da un anonimo scultore gotico

Nei primi decenni del Duecento i gesti disperati e grotteschi, i corpi scomposti e inverosimili dell’umoroso immaginario romanico cominciarono a cedere il passo a espressioni realistiche e caratterizzate, a sguardi intensi e umanizzati. Le origini del fenomeno risalgono alla metà del XII secolo, quando l’abate Suger fece decorare il portale reale di Saint-Denis a Parigi con venti statue-colonna di re, regine e profeti. Quei simulacri richiamavano gli ideali della monarchia francese, e ne legittimavano la sacralità in anni di aspre contese con la Chiesa. Erano divini e reali allo stesso tempo, e costituirono il simbolico prototipo per il portale dei re di Chartres (1155 circa), nonché il modello strutturale per le dodici statue-colonna nella Sainte-Chapelle di Parigi e di altre cattedrali francesi. I loro rassicuranti sorrisi sfoceranno nella tipologia trecentesca di un dolce colloquio, quello della Madonna che guarda con affetto il Bambino, cara a pittori toscani come Giotto o a scultori come i Pisano. È comunque nei cantieri gotici dell’Île-de-France e della Germania (Reims, Amiens, Bamberga, Magonza, Strasburgo) che un’umanità di pietra cominciò a sorridere, trasformandosi in simulacro tanto vivo e pulsante, quanto animate e reali parranno in seguito le finte statue dipinte da Giotto e dai Lorenzetti in episodi sacri e profani.
L’esempio più precoce e realistico di ciò che si è appena accennato sono le dodici statue-colonna nella cattedrale di Naumburg in Alta Sassonia.
Due coppie in particolare sono “l’oggetto misterioso” di questa puntata. In primo luogo, la sorridente Regelinda, rappresentata accanto allo sposo. Il volto privo di turbamenti della giovane donna differisce dallo sguardo inquietante della bella, celebratissima Uta, che dalla parte opposta si erge a fianco del più anziano marito dal volto grassoccio. Uta e Regelinda erano cognate, avendo sposato i due fratelli che stanno loro vicini nel coro della chiesa tedesca. Regelinda sorride perfino con i begli occhi azzurri dal taglio quasi orientale. Uta invece, a seconda del punto d’osservazione, pare imbronciata, o quantomeno perduta in chissà quali pensieri, mentre copre parte del volto con il bavero. Fu lei, nel 1937, la fonte d’ispirazione, com’è ben noto, per Grimilde, perfida matrigna di Biancaneve nel lungometraggio animato di Walt Disney.
Il confronto compare perfino nei blog, e nelle vesti di Uta ogni anno s’abbigliano, a metà marzo, giovani donne per la festa della cattedrale tedesca. Dopo tanto scrivere e parlare di Uta, è giunto il tempo, ci pare, di osservare meglio Regelinda.
Prima però indaghiamo sull’anonimo maestro che oltre alle due coppie scolpì altre otto statue-colonna (Thimo, Wilhelm, Syzzo, Dietmar, Konrad, Gerburg, Dietrich e Gepa), disposte singolarmente lungo il perimetro del coro, ciascuna sotto a un baldacchino di pietra Da dove veniva questo artista rimasto anonimo? In quale cantiere si era formato? Perché non raffigurò santi, ma dignitari vissuti oltre due secoli prima? Quelle immagini, che sembrano più vere delle moderne cere di Madame Tussauds, sono frutto esclusivo della sua fantasia o fu il vescovo Dietrich von Wettin a scegliere pose e fisionomie? Per certo sappiamo che nel 1249 il prelato offrì benefici a chi avesse concesso ricche donazioni per le spese di rinnovo della chiesa. In una lettera dell’archivio capitolare, il vescovo citava a buon esempio i dodici benefattori che nell’XI secolo avevano permesso la prima costruzione dell’edificio.
Fra gli altri, oltre a Eccardo II (985-1046) e alla moglie Uta di Ballenstedt (1000 circa-1046) anche suo fratello Ermanno I (980-1038) con sua moglie, la sorridente Regelinda (989-1014), figlia di Boleslao I re di Polonia. Pare che i loro corpi, tumulati nella chiesa, fossero stati spostati nel corso della ristrutturazione. La loro vicenda rientra nelle lotte imperiali e nelle contese territoriali con il regno di Polonia.
In breve: il potente Eccardo I, margravio di Meissen e padre di Ermanno I ed Eccardo II, fu assassinato nel 1002. Dopo che i due figli riuscirono a sconfiggere lo zio Gunzelino, il primogenito Ermanno I divenne nuovo margravio. Alla sua morte gli succedette il fratello, che nel 1046 morì di peste con la moglie Uta, di lui molto più giovane. Regelinda era invece deceduta da tempo, a venticinque anni. Le figure così realistiche dei due nobili fratelli e delle mogli appaiono in posizione preminente fra le dodici statue del coro, alla base dei costoloni delle volte. Regelinda sorride verso la dirimpettaia Uta, e in un gioco di sguardi incrociati Ermanno si volge pensieroso verso Eccardo, stranamente raffigurato più anziano del fratello, mentre in realtà era lui il più giovane. È possibile che l’anonimo scultore abbia effigiato gli antichi benefattori, tutti caratterizzati individualmente, su richiesta del vescovo.


Maestro di Naumburg, Ermanno I, margravio di Meissen, e sua moglie Regelinda (1249 circa), Naumburg Alta Sassonia), particolare delle statue-colonna nel coro occidentale della cattedrale.

Maestro di Naumburg, Eccardo II, margravio di Meissen, e sua moglie Uta di Ballenstedt (1249 circa), Naumburg (Alta Sassonia), particolare delle statue-colonna nel coro occidentale della cattedrale.

Con la loro fisicità così realistica, le immaginarie personificazioni degli antichi patroni avrebbero spronato l’osservatore a immedesimarsi in tanta bellezza e verità, spingendolo a laute donazioni. A distanza di due secoli, ormai le vere fisionomie dovevano essere ignote, e lo scultore pare aver usato modelli dal vero piuttosto che immagini idealizzate. Impossibile sapere chi prestò il proprio volto. E potremo mai scoprire perché Regelinda sorride a Uta che le si rivolge pensierosa, quasi nascondendosi? Sappiamo che Uta, accusata di stregoneria, aveva evitato il rogo a malapena, mentre della vera Regelinda non sono noti episodi tanto nefasti. Forse è per questo che l’una è austera e l’altra sorride? Su questo enigma torneremo il prossimo autunno, in un libro dedicato agli “oggetti misteriosi”. Intanto, ricordiamo che nell’orribile immaginario nazista Uta divenne negli anni Trenta il simbolo della più pura bellezza germanica, mentre Regelinda fu identificata nell’“inferiore” razza slava, quella degli odiati polacchi.
Negli stessi anni, Disney scelse Uta, come accennato sopra, per caratterizzare la regina cattiva Grimilde. Adesso, a ben guardare, ci pare che Regelinda evochi, seppur alla lontana, le simpatiche fatine Flora, Fauna e Serena della Bella addormentata nel bosco (Disney 1959). Come donne, preferiamo il loro sorriso bonario alla triste inquietudine di chi, come Grimilde, vuole - anzi deve - essere la più bella, a tutti costi, in uno scenario limitante al quale troppo spesso ci relega ancora la società. Ma queste sono fantasticherie dei nostri tempi, perché il più profondo significato delle sculture del Maestro di Naumburg resta un mistero.


Walt Disney Productions, Grimilde, fotogramma dal lungometraggio animato Biancaneve e i sette nani (1937).

ART E DOSSIER N. 375
ART E DOSSIER N. 375
APRILE 2020
In questo numero: INDOMITA ARTEMISIA: Una mostra a Londra. Una donna da decifrare. COLLEZIONI SUI GENERIS: L'archivio visivo della Fondazione Cirulli. Il Mo Museum si Vilnius. IN MOSTRA: Previati a Ferrara. George IV a Londra. Porcellane cinesi a Milano. Caravaggio e Bernini ad Amsterdam. Mantegna a Torino.Direttore: Philippe Daverio