Grandi mostre. 3
Il divisionismo a Novara

FILAMENTI DI COLORE
VIBRAZIONI DI LUCE

Teorizzato da Vittore Grubicy de Dragon, il divisionismo, avanguardia nata a Milano a fine Ottocento e durata poco più di un trentennio, ha visto i suoi esponenti sviluppare, in autonomia rispetto al neoimpressionismo francese, la ricerca sulla scomposizione della luce e del colore e confrontarsi su tematiche quotidiane, sociali, simboliche e spirituali.

Maurizia Tazartes

Sono passati alla storia con il nome di “divisionisti” per il loro procedere in pittura. Catturavano la luce con un metodo scientifico, accostando punti, filamenti, piccole macchie di colore sulla tela, studiando toni complementari, giustapponendoli o ravvicinandoli per ottenere vibrazioni e riflessi percepibili alla giusta distanza. Era l’occhio dello spettatore a fondere i tocchi, individuando le zone luminose che creavano forme, masse, volumi, spazi.

I primi erano stati i francesi con il “néo-impressionnisme” di Georges Seurat, teorizzato da Félix Fénéon, che aveva coniato il giusto termine contro il fuorviante “pointillisme”: «Credere che i neoimpressionisti siano dei pittori che coprono le tele di piccoli punti multicolori è un errore molto diffuso», sosteneva Paul Signac nel D’Eugène Delacroix au néo-impressionnisme- Manifeste du Néo-Impressionnisme (Parigi 1899).

Gli italiani vi giunsero poco dopo con l’appropriato termine “divisionismo”, teorizzato dal critico e pittore milanese Vittore Grubicy de Dragon, che sin dal 1887 aveva diffuso alcuni trattati di ottica transalpini.

Filamentosa ed eterea ripropone l’antico tema della Natività in chiave simbolista


Ma i pittori nostrani si scatenarono subito a scrivere teorie, oltre a elaborare capolavori: «Il divisionismo degli anni 1890 nulla deve a Seurat e Signac, conosciuti più tardi: muove da una storia diversa e si sviluppa in autonomia, se pur parallelamente», avverte Annie-Paule Quinsac, esperta del movimento e curatrice della grande mostra in corso al Castello visconteo sforzesco di Novara. E aggiunge: «Fu la seconda generazione che, sulla scia di Boccioni e Balla, dopo il 1906 andò a Parigi, dove scoprì impressionismo e neoimpressionismo e conobbe Fénéon».

E, a vedere le settanta opere in mostra, note e non, molte non visibili da anni, si scopre la bellezza e il sapore poetico di un movimento italiano, ma di dimensione europea, durato poco più di un trentennio, dalla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento ai primi quindici del Novecento, passato attraverso rivolgimenti sociali e politici di notevole portata.

Dipinti di artisti capaci di cogliere non solo le vibrazioni della luce, fondamentali nella loro pittura, ma anche quelle degli animi delle persone di fronte a cambiamenti epocali e a situazioni spesso critiche. Tra queste la povertà, la fame, come nella magnifica tela di Emilio Longoni, Riflessioni di un affamato, del 1894, in cui un uomo intirizzito guarda al di là della vetrina di un caffè dove due coniugi o amanti stanno mangiando al caldo. La condizione della vecchiaia in istituti assistenziali come quella raffigurata da Angelo Morbelli in Sogno e realtà, un trittico del 1905. La vita dei contadini, colta magicamente da Segantini, mentre Previati entra in un mondo spirituale fatto di pura luce. E ancora la nuova vita urbana e la campagna, le fatiche, la neve e il gelo. Temi sviluppati in modo originale nel nuovo linguaggio divisionista.


Gaetano Previati, Maternità (1890-1891).


Giuseppe Pellizza da Volpedo, Le ciliegie (1888-1889), Fondazione Cassa di risparmio di Alessandria.

La capitale del movimento è Milano, la prima “metropoli” d’Italia, la futura Città che sale di Boccioni del 1910, con le sue industrie, lotte sociali, il forte fermento artistico di Brera e delle sue Triennali. Gli artisti? Di tre generazioni, dai primi “rivoluzionari” nati negli anni Cinquanta dell’Ottocento (Vittore Grubicy de Dragon, Gaetano Previati, Angelo Morbelli, Giovanni Segantini, Emilio Longoni e altri) a quelli dei due decenni successivi (Plinio Nomellini, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Carlo Fornara e altri).

La mostra porta dentro al divisionismo dagli inizi negli anni Ottanta dell’Ottocento al declino nel 1920- 1925, attraverso tutte le tappe. Con alcune sezioni monografiche dedicate a Pellizza da Volpedo, Previati e Segantini, fortemente rappresentativi, e monotematiche come quella sul “colore della neve”. Così all’inizio del percorso espositivo ci si imbatte negli artisti della Galleria Grubicy, l’ambiente in cui matura il movimento, nato da una Scapigliatura fatta da macchie e pennellate libere come quelle di Tranquillo Cremona (Pensierosa, 1873-1874) e Daniele Ranzoni (Ritratto del bambino William Morisetti, 1885 circa). Da quella pittura sciolta e fusa, giovani pittori come Segantini, Morbelli, Previati, passano alla nuova tecnica ancora in stato embrionale come dimostrano La portatrice d’acqua di Segantini del 1886-1887 o Le fumatrici di hashish di Previati del 1887.
L’uscita ufficiale del divisionismo italiano avviene con la prima Triennale di Brera del 1891, dove, tra le seicento opere di duecentoventicinque artisti, compaiono i primi esempi, pochi in realtà, di pittura divisa. Emblematica la filamentosa ed eterea Maternità di Previati, che ripropone l’antico tema della Natività in chiave simbolista, suscitando forti polemiche nel clima acceso del nuovo socialismo. Il pittore aveva passato due anni a sperimentare.
Più successo ebbe Segantini con Vacca (1890) e Le due madri (1889), dipinti altrettanto spettacolari e affascinanti, inseriti nel clima del tempo, con il loro realismo e “odore” di stalla, venato di significati umani e poetici.

Discussa, ma amata dai critici d’avanguardia, fu la tela Un consiglio del nonno - Parlatorio del Pio albergo Trivulzio (1891) di Morbelli, un innovativo studio di luce in un interno, che approdava con delicatezza ed eleganza alla nuova tecnica. Appariscente e provocatorio invece L’oratore dello sciopero di Longoni, con quello scalmanato personaggio che arringava la folla in una piazza milanese. Si trattava infatti della rappresentazione dello sciopero con cui il 1° maggio 1890 Milano aveva celebrato per la prima volta la Festa dei lavoratori, tra tumulti e scontri armati con la polizia, cui lo stesso artista aveva partecipato.


Temperamento realistico e carnale, intriso di una lirica che ricorda Van Gogh


Nel quindicennio successivo il movimento si afferma con i suoi caratteri di modernità. Lo testimonia la serie di opere, che trattano temi urbani e paesaggio, figure, stati d’animo, movimenti sociali. La Diana del lavoro di Plinio Nomellini, una tela del 1893 resa con un fascinoso pulviscolo atmosferico, ambientata a Genova, patria del nascente Partito socialista, rappresenta il nuovo mondo operaio che si accalca alla chiamata giornaliera della fabbrica. All’ovile (1892), di Segantini, è uno spaccato contadino che gioca con gli effetti di luce di una lanterna in un ambiente buio, la stalla, riproponendo in un linguaggio sperimentale moderno gli stilemi della tradizione luminista secentesca, da Caravaggio a Le Nain senza dimenticare i fiamminghi o le acqueforti di Rembrandt, che il pittore trentino «ben conosceva », dice l’appassionata curatrice.

Il mondo domestico degli affetti è ben rappresentato da Longoni - Bambino con trombetta e cavallino (1893-1896), Ragazzina col gatto (1892-1893) e il già citato Riflessioni di un affamato -, che rivela la nuova attenzione all’infanzia, ai disoccupati e marginali. Gli anziani, invece, sono trattati con estrema finezza da Morbelli in Sogno e realtà (sopra menzionato), in cui due vecchi assopiti fantasticano pensando alla giovinezza perduta in un suggestivo effetto di luce lunare, reso con un vibrante tessuto di punti, fili, macchie. O in Alba domenicale del 1915, ambientato nel Monferrato e realizzato “en plein air”.

Con Carlo Fornara e Vittore Grubicy de Dragon, inoltre, si spalancano di fronte agli occhi del visitatore grandi paesaggi alpestri e lacustri.


Giovanni Segantini, Un bacio alla fontana. Idillio al pozzo. Amore al chiaro di luna (1892-1894).

Giuseppe Pellizza da Volpedo, Sul fienile (1893-1894).

Pellizza da Volpedo è rappresentato, in una sala tutta sua (come abbiamo accennato prima), da cinque dipinti, oscillanti tra divisionismo e simbolismo. Tra questi ricordiamo Il roveto (Tramonto) del 1900-1903, fatto di pura luce, che introduce idealmente alla sezione tematica “Il colore della neve”, in cui lo stesso artista eccelle nella magnifica tela La neve. Crepuscolo invernale (1906). Un dipinto realizzato un anno prima del tragico suicidio - l’artista si era impiccato nel suo studio di Volpedo, dopo la morte della moglie e del figlio neonato -, in cui si avverte il peso e lo spessore della neve in una gelida giornata. Altri esempi suggestivi sono quelli di Segantini, Matteo Olivero, Angelo Morbelli (Neve, 1909 e Nevicata, 1912).

Altrettanto personale e giusto rilievo, come già abbiamo evidenziato, è dato anche agli altri due importanti divisionisti. Previati con una sala dedicata alla sezione tematica “Verso il sogno”, in cui brilla il suo particolare divisionismo intriso di spiritualità. Segantini con la sala incentrata sul “Gioco dei grigi”, in cui da un gruppo di sette disegni emergono abilità tecnica, temperamento realistico e carnale, intriso di una lirica che ricorda Van Gogh. Infine, il nuovo secolo e l’evolversi del movimento con questi e nuovi artisti.

Giovanni Segantini, Savognino sotto la neve (1890).

Divisionismo. La rivoluzione della luce

Novara, Castello visconteo sforzesco
a cura di Annie-Paule Quinsac
fino al 5 aprile
orario 10-19, chiuso lunedì
catalogo METS Percorsi d’arte
www.ilcastellodinovara.it

ART E DOSSIER N. 374
ART E DOSSIER N. 374
MARZO 2020
In questo numero: RISCOPERTE E RIFLESSIONI: Daverio: La luce di La Tour in un'Europa in guerra. Saffo nel Parnaso di Raffaello. La scultura performativa di Mary Vieira. . RESTAURI A FIRENZE: La Porta sud del battistero. IN MOSTRA: 3 Body Configutations a Bologna, Gio Ponti a Roma, Divisionismo a Novara, Tissot a Parigi, La Tour a Milano.Direttore: Philippe Daverio