Grandi mostre. 1 
Performance e fotografia a Bologna

QUANDO IL CORPO
RACCONTA

Riflettere sull’identità di genere, sulla condizione femminile ieri così come oggi. Temi attuali, sviluppati nella mostra bolognese attraverso gli scatti di Claude Cahun, Valie Export e Ottonella Mocellin per ripercorrere le tappe fondamentali delle loro esperienze attraverso la performance.

Marcella Vanzo

La mostra 3 Body Configurations (Bologna, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, fino al 18 aprile), a cura di Fabiola Naldi e Maura Pozzati, con un intervento della filosofa Francesca Rigotti, parte da uno studio molto preciso dello sviluppo della performance dai suoi esordi a oggi attraverso il lavoro di Claude Cahun, Valie Export (pseudonimo di Waltraud Lehner, dal nome di una famosa marca di sigarette, scritta tutta in maiuscolo) e Ottonella Mocellin.
L’evento, uno dei “Main Project” di Art City Bologna 2020, è un’occasione importante per riflettere sul corpo, lo spazio e il tempo, le tre qualità fondamentali della performance, ovvero di quella forma d’arte che avviene mentre se ne parla, che non si concretizza in un oggetto ma piuttosto in uno scatto. Una forma d’arte che ci racconta un determinato sentire in un determinato momento, che lo mette in mostra. Sono tre le sale dedicate alle artiste e sono i lavori di Valie Export (1940) a determinarne la scansione spaziale. Ogni sala è una e trina. Se numericamente prevale Claude Cahun (1894-1954) con un grande corpus dei piccoli meravigliosi Autoritratti, per cui è famosa, giunti dalla Jersey Heritage Collection, Ottonella Mocellin (1966) con i suoi Corpi orizzontali nel paesaggio e Valie Export con Körperkonfigurationen (Configurazioni del corpo, 1972-1982) l’accompagnano sempre. Ogni artista è il prolungamento dell’altra, parecchi gli inediti. I rimandi sono continui, gli interessi reciproci e protratti nel tempo, sebbene in forma diversa.

Indagare la propria identità investigandone mille diverse e riaffermandosi nella differenza


Claude Cahun, la meno conosciuta forse, pseudonimo di Lucy Renée Mathilde Schwob, artista attiva nella prima metà del secolo scorso, è decisa a indagare la propria identità investigandone mille diverse e riaffermandosi nella differenza. Ci dice - precorrendo i tempi - io sono multipla e io sono mia. Se fosse esistita oggi, si chiamerebbe Cindy Sherman. Col suo lavoro, Cahun anticipa decisamente tutte le richieste più radicali di identità, le curiosità, le fantasie, le sperimentazioni che tanti artisti più tardi porteranno avanti.

Ma questa mostra al femminile sta chiaramente mettendo in questione il modo in cui la donna è stata ed è tuttora percepita. La storia della condizione femminile a partire dal secolo scorso. Un essere in cerca di identità, di relazione al contesto, una mina vagante. Esplode e casca questa donna, per terra mentre è al mercato magari, come in Shop Till you Drop, un lavoro del 1997 di Ottonella Mocellin. Oppure in mezzo alla natura, come in Zwiespalt, una delle Körperkonfigurationen del 1972 di Valie Export in mostra.

Fabiola Naldi, nel libro che accompagna l’esposizione, ci racconta il corpo come medium e colpisce nel segno. Il corpo, il luogo dell’essere e del sentire, viene declinato fotograficamente dalle azioni delle tre artiste: i travestimenti di Claude Cahun, le geometrie architettoniche di Valie Export, le sceneggiature surreali di Ottonella Mocellin. Donne che si mettono in contatto col mondo esterno, dove una femmina, tutto quello che non riguarda il suo corpo, lo deve conquistare: voto, lavoro, diritti. Visioni e azioni che nascono nella coscienza e nel mondo un secolo fa e rimangono alla ribalta anche oggi.


Claude Cahun nei panni di Elle in Barbe Bleu (1929).

Maura Pozzati mette l’accento sul corpo come linguaggio in divenire, sia nella differenza che nell’identità di genere. Il corpo è motore di provocazioni politiche e di battaglie sociali. Claude Cahun anticipa le inquietudini che pervadono l’immaginario e il mondo femminile all’inizio del Novecento, quando le suffragette iniziano a vedere il frutto dei loro sforzi, nonostante in Francia, patria della Cahun, solo alla fine della seconda guerra mondiale le donne potranno votare. Questa mostra narra come artisticamente nasce la consapevolezza femminile all’interno della società occidentale. Valie Export, la società la mette alla prova. Nel 1967 Waltraud Lehner si appropria del nome di una famosa marca di sigarette - come abbiamo già ricordato - e inizia a fare arte. Per strada.

Esce, dopo aver indossato, all’altezza del seno, uno scatolone, aperto frontalmente e chiuso con delle piccole tende, invitando i passanti coraggiosi a toccare le sue tette: Tapp und Tastkino. Uno scandalo. Poi impugna un mitra, il sesso all’aria, in Genital Panic. Siamo nel 1968, in piena contestazione. Nelle sue famose Körperkonfigurationen, invece, la vediamo mentre aderisce ai diversi elementi delle architture, si integra nello spazio, si inserisce fisicamente nel contesto urbano.
La filosofa Francesca Rigotti, sempre nel libro che accompagna la mostra, ci parla del corpo di Valie Export come di «un corpo che apparentemente e provocatoriamente non ha forma, ma che acquisisce la forma dell’oggetto o del pezzo di costruzione al quale aderisce e con il quale si confronta». Ne mette in primo piano potere e debolezza. Sempre Rigotti ci fa notare che: «Nelle fotografie di Mocellin le donne [...] sono poi cadute, come se la loro posizione si fosse inclinata troppo, al punto di non reggerne più il peso».

Il corpo, il luogo dell’essere e del sentire

Fabiola Naldi spiega che «per molti artisti attivi negli anni Sessanta e Settanta uscire dalla comfort zone dello spazio espositivo [...] e agire in un luogo altro, spesso pubblico, significa prima di tutto costruire un’idea di opera aperta, non solo nelle interpretazioni, ma anche nei possibili svolgimenti». Claude Cahun lo fa scegliendo «non un semplice pseudonimo ma un nome proprio che è sia femminile che maschile; su questo nome impronta il discorso sull’identità, sul proprio orientamento sessuale, dichiarando apertamente la sua predilezione per un genere indefinibile, che trova alcune corrispondenze col mito dell’androgino», come ci dice Maura Pozzati.
Valie Export e Ottonella Mocellin, invece, escono e ci vengono a prendere, escono e portano lo spettacolo, la performance, il loro corpo e il loro tempo, davanti a tutti. Ed è un tempo interiore che esce. Quello di Valie Export prende la forma dello spazio pubblico, ci si annida, ci si confonde, lo trapassa, lo fa suo. Ottonella Mocellin, attiva quasi trent’anni dopo, quello spazio lo interpreta, lo intinge di sentimento, lo fa esplodere. Il suo non è mimetismo, ma chiaramente contrasto.
Tutte e tre le artiste in mostra scelgono la fotografia come medium per raccontare le loro performance e per divulgarle. La fotografia diviene protesi di una volontà che dirige lo sguardo tecnologico verso il suo lato sensuale. E infatti, il proprio corpo è l’oggetto privilegiato delle immagini delle tre le artiste. E la mostra, a entrata libera, ci permette di vedere e pensare, pensare e tornare a vedere, tornare a sentire.


Falling (1998): di Ottonella Mocellin.


Who Killed Bamby (1997): di Ottonella Mocellin.


Valie Export, Zwiespalt, dalla serie Kšrperkonfigurationen (1972), Bolzano, Museion - Museo d’arte moderna e contemporanea.

Ottonella Mocellin, Shop Till you Drop (1997).

3 Body Configurations

Bologna, Fondazione del Monte di Bologna e di Ravenna
a cura di Fabiola Naldi e Maura Pozzati
fino al 18 aprile
orario 10-19, chiuso domenica
catalogo Corraini Edizioni
www.fondazionedelmonte.it

ART E DOSSIER N. 374
ART E DOSSIER N. 374
MARZO 2020
In questo numero: RISCOPERTE E RIFLESSIONI: Daverio: La luce di La Tour in un'Europa in guerra. Saffo nel Parnaso di Raffaello. La scultura performativa di Mary Vieira. . RESTAURI A FIRENZE: La Porta sud del battistero. IN MOSTRA: 3 Body Configutations a Bologna, Gio Ponti a Roma, Divisionismo a Novara, Tissot a Parigi, La Tour a Milano.Direttore: Philippe Daverio