Arte contemporanea


FotoFest
2020

Cristina Baldacci

«Il conflitto di classe non è soltanto di natura economica e politica. È anche un conflitto di rappresentazioni». Così chiosava nel 1983 Allan Sekula in un celebre saggio sul ruolo della fotografia nel sistema capitalista, soprattutto come mezzo di (ri)definizione identitaria delle minoranze, e sulla necessità di minare, quindi anche di affrancare, gli archivi fotografici come custodi di un immaginario istituzionalizzato(1).

L’attività di artista-fotografo e teorico di Sekula, iniziata negli anni Settanta e conclusasi pochi anni fa con la sua scomparsa (2013), è stata fondamentale e lungimirante. Se ne sente l’eco anche nell’impianto concettuale della nuova edizione di FotoFest (8 marzo-19 aprile), la biennale americana di fotografia e nuovi media che si tiene a Houston dal 1986. Dedicata quest’anno alle African Cosmologies, si propone di esplorare e mappare ex novo l’identità africana criticando il canone dello sguardo occidentale. Complici gli studi postcoloniali e di genere, che hanno in Tina Campt, docente della Brown University a Providence, uno dei loro fiori all’occhiello.


Indagare l’identità africana secondo canoni autoctoni e non occidendali è l’obiettivo dell’attuale biennale americana di fotografia


È lei infatti ad avere introdotto e teorizzato il «New Black Gaze» come modo di pensare e di vedere il futuro da una prospettiva che mette al centro la cultura nera (si parla a questo proposito di “Black Futurity”). Similmente a Sekula, la Campt insiste sull’impatto che la fotografia ha sulla creazione, divulgazione e condivisione dell’identità all’interno di un determinato contesto e propone come svolta critica una «metodologia dell’impegno» basata sull’«ascolto» delle immagini. Il suo interesse si rivolge in particolare alle fotografie storicamente dimenticate, quelle che provengono da archivi dismessi e che raffigurano la diaspora africana (perlopiù anche scattate dai suoi protagonisti), per tentare di guardare oltre l’immaginario occidentalecentrico(2).
Anche gli artisti scelti per FotoFest 2020 dal curatore Mark Sealy (direttore di un’altra istituzione rivolta alla fotografia, la londinese Autograph Abp - Association of Black Photographers) lavorano per minare questa consuetudine visiva seguendo quell’«immaginazione radicale»(3) che, in ambito politico, prefigura un decisivo cambiamento sociale. Se il jazzista John Coltrane è ricordato (anche nel comunicato della mostra) come uno dei simboli del “Black Power” nelle arti, i nomi invitati alla biennale di Houston (la lista completa al link www.fotofest.org/biennial2020) sono anch’essi impegnati a lasciare il segno rielaborando in modo inclusivo l’iconosfera contemporanea, ovvero il come la nostra società si mostra e si riconosce attraverso le immagini.

(1) A. Sekula, Photography Between Labour and Capital, in Mining Photographs and Other Pictures 1948-1968, a cura di B.H.D. Buchloh e R. Wilkie, Halifax (Canada) 1983, p. 250.

(2) Si vedano, tra le sue pubblicazioni sul tema, T. Campt, Listening to Images, Durham 2017 e, di prossima uscita, il volume collettaneo The New Black Gaze, a cura di T. Campt (editore non ancora reso noto).

(3) Per un’introduzione a questo concetto si veda The Radical Imagination: Social Movement Research in the Age of Austerity, a cura di A. Khasnabish e M. Haiven, Londra 2014.

FotoFest Biennial 2020

African Cosmologies
Houston, Texas, varie sedi
8 marzo - 19 aprile 2020

www.fotofest.org/biennial2020

ART E DOSSIER N. 374
ART E DOSSIER N. 374
MARZO 2020
In questo numero: RISCOPERTE E RIFLESSIONI: Daverio: La luce di La Tour in un'Europa in guerra. Saffo nel Parnaso di Raffaello. La scultura performativa di Mary Vieira. . RESTAURI A FIRENZE: La Porta sud del battistero. IN MOSTRA: 3 Body Configutations a Bologna, Gio Ponti a Roma, Divisionismo a Novara, Tissot a Parigi, La Tour a Milano.Direttore: Philippe Daverio