Cataloghi e libri

FEBBRAIO 2020

I GALLERISTI DI NEW YORK

Si è scritto molto, anche in tempi recenti, sui grandi galleristi americani del secondo dopoguerra, in particolare su quelli di New York, ma certo questo libro s’impone per l’autorevolezza delle informazioni come per la scrittura coinvolgente ed elegante, seppure nella sua essenzialità. I testi, di fatto, sono tutti ricavati da interviste rivolte, a partire dagli anni Ottanta, a esponenti di diverse generazioni di galleristi: da chi incontrava Mondrian nei jazz club di Harlem a chi frequentava i bar di Pollock, sino a coloro che con Basquiat si ritrovavano nei rock club di Manhattan.
Gli autori sono due esperti di fama. Alan Jones - di cui Castelvecchi ha pubblicato anche la biografia su Leo Castelli - è cronista d’arte, da intendere nel senso più alto del termine. Laura De Coppet, critica e giornalista, si è
trovata a lavorare negli anni Settanta del secolo scorso alla leggendaria John Gibson Gallery, ed è stata amica, fra gli altri, di Warhol e di Castelli. Ogni capitolo è dedicato a un gallerista, per la precisione sono trentacinque: molti di origine europea, spesso attivi anche nel Vecchio mondo, prima, dopo o in contemporanea con l’esperienza d’oltreoceano. Fra loro vi sono figure notissime, delle quali ogni tanto si è parlato anche in questa rubrica: Leo Castelli (Trieste 1907 - New York 1999), che fu amico d’infanzia di Leonor Fini, triestina come lui, oppure Ileana Sonnabend, di origine rumena (Bucarest 1914 - New York 2007), o ancora la newyorchese purosangue Marian Goodman (New York 1928). Molti, tuttora in attività, vantano fra i loro primi protetti artisti oggi celeberrimi.
Pensiamo, fra gli altri, ad Annina Nosei - romana, nota per essere stata gallerista, fra gli altri, di Basquiat, Schifano, Piero Manzoni - o a Barbara Gladstone, che inaugurò la sua prima galleria nel 1979 e “scoprì” un’artista come Cindy Sherman: «Se i confini dell’arte non si fossero estesi dalle discipline tradizionali ad altri media, come la fotografia, Cindy avrebbe fatto la pittrice», spiega la Gladstone. I galleristi parlano in prima persona, svelano difficoltà e successi, investimenti arditi, fra momenti di boom del mercato dell’arte contemporanea e periodi di crisi.


Alan Jones, Laura De Coppet
Traduzione e cura di Massimo De Pascale
Castelvecchi, Roma 2019
pp. 328
€ 29

IL «TURCO» A LIVORNO

Da anni attendevamo un libro che con dovizia di fonti e intelligenza di vedute affrontasse i rapporti fra Islam e mondo occidentale a Livorno, utile anche per fare chiarezza su un capitolo oscuro della storia dell’arte secentesca. Il volume tratta degli schiavi turchi a Livorno, addetti a vogare nelle galee dell’ordine di Santo Stefano. Notevoli le relazioni con la società livornese, i luoghi di culto, le tradizioni e la vita di mare. Livorno è stata città per eccellenza di intrecci culturali, razze, religioni, e di questo episodio avevamo ricevuto prime notizie da una studiosa, scomparsa ante tempo nel 1986. Al Gabinetto delle stampe della Biblioteca nazionale a Firenze Fabia Borroni aveva scoperto un album di ottocento disegni (Fondo Cassigoli), nel quale Ignazio Fabroni raffigurò, fra 1664 e 1687, schiavi turchi e forzati. Alcune immagini, esposte nel 2018 a Pistoia, oltre a quelle più note di Stefano della Bella, illustrano questo libro bellissimo, del quale non mancheremo di parlare ancora.


Cesare Santus
Officina Libraria, Milano 2019
212 pp., 20 ill. b.n.
€ 19

IN MINIATURA

Qualche anno fa la Trinity House Paintings, galleria internazionale con sede londinese a Mayfair, mise in vendita per un milione di sterline una riproduzione a grandezza naturale della Gioconda. Un costo così esoso, perfino per i magnati arabi, non parrebbe giustificato neanche dal fatto che il quadro sia stato dipinto con rara maestria da un famoso falsario, John Myatt (1945), che con poca fantasia si autodefinisce «artista di falsi genuini», in buona compagnia con altri falsari. Tale cifra, secondo la galleria, è dovuta a un minuscolo particolare, visibile solo, e con occhi buoni, con una lente da gioielliere. Nell’occhio sinistro di questa sfruttatissima immagine di Monna Lisa, un sessantenne inglese dalle mani enormi, Willard Wigan, ha realizzato un’altra Gioconda in miniatura. Per dipingerla ha usato un ciglio, e un frammento di filo di nylon, operando con una serie di punti, per evitare sbavature. Questa, in sintesi, una delle storie che l’anglosassone Simon Garfield (1960) racconta nel suo nuovo libro, con consueta abilità di narratore e di acuto osservatore del nostro mondo (ricordiamo, fra gli altri, L’arte perduta di scrivere le lettere nell’era di internet, Milano 2017). «Perché le cose piccole illuminano il mondo? » si domanda l’autore. Le risposte sono molteplici, come infiniti gli esempi di “miniaturizzazione”, ovvero di ricreazione di microcosmi, nel corso della storia dell’umanità. In fondo, perfino il nostro mondo potrebbe essere un’infinitesima miniatura dell’universo. Questi mondi all’interno di altri mondi – spiega Garfield – esistono da sempre, da molto prima di Gulliver o della fisica quantistica: si pensi alle Veneri preistoriche e agli “ushabti”, le statuette che accompagnavano gli egizi nell’aldilà. Garfield fa riflettere non solo chi sia appassionato di case di bambole, di pulci ammaestrate o di trenini (Rod Stewart ospita il suo, immenso e bellissimo, in un piano intero della sua villa californiana). Il caso più aberrante: le navi negriere, dove in spazi ultra-miniaturizzati venivano accalcati esseri umani, spesso di proporzioni gigantesche. L’esempio destinato a morire: i minilibri, perché le giovani generazioni (e non solo quelle) un supporto di lettura di 7,5 centimetri lo hanno già.


Simon Garfield
Johan & Levi, Milano 2019
216 pp., 37 ill. b.n
€ 22

PIETRO ARETINO E L’ARTE DEL RINASCIMENTO

«Vivomi con quei pensieri scioperati, con quella vita a caso, e con quella isperanza a sorte», scrive Pietro Aretino (Arezzo 1492 - Venezia 1556) in una delle sue tante lettere che gli studiosi del Cinquecento non possono fare a meno di considerare e che il lettore appassionato non può mancare d’apprezzare (l’edizione in sette tomi delle lettere è dell’editore Salerno, curatore dell’Edizione nazionale delle opere dell’Aretino). Senza dubbio il poligrafo fu protagonista di vent’anni di vita culturale italiana e non solo. Tuttavia fu a lungo relegato nella riduttiva veste di avventuriero della penna. O ricordato per le sue numerose amanti e le rime erotiche, peraltro di notevole interesse storico e letterario. Una lunga biografia, ricca di episodi, «nomadica», come scrive giustamente Eike D. Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi, a premessa di questo libro. Poeta, drammaturgo, scrittore, studioso di testi sacri e profani, grande cultore d’arte, amico di artisti e potenti, l’Aretino fu ammiratore e sodale in primo luogo di Tiziano, come testimoniano lettere e descrizioni piene di elogi dei numerosi ritratti (fra i quali quello dello scrittore), realizzati dal pittore cadorino. Di lui, l’Aretino ammirava la capacità di rendere con il pennello una somiglianza strabiliante col modello, che sapeva persino ritrarre a memoria, o con l’ausilio di qualche schizzo o descrizione verbale. A chi gli faceva il ritratto, non solo a Tiziano, il poeta riconobbe l’intensità di quelle effigi di cui tanto andava fiero. Inoltre, nel tipico paragone retorico cinquecentesco dell’“Ut pictura poësis”, l’Aretino non mancò di elogiare la propria opera letteraria: cioè la sua capacità di render «inchiostro per colore», come si legge, per esempio, in una sua lettera del 1537 al miniatore Iacopo del Giallo. L’Aretino ammirò molto anche Michelangelo, ma con l’artista toscano non ebbe relazioni cordiali. Di tutto questo, e di molto altro diversi specialisti parlano nel catalogo della mostra Pietro Aretino e l’arte del Rinascimento, agli Uffizi fino al 1° marzo: un libro che resterà non solo a memoria della rassegna, ma anche come eccellente disamina sul rapporto fra il poligrafo aretino e l’arte.


a cura di Anna Bisceglia, Matteo
Ceriana, Paolo Procaccioli
Giunti, Firenze 2019
288 pp., 239 ill. colore
€ 38

ART E DOSSIER N. 373
ART E DOSSIER N. 373
FEBBRAIO 2020
In questo numero: ART BRUT, ORDINE E CAOS. L'editoriale di Philippe Daverio. La Biennale di Art Brut a Losanna. In volume L'opera omnia di Ligabue. L'ARCHITETTO UMANISTA. Il centenario di Leonardo Ricci. ANIMALI SAPIENTI. Parodia e satira nel Medioevo. IN MOSTRA: Steeve McQueen a Londra. Arte italiana a Mänttä. Anni Venti a Genova. Collezione Thannhauser a Milano. Natura in posa a Treviso.Direttore: Philippe Daverio