Studi e riscoperte. 2 
Antonio Ligabue: l’opera omnia

UN ESPRESSIONISTA TRAGICO


Una recente pubblicazione edita dalla Fondazione Archivio Antonio Ligabue consente di avere un quadro finalmente esaustivo del leggendario e bizzarro personaggio, che si è cimentato con la medesima passione nella pittura, nella scultura, nell’incisione e nel disegno. Alla fine né naïf né brut: solo artista.


Marta Santacatterina

Tre volumi, mille dipinti, centocinquantotto disegni, novantuno incisioni e settanta sculture, una tavolozza: sono i numeri di Ligabue - Catalogo generale di Antonio Ligabue. Pitture, sculture, disegni e incisioni, opera corredata da saggi, tra gli altri, di Vittorio Sgarbi, Flavio Caroli e Marzio Dall’Acqua, e data alle stampe a fine gennaio grazie alla Fondazione Archivio Antonio Ligabue, che fin dal 1983 si occupa di valorizzare il pittore, di promuoverne la conoscenza, di curarne le più importanti mostre in Italia e all’estero nonché di autenticarne i lavori.
Un’impresa editoriale che fa seguito al Catalogo ragionato dei dipinti, promosso nel 2004 dal Comune di Gualtieri (Reggio Emilia) e dall’allora Centro Studi & Archivio Antonio Ligabue di Parma, trasformatosi nell’attuale fondazione nel 2017.
Il presidente, Augusto Agosta Tota, motiva così la nuova pubblicazione: «Abbiamo voluto allestire un catalogo completo, poiché il precedente riguardava solo le pitture, mentre ora sono stati inseriti anche i disegni, le incisioni e le sculture. È quindi una pubblicazione importantissima, che va a documentare
l’intera opera di Ligabue. Per quanto riguarda i dipinti, il precedente catalogo ne contava ottocentosessantotto, ma grazie alle recenti ricerche siamo giunti a identificare mille quadri, e riteniamo che in totale ne manchi un numero molto esiguo, dai cinque ai quindici, che potranno in futuro emergere dal mercato o da qualche collezione».
Il catalogo mette inoltre un sigillo sulla questione dei falsi, peraltro non così rilevante come in genere si pensa: «Come per tutti gli altri autori, quando un artista comincia ad avere un certo nome, spuntano i falsari. Succede, ma è difficile cadere nell’inganno da parte dei conoscitori. La fondazione autentica le opere e chi ben conosce i lavori di Ligabue si accorge subito se si tratta di originali o di falsi», dice ancora Tota.
Antonio Ligabue è un artista leggendario: la sua vita tormentata e stravagante, unita alla straordinaria potenza espressiva delle sue opere, lo hanno reso un personaggio ideale per romanzi, narrazioni cinematografiche - memorabile lo sceneggiato prodotto dalla Rai nel 1977, con la regia di Salvatore Nocita e l’emozionante interpretazione di Flavio Bucci - e teatrali, nonché per citazioni in canzoni e poesie (basti ricordare il poemetto Toni di Cesare Zavattini scritto per Franco Maria Ricci nel 1968).

Tutte le immagini dell’articolo provengono dalla Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma.
Testa di tigre (1953-1954 circa).

La ricostruzione delle sue vicende biografiche, come del resto l’analisi critica dell’opera dell’artista, si deve a Marzio Dall’Acqua che, con puntuali ricerche documentarie, sia nel nuovo catalogo sia nelle precedenti monografie, racconta la vita di Ligabue. Sappiamo così che Antonio nacque a Zurigo nel 1899 da Maria Elisabetta Costa e che fu presto affidato a una coppia di svizzeri-tedeschi, con cui rimase anche dopo l’adozione da parte di Bonfiglio Laccabue, un cittadino italiano emigrato in Svizzera, il quale nel frattempo aveva sposato la madre naturale; il bambino portò quel cognome, rinnegandolo tuttavia da adulto e mutandolo in Ligabue. Le ristrettezze economiche causarono ad Antonio problemi di salute: soffrì di rachitismo e, crescendo, manifestò sintomi di nevrosi, tanto da dover frequentare istituti per ragazzi con problemi mentali da cui fu peraltro espulso «per condotta cattiva e scostumata». Iniziò allora per il giovane una vita girovaga, interrotta da un ricovero nella clinica psichiatrica di Pfäfers, e a seguito di un’ingenua denuncia della madre adottiva Elise Hanselmann - l’attaccamento con lei fu sempre eccessivo - nel 1918 Ligabue venne espulso dalla Svizzera e mandato nella Bassa Reggiana a Gualtieri, comune di origine del padre.
Le golene del grande fiume, i suoi margini e i boschi di pioppi divennero la sua casa; gli animali - quelli reali, in particolare gli amati cani e conigli, e quelli immaginati, come le tigri e i leoni - i suoi compagni.
Nell’Emilia degli anni Venti Ligabue era «isolato, emarginato, posto quasi al di fuori del consorzio civile, fagotto irsuto di paglia nel bosco, mascherato con una divisa consunta, senza forma prima che senza onore, come lo descrisse Marino Mazzacurati», riporta Dall’Acqua. E fu proprio lo scultore Mazzacurati, fondatore della Scuola romana, ad avvicinarsi a lui, a dimostrargli apprezzamento per i primi disegni, dipinti e sculture realizzate con l’argilla del Po che l’artista depurava masticandola, e ad accoglierlo nel suo studio fornendogli tavole, tele e colori.


Le golene del grande fiume, i suoi margini e i boschi di pioppi divennero la sua casa


Castello (1954 circa).

Le sofferenze psicologiche non abbandonarono mai Ligabue, che fu ricoverato più volte all’Istituto psichiatrico di San Lazzaro di Reggio Emilia con diagnosi di «psicosi maniaco-
depressiva», come riportano le cartelle cliniche.
In realtà, seppure sia indubbia una forma di fragilità mentale evidenziata da comportamenti decisamente fuori dagli schemi - come il percuotersi la tempia con una pietra fino a farla sanguinare, «uno dei suoi atti magici, ripetuto per tutta la vita, per rigettare gli umori malefici», o ancora il ferirsi il naso per cercare di renderlo «affilato, aquilino, dantesco, corrispondente al genio che sentiva di essere», oppure il “dar di matto” ogni volta che qualcuno tossiva o starnutiva, racconta sempre il suo biografo - “Toni” non era un malato psichiatrico, come sottolinea anche Augusto Agosto Tota che lo conobbe nel 1951. Era infatti ben consapevole della sua insanabile solitudine, come era altrettanto consapevole sia dell’ossessiva necessità di esprimersi attraverso l’arte sia delle sue indiscutibili capacità: «Voi non ci crederete, non potete saperlo, ma io domani sarò nei più grandi musei del mondo», era solito confidare il pittore al presidente della Fondazione a lui dedicata. Tra Gualtieri e Guastalla, Ligabue incontrò e guadagnò la stima anche di altri artisti come Arnaldo Bartoli e Andrea Mozzali, e di Cesare Zavattini, che era in giuria quando, nel 1956, gli fu assegnato il premio Suzzara.


Autoritratto con sciarpa rossa (1958 circa).


Vedova nera 1951).

Uno stile personalissimo e solo marginalmente dettato dalle nevrosi


Morì, dopo essere stato colpito da una paresi, il 27 maggio 1965 e da tempo la sua collocazione critica lo ha svincolato dall’ambito dell’arte naïf - estranea al mondo della cultura e caratterizzata da una forte semplificazione concettuale, nonché da una modestia tecnica ed esecutiva - per collocarlo a pieno titolo nei classici del Novecento: «Ligabue è un espressionista tragico. Sono già trent’anni che la critica è concorde nell’affermare che non è certo un naïf, ma un artista a tutti gli effetti», precisa ancora Tota. I suoi lavori non possono essere avvicinati neppure all’Art Brut, poiché da un lato Ligabue non era autodidatta, avendo lavorato a fianco di altri artisti quasi fosse “a bottega”, dall’altro la consapevolezza della sua vocazione, il desiderio di rendere pubblici i suoi lavori e lo stile personalissimo e solo marginalmente dettato dalle nevrosi lo distinguono nettamente da quel contesto. Se nelle prime opere il suo linguaggio è ancora «sgrammaticato, asintattico, balbettante persino», come ben spiega Dall’Acqua, nei dipinti della maturità - raffiguranti nella quasi totalità animali, paesaggi, intensi autoritratti o la sua figura intera accanto all’adorata moto rossa -, attraverso una totale immedesimazione con i soggetti, replicati innumerevoli volte in una tensione verso la perfezione, Ligabue elabora «un linguaggio insieme popolare e colto, ricco di implicazioni e di contaminazioni, che sarà proprio di molta pittura dopo di lui».


Autoritratto (1958 circa).
Fondazione Archivio Antonio Ligabue

Parma

www.fondazionearchivioligabue.it

Cane setter (1959 circa);

Lotta per la fame, (1951 circa).

ART E DOSSIER N. 373
ART E DOSSIER N. 373
FEBBRAIO 2020
In questo numero: ART BRUT, ORDINE E CAOS. L'editoriale di Philippe Daverio. La Biennale di Art Brut a Losanna. In volume L'opera omnia di Ligabue. L'ARCHITETTO UMANISTA. Il centenario di Leonardo Ricci. ANIMALI SAPIENTI. Parodia e satira nel Medioevo. IN MOSTRA: Steeve McQueen a Londra. Arte italiana a Mänttä. Anni Venti a Genova. Collezione Thannhauser a Milano. Natura in posa a Treviso.Direttore: Philippe Daverio