Grandi mostre. 1 
Steve McQueen a Londra

IL FUTURO È ORA


Regista, sceneggiatore e scultore, il londinese Steve McQueen affronta nel suo lavoro temi tipicamente umani che hanno a che fare con il senso di identità, comunità, sacrificio, resistenza nonché acquisizione e sviluppo di consapevolezza per gettare le basi, oggi, di un domani sostenibile. Scopriamo l’evoluzione della sua carriera artistica nei due progetti espositivi ospitati alla Tate Britain e alla Tate Modern.


Riccarda Mandrini

«È urgente riflettere sul nostro futuro, su chi siamo, per avere una idea di come sarà formata la nostra realtà sociale tra pochi anni.
Questo è importante e improrogabile».
Così Steve McQueen (Londra 1969) - insignito dalla Tate del Turner Prize nel 1999, rappresentante nel 2009 della Gran Bretagna alla Biennale di Venezia, vincitore nel 2014 dell’Oscar come miglior film con 12 Years a Slave - ha espresso il suo pensiero nel dare avvio a due progetti espositivi nella capitale britannica: Year 3 (Tate Britain, fino al 3 maggio) - un’indagine e una narrazione per immagini, rappresentata dalle fotografie di classe di decine di scuole elementari di Londra - e Steve McQueen (Tate Modern, 13 febbraio - 11 maggio), con film e video (dieci in totale) dedicati a temi e problemi contemporanei.

Carib’s Leap (2002).
Questa e le immagini delle due pagine successive sono riproduzioni di still da video e fotografie di scena in mostra alla Tate Modern (Steve McQueen, 13 febbraio - 11 maggio).

Frammenti di vita, di persone conosciute o anonime che hanno popolato e animato un mondo multiculturale


Per le due mostre, McQueen ha scelto di lavorare su un doppio binario. Con la prima, attraverso le foto dei bambini a scuola, il suo intento è stato offrire uno sguardo sul futuro di Londra; con la seconda narrare frammenti di vita, di gente conosciuta o anonima, persone che hanno popolato e animato un mondo multiculturale composto da storie quasi mai occidentali.
Concentrando la nostra attenzione sull’esposizione alla Tate Modern, segnaliamo, tra le opere presenti, Exodus, uno dei primi film del regista, sceneggiatore e scultore inglese, prodotto all’inizio degli anni Novanta.
Girato per le strade di Londra, vede protagonisti due uomini vestiti con abiti eleganti, nello stile delle Indie occidentali, che reggono, ciascuno tra le mani, una pianta di cocco con lunghe foglie: elemento, questo, che li rende particolarmente visibili tra la folla e che può essere letto anche come un ulteriore riferimento alla loro cultura di appartenenza.
Ashes (2002-2015) invece è la storia di un giovane pescatore dell’isola caraibica di Grenada, morto in una guerra tra poveri e sepolto in una fossa comune.
Le sue vicende sono narrate dalle voci fuori campo degli amici, che raccontano una delle tante medesime storie di vita e di morte che si ripetono e non fanno più cronaca. Ashes aveva trovato per caso una partita di droga nascosta sotto la sabbia: decide di prenderla ma, colto di sorpresa dagli spacciatori, viene ucciso.
Carib’s Leap/Western Deep sono due film complementari prodotti da McQueen per Documenta 11 nel 2002. Carib’s Leap descrive un evento successo nel 1651 nell’isola caraibica di Grenada, luogo di origine dei genitori dell’artista. Allora un gruppo di abitanti, dopo avere combattuto contro la colonizzazione da parte dei francesi, scelse di togliersi la vita, pur di non dover vivere in una condizione di sottomissione.
Carib’s Leap è il posto in cui si svolse questo atto di resistenza e sacrificio.
Per approfondire il tipo di attività svolta dall’artista e scoprire più nel dettaglio il lavoro che ha portato alla realizzazione delle mostre alla Tate Britain e alla Tate Modern, abbiamo fatto qualche domanda a due membri dei rispettivi staff curatoriali: Clarrie Wallis, senior curator per l’arte contemporanea britannica della Tate Britain, e Clara Kim, The Daskalopoulos senior curator della Tate Modern.
La rassegna di prossima apertura alla Tate Modern è stata anticipata da Year 3. Com’è nato questo lavoro?
L’idea originale per Year 3 Steve McQueen l’ha avuta più di venti anni fa. Successivamente l’ha ripresa alla nascita del suo primo figlio. Year 3 è un’esperienza che invita a farsi domande su se stessi, sulla propria vita, sulla propria educazione, sulle generazioni future e su ciò che dovranno affrontare negli anni a venire.


Ashes (2002-2015).


Exodus (1992-1997).


Charlotte (2004).

Farsi domande sulla propria vita, sulla propria educazione e sulle generazioni future


Quanto tempo è stato necessario per organizzare un progetto di questa portata?
Per dare una idea della portata di Year 3, dobbiamo dire che Tate e l’associazione culturale Artangel si sono unite ad altre realtà quali A New Direction, un gruppo specializzato nell’ambito dell’apprendimento creativo, e ai produttori Arts Media People per la sua realizzazione. Il coinvolgimento dei bambini ha reso necessario, naturalmente, avere il permesso dei loro genitori per consentire al gruppo di fotografi, impegnati nelle diverse scuole, di realizzare le oltre tremila immagini, di stamparle e incorniciarle. Per raggiungere un numero significativo dei piccoli protagonisti degli scatti, Tate ha lavorato con i dirigenti di molti distretti degli istituti scolastici per ottenere un campione rappresentativo ed esaustivo.
Perché avete presentato Year 3 qualche mese prima dell’apertura della mostra alla Tate Modern?
Steve McQueen ha sempre lavorato su concetti e idee forti e complesse. Molti di questi temi che l’artista ha sviluppato nella sua carriera si ritrovano in Years 3 e sono ripresi nella retrospettiva alla Tate Modern.
Per esempio il duplice tema della forza e della fragilità, espresso nel film Ashes; oppure temi come l’identità e la comunità, affrontati nelle prime opere, come nella pellicola Exodus. I due progetti espositivi quindi sono in relazione tra loro. Con la Tate, poi, Mc-Queen, dai tempi della sua vittoria al Turner Prize nel 1999, ha uno stretto legame.
Nella retrospettiva alla Tate Modern sono presentate diverse opere storiche, come Exodus (1992-1997), appunto, Cold Breath (1999), Illuminer (2001), Charlotte (2004). Qual è stato lo scopo della mostra e quindi delle scelte curatoriali?
La mostra propone il lavoro di Steve McQueen negli ultimi vent’anni. Prende avvio dall’esposizione a lui dedicata nel 1999 all’Ica - Institute of Contemporary Arts di Londra. Da allora McQueen ha ricevuto un Turner Prize e un Oscar nel 2013 per 12 Years a Slave. Innanzitutto questa retrospettiva vuol far cono scere al pubblico il percorso della sua carriera, in una condizione ottimale, che è quella del museo, sia da un punto di vista della rappresentazione dei film che del suono [altro suo campo di ricerca]. Inoltre, un ulteriore intento è stato quello di sottolineare lo stretto rapporto dell’artista con la sua città natale.
Le tematiche dei suoi video degli anni Novanta e Duemila sono incredibilmente attuali oggi.
Il tema fondamentale del suo lavoro riguarda la condizione umana, quella in cui vive la gente. Nel Regno Unito si discute molto di argomenti come l’identità, l’appartenenza, la nazionalità. E McQueen si inserisce proprio in questo dibattito affrontandolo non dal punto di vista politico ma da un punto di vista squisitamente antropologico.


Alcune fotografie della serie Year 3 (2019) scattate nelle scuole elementari di Londra in mostra alla Tate Britain (Year 3, fino al 3 maggio).

Foto scattata alla Tyssen Community Primary School.


Foto scattata alla Tyssen Community Primary School.


Foto scattata alla Saint Cyprian’s Greek Orthodox Primary.

Year 3

Londra, Tate Britain
a cura di Clarrie Wallis, Nathan Ladd, James Lingwood e Cressida Day
fino al 3 maggio
orario 10-18
www.tate.org.uk/britain

Steve McQueen

Londra, Tate Modern
a cura di Clara Kim e Fiontán Moran
dal 13 febbraio all’11 maggio
orario 10-18, venerdì e sabato 10-22
catalogo Tate Publishing (pubblicazione unica per entrambe le mostre)
www.tate.org.uk/visit/tate-modern

ART E DOSSIER N. 373
ART E DOSSIER N. 373
FEBBRAIO 2020
In questo numero: ART BRUT, ORDINE E CAOS. L'editoriale di Philippe Daverio. La Biennale di Art Brut a Losanna. In volume L'opera omnia di Ligabue. L'ARCHITETTO UMANISTA. Il centenario di Leonardo Ricci. ANIMALI SAPIENTI. Parodia e satira nel Medioevo. IN MOSTRA: Steeve McQueen a Londra. Arte italiana a Mänttä. Anni Venti a Genova. Collezione Thannhauser a Milano. Natura in posa a Treviso.Direttore: Philippe Daverio