Blow up 


MAAR,MOH0LY-NAGY

di Giovanna Ferri

Nata Henriette Theodora Marković, Dora Maar (1907-1997), legata inevitabilmente al nome di Picasso, di cui fu per molto tempo musa e amante, è stata un’artista eclettica e raffinata cresciuta tra la Francia e l’Argentina. Intenzionata a diventare pittrice, frequenta tra 1923 e 1926 l’Union Centrale des Arts Décoratifs di Parigi e, successivamente, l’Académie André Lhote dove incontra Henri Cartier-Bresson. Si interessa poi sempre di più alla fotografia aprendo intorno al 1931, nella capitale francese, uno studio dedicato a ritratti, immagini di moda e pubblicità con lo scenografo Pierre Kéfer. Sperimentando da subito diverse tecniche come il fotomontaggio e il collage e dimostrando una particolare predilezione per la provocazione, il magico, il soprannaturale, il misterioso, i suoi scatti divennero celebri icone del surrealismo.
Insieme a poche fotografe della sua generazione, Maar si cimenta pure con il nudo e l’eros, generi all’epoca ancora interdetti alle donne. Aderendo, inoltre, a gruppi rivoluzionari di sinistra, utilizza la fotografia anche per narrare le diseguaglianze sociali a seguito della crisi economica del 1929 tra le strade di Parigi, Londra, Barcellona, mantenendo, come per tutte le altre fotografie , uno sguardo acuto e insolito. L’occasione per riscoprire il suo talento è ora offerta dalla grande esposizione alla Tate Modern di Londra (fino al 15 marzo, www.tate.org.uk) con un gruppo curatoriale interamente al femminile - Karolina Ziebinska-Lewandowska, Damarice Amao, Amanda Maddox ed Emma Lewis - e la partnership del Centre Pompidou di Parigi e del J. Paul Getty Museum di Los Angeles. È la più esaustiva monografica, a oggi organizzata sul suolo inglese, riservata a Dora Maar, che ripercorre con oltre duecento opere, tra fotografie (soprattutto), dipinti e documenti, sessant’anni della sua carriera.
Una sala è interamente occupata dalle foto che l’artista francese di origini croate fece a Picasso nel 1937 durante la realizzazione di Guernicamentre un’altra ospita diversi ritratti del maestro spagnolo dedicati alla Maar tra i quali spicca La donna piangente.


Dora Maar, Gli anni ti aspettano (1935 circa).


Dora Maar, Senza titolo (Mano e conchiglia) (1934), Parigi, Centre Pompidou, Musée National d’Art Moderne.

Non si considerava un vero fotografo, ma una persona che “giocava” con quest’arte, teorizzando e sperimentando. Eppure László Moholy-Nagy (1895-1946), figura rilevante del secolo scorso, ha lasciato una traccia incancellabile delle sue indiscusse capacità anche nella fotografia, oltreché nella pittura, nella grafica, nella scrittura, nella poesia e nell’educazione artistica. È spinto ad approfondire il campo della fotografia sia dall’interesse crescente verso un’osservazione via via più puntuale delle caratteristiche della luce sia dall’incontro con la fotografa ceca Lucia Schultz, che sposa nel 1921 e con la quale rimane fino al 1929.
Moholy-Nagy effettua i primi esperimenti, risalenti agli anni Venti, attraverso una tecnica simile al disegno fotogenico dell’inglese William Henry Fox Talbot (1800-1877), in base alla quale alcuni oggetti vengono appoggiati sulla carta sensibile lasciandovi la propria impronta senza bisogno di usare l’obiettivo. Esperimenti definiti “fotogrammi” dall’artista ungherese, “shadografie” da Christian Schad (1894-1982), che riproduceva sagome di materiali di scarto al fine di ottenere immagini che ricordano collage cubisti, e “rayografie” da Man Ray (1890-1976) che applicava lo stesso procedimento per gli oggetti tridimensionali e semitrasparenti. L’arte composita di Mohly-Nagy, che è stato anche insegnante di una delle scuole più prestigiose del Novecento, il Bauhaus, dopo l’incontro a Berlino con Walter Gropius nel 1923, viene ora proposta nel progetto espositivo La rivoluzione della visione. Verso il Bauhaus.
Moholy-Nagy e i suoi contemporanei ungheresi, a cura di Katalin T. Nagy, fino al 15 marzo presso la Galleria d’arte moderna di Roma (www.galleriaartemodernaroma.it). Un percorso visivo concentrato in particolare nel periodo compreso tra gli anni Dieci e Quaranta, essenziale per comprendere appieno il contesto nel quale Moholy-Nagy si muoveva, nonché il suo personale “segno grafico” e il suo approccio alla fotografia, per lui “pittura di luce” priva di regole.


László Moholy-Nagy, Autoritratto (1926/1973), Kecskemét (Ungheria), Magyar Fotográfiai Múzeum.


László Moholy-Nagy, Scultura cinetica (Gyros in movimento) (1936).

IN BREVE:

3 BODY CONFIGURATIONS
Bologna, Fondazione del Monte di Bologna e di Ravenna
fino al 18 aprile
www.fondazionedelmonte.it
Wildlife Photographer of the Year
Bard (Aosta), Forte di Bard
dal 1° febbraio al 2 giugno
www.fortedibard.it

ART E DOSSIER N. 373
ART E DOSSIER N. 373
FEBBRAIO 2020
In questo numero: ART BRUT, ORDINE E CAOS. L'editoriale di Philippe Daverio. La Biennale di Art Brut a Losanna. In volume L'opera omnia di Ligabue. L'ARCHITETTO UMANISTA. Il centenario di Leonardo Ricci. ANIMALI SAPIENTI. Parodia e satira nel Medioevo. IN MOSTRA: Steeve McQueen a Londra. Arte italiana a Mänttä. Anni Venti a Genova. Collezione Thannhauser a Milano. Natura in posa a Treviso.Direttore: Philippe Daverio