Questa è una storia di amicizia, di progetti condivisi e di speranze.
È la storia di un maestro e dei suoi discepoli, di tradimenti e disillusione, poi di morte. Come la neve in inverno che al disgelo si tramuta in acqua sporca, tutto finisce. Lì, dove c’era un manto candido, alla fine scopri solo sassi appuntiti e crepacci.
Siamo in Svizzera e ci muoviamo lungo un asse che unisce la parte nord, di lingua tedesca, con la comunità italofona del Canton Ticino, nel primo quarto del Novecento.
Albert Müller nasce a Basilea nel 1897. È un apprendista artigiano, ma alla mostra di Natale del 1919 alla Kunsthalle (sempre a Basilea) si presenta, per la prima volta, come artista. Nella sua breve carriera spazierà dalla pittura alla scultura, dall’incisione all’arte vetraria.
Scende in Italia e collabora con un altro grande pittore dimenticato come Niklaus Stoecklin. Nel febbraio 1921 sceglie di vivere nel Canton Ticino, sposa Anna Hübscher e un anno più tardi, con la nascita dei gemelli Judith e Kaspar, si trasferisce a Obino- Castel San Pietro, dove crea un sodalizio professionale con altri giovani artisti originari di Basilea.
Quello che spariglia le carte è l’arrivo di un mito dell’espressionismo come Ernst Ludwig Kirchner. Traumatizzato dalla Grande guerra, alla quale partecipa prestando servizio militare dal quale poi viene esonerato per disturbi mentali, è in cerca di pace e silenzio. Si reca perciò a Davos dove tornerà più volte. In una di queste permanenze conosce un gruppo di ragazzi pazzi per l’arte: Hermann Scherer, Paul Camenisch e, appunto, Albert Müller. È un colpo di fulmine da tempesta in alta quota.