Luoghi da conoscere 
Magonza nella valle del Reno


UN ANTICOCASTRUM


Situata nella regione della Renania-Palatinato, Magonza, occupata dai celti e fondata dai romani, è stata, nel corso della storia, al centro di complesse e talvolta tragiche vicende.
Qui ricostruiamo le tappe fondamentali della città per scoprirne le origini, l’architettura e l’arte.


Sergio Rinaldi Tufi

Magonza (in latino Mogontiacum, in tedesco Mainz, in francese Mayence), situata nella Renania-Palatinato alla confluenza del Meno nel Reno, ha un notevole ruolo nella storia di più imperi: romano (fortezza sul “limes”, disposta cioè lungo il corso superiore del Reno, poi capitale della Germania Superior); carolingio (nella vicina Ingelheim Carlo Magno fece costruire un cospicuo palazzo); e infine il Sacro romano impero, in quanto, nelle procedure per la successione al trono, l’arcivescovo di Magonza era uno dei sette “grandi elettori”. Successivamente, la rilevanza politica della città andò scemando: si incrementò però quella culturale, soprattutto quando Gutenberg (Magonza 1394-1399/1468) inventò la stampa. Poi le vicende si fanno più complesse, talvolta drammatiche: annessione alla Francia sancita dalla pace di Campoformio (1797), inglobamento nel principato d’Assia dopo il Congresso di Vienna (1815), nuova occupazione francese fra 1918 e 1930, pesantissimi bombardamenti subiti durante la seconda guerra mondiale.

La zona di Magonza nell’Età del ferro (I millennio a.C.) era occupata dalla popolazione celtica dei vangiones, che veneravano il dio Mogon. Da qui il nome del sito, Mogontiacum. Il “castrum” – ovvero l’accampamento permanente sulla linea di frontiera – fu fondato fra il 16 e il 13 a.C., quando al di là del Reno, che segnava il limite delle Gallie conquistate da Cesare, Augusto aveva programmato di sottomettere tutte le terre fino al fiume Elba. Proprio nel 13 il comando delle operazioni veniva affidato a Druso, figlio di Livia Drusilla, terza moglie di Augusto stesso: il valente generale vinse numerose battaglie giungendo davvero all’Elba, ma al ritorno, in seguito a una caduta da cavallo, morì mentre veniva ricondotto proprio a Magonza (9 a.C.). Duro colpo, ma ancor più grave fu, nel 9 d.C., la disfatta di Teutoburgo, foresta presso il fiume Lupia (Lippe): due legioni al comando di Quintilio Varo furono annientate da una coalizione di popolazioni germaniche promossa da Arminio, principe dei cherusci. Il luogo della battaglia è stato individuato a Kalkriese presso Osnabrück. Nel 16 d.C. Roma rinunciò a ulteriori avanzate: fortezze come la stessa “Mogontiacum” o come “Argentorate” (Strasburgo) non erano ormai base per spedizioni, ma “castra” di difesa del “limes”, dei confini: lo stesso avvenne anche più a nord, nella Germania Inferior.
Nella Superior, però, nella seconda metà del I secolo d.C., una qualche forma di espansione fu perseguita, quando furono annessi i cosiddetti “Agri Decumates”: un territorio abbastanza vasto che giungeva a inglobare le alture del Taunus presso l’attuale Francoforte. Lo spostamento del confine verso posizioni più avanzate favorì l’evoluzione dei “castra” del Reno (nati per esigenze militari) in veri e propri centri urbani: un ruolo importante in questo processo è quello delle “canabae”, abitati sviluppatisi accanto ai “castra” stessi in funzione degli operatori “civili” che seguono l’esercito (mercanti, artigiani, scalpellini…), e che contribuiscono poi a modificare la “destinazione d’uso” del sito.

La quintessenza dell’arte romano-provinciale, che in un certo senso prefigura quella medievale


Arte romana, Germania prigioniera. (III secolo d.C.), da Magonza, calco, Roma, Museo della civiltà romana.

Non è possibile delineare una planimetria d’insieme dell’antica Mogontiacum: oltre al “castrum” principale presso la confluenza del Meno, sappiamo però che ve ne era uno minore più a sud in località Weisenau. Il rudere più imponente, in posizione elevata a sud della città presso la Cittadella secentesca, è quello del mausoleo di Druso (o meglio il cenotafio: il generale morto nel 9 a.C. in realtà è sepolto a Roma). Ne è stata proposta una integrazione-ricostruzione: due ordini, copertura conica. Sappiamo qualcosa anche dei “principia” (quartier generale): vi era un singolare portico in cui le colonne poggiavano su plinti decorati con figure, efficaci nella loro rudezza, di soldati e di barbari incatenati. Fra un plinto e l’altro erano inseriti plutei, pure scolpiti: un rilievo raffigura una barbara seduta e piangente. È la Barbara di Magonza, che Ranuccio Bianchi Bandinelli poneva fra i capolavori dell’“arte europea di Roma”. Un po’ la quintessenza dell’arte romano-provinciale, che in un certo senso prefigura quella medievale: scarso interesse per l’organicità delle figure e le proporzioni, attenzione invece per i dettagli che rendono comprensibili i contenuti (armi, abbigliamento, espressioni).
Queste sculture sono esposte, insieme a molte altre (soprattutto stele funerarie), nel Landesmuseum della città tedesca. Vi si conservano inoltre (anche se al momento sono in restauro) i resti di un notevole monumento che, invece, è di tono un po’ accademico: la Colonna di Giove. È un tipo di monumento (“Iuppitersäule”) diffuso nel mondo celto-germanico, con molte variazioni: qui il fusto (che sorgeva su uno zoccolo e su una base sovrapposti) era costituito da cinque rocchi decorati con rilievi raffiguranti divinità e personificazioni del mondo religioso romano; sulla sommità un dado sorreggeva una statua del dio, di cui si è rinvenuta la folgore. Un’iscrizione dice che il monumento è stato eretto «pro salute Neronis» (di Nerone, cioè, scampato nel 65 d.C. alla congiura dei Pisoni) da parte dei “canabarii”, cioè dagli abitanti delle già ricordate “canabae” (dove in effetti la colonna è stata ritrovata), che sembrano così prendere coscienza del proprio ruolo. Una copia “ricomposta” del monumento era esposta in una piazza non lontana dal Reno, ma ora anch’essa è in restauro.
Da segnalare tre ritrovamenti relativamente recenti: un cospicuo teatro (sarebbe il più grande a nord delle Alpi) rinvenuto durante i lavori per la costruzione di una stazione che poi ne ha ripreso il nome (“Römisches Theater”) ma che non ha certo giovato alla sua valorizzazione; i resti, valorizzati invece molto bene, di un tempio di Iside e della Magna Mater; e infine quelli (rinvenuti a oltre cento metri dal Reno, il cui corso ha subito variazioni nei secoli) di una flottiglia di agili navi fluviali databili quasi tutte al IV secolo, ora documentate (con ampie ricostruzioni) nel Museum für Antike Schiffahrt.
Un altro ritrovamento recente, anche se lontano da Magonza (ma non troppo: al di là di Francoforte e del noto “castrum” della Saalburg), testimonia una situazione forse inattesa nelle vicende di cui la città fu protagonista. In località Waldgirmes è documentato un insediamento sorto dopo l’avanzata di Druso e ordinatamente evacuato, in quanto rimasto isolato oltre il confine, durante la ritirata del 16 d.C. Le strutture e gli oggetti rinvenuti sembrano rivelare una pacifica convivenza fra romani e popolazioni locali. C’era anche un monumento assai impegnativo: sono stati rinvenuti i piedistalli di quattro statue equestri, di una delle quali sopravvive un eccezionale frammento: una testa di cavallo in bronzo dorato di squisita fattura.


Arte romana, Legionari all’assalto (I secolo a.C.), Magonza, Landesmuseum;


base e zoccolo della Colonna di Giove (65 d.C.), ora in restauro, Magonza, Landesmuseum.

Un’altra epoca davvero significativa per la storia di questa parte d’Europa è quella di Carlo Magno: non senza conflitti lunghi e accaniti, nel 774 diviene re dei franchi e nell’800 è incoronato imperatore a Roma, controllando un estesissimo territorio dalla Spagna all’Elba. Ecco, l’Elba: evocare questo fiume potrebbe riportare alla mente il programma augusteo, ma in realtà, più che a una riproposizione dell’impero romano d’Occidente, ora si pensa a un nuovo impero cristiano.
Proprio nel già ricordato 774, reduce dalla nota campagna d’Italia, Carlo si fermò a quindici chilometri da Magonza, dove oggi è la cittadina di Ingelheim e dove allora, sui resti di un’antica villa romana, era sorto un insediamento merovingio. All’epoca non era stata ancora scelta una sede imperiale fissa (lo sarebbe stata Aquisgrana a partire del 793), ma residenze, per così dire, usate “ad occasionem” erano sorte un po’ dovunque: si calcola che fossero ben sessantacinque. Costruito fra 774 e 807, l’“Ingelheimum Palatium” (come ricorda il biografo Eginardo) fu usato ripetutamente in occasione di festività e convegni. Nel complesso fortificato, l’ingresso monumentale era al centro di un’amplissima esedra, provvista di portici verso l’interno; all’estremità opposta era una notevole “aula regia” absidata. Sono queste le due realtà oggi meglio visibili; fra l’una e l’altra, in posizione non esattamente centrale e raccordati alle altre strutture mediante portici, erano un edificio termale e una chiesa. Accanto a queste costruzioni in muratura di ispirazione classica o tardoantica, dovevano esservene altre in legno, che sono andate perdute.
Non molto più tardi, si avvia la fase di massima rilevanza dell’arcivescovato di Magonza, che costituirà fino al 1344 la più grande provincia ecclesiastica dell’Occidente. Il primo arcivescovo è Bonifacio (747-754); dopo, spicca Villigiso (975-1011), “arcicancelliere” dell’impero, a cui si deve la costruzione del nuovo duomo (che rivaleggia con quelli di Spira e Worms nell’ambito dell’architettura romanica renana). Sorge nella posizione di quello che ancora oggi vediamo, ma ha subito nei secoli distruzioni, ricostruzioni, trasformazioni (per esempio, consacrato nel 1009, fu subito semidistrutto da un incendio, e fu riconsacrato nel 1036). Lo schema si è mantenuto praticamente invariato: tre navate, due absidi contrapposte (fiancheggiate da torri) che racchiudono altrettanti cori sovrastati da ben più possenti torri poligonali.
Ma proprio queste ultime simboleggiano, in qualche modo, quella situazione di eterno cantiere: sono frutto della ricostruzione ottocentesca dopo la distruzione francese del 1793. In effetti si è verificata una successione di stili diversi (romanico, gotico, barocco) e anche di impieghi di materiali di vario tipo, dalla splendida e “calda” arenaria dei monti della Spessart e della Pfälzerwald, come a Spira, al calcare di Weisenau, la già ricordata località sede di un “castrum” romano a sud della città. I numerosi corpi di fabbrica che si sono man mano aggiunti alla chiesa vera e propria formano comunque un complesso intricato e suggestivo. All’interno, i tanti monumenti funerari degli arcivescovi costituiscono una plurisecolare galleria della scultura renana.
A due passi dal duomo si celebra la gloria di Johannes Gutenberg nel museo a lui dedicato: spicca la Bibbia detta “delle 42 righe”, ultimata nel 1456, prima composizione a stampa della storia.

Non lontano da Magonza, a Waldgirmes, un eccezionale frammento di statua equestre


Testa di cavallo in bronzo dorato (inizio del I secolo d.C.), rinvenuta a Waldssgirmes, vicino a Magonza, durante una campagna di scavo nel 2009, Wiesbaden, Hessisches Ministerium für Wissenschaft und Kunst.


Il cenotafio di Druso (I secolo a.C.).

IL RÖMISCH-GERMANISCHE ZENTRALMUSEUM DI MAGONZA

Struttura di eccellenza nel ricco panorama delle istituzioni culturali tedesche, con una biblioteca ricca di centottantamila volumi e duemila collezioni di periodici, il Römisch-Germanische Zentralmuseum (RGZM) di Magonza si è trasferito nel 2017 dal palazzo del Grande Elettore, lungo il Reno, a un nuovo grande edificio presso il museo delle Navi. Forse, più che per le sale espositive (ancora in corso di riallestimento), il RGZM si impone all’attenzione come grande centro di ricerca sul mondo antico dal Paleolitico al Medioevo, con particolare enfasi sulla Germania e sulle province dell’impero romano.


Ricostruzione del palazzo di Carlo Magno (774-807) a Ingelheim, a pochi chilometri da Magonza.

ART E DOSSIER N. 371
ART E DOSSIER N. 371
DICEMBRE 2019
In questo numero: L'ANNO CHE VERRA'. Le celebrazioni di Raffaello. CURIOSITA' ICONOGRAFICHE. Un occhio ci guarda dal cielo. MAGONZA. Una capitale per molti imperi. IN MOSTRA Training Humans a Milano; Betye Saar a New York; Blake a Londra; Da Artemisia a Hackert a Caserta; De Hooch a Delft; Maes all'Aja; Giulio Romano a Mantova; La collezione Alana a Parigi.Direttore: Philippe Daverio