L’occhio nel cielo compare anche in altre opere realizzate tra il XV e il XVI secolo. Una versione molto suggestiva è presente nell’Allegoria della cristianità (1525), realizzata da Jan Provost, ora conservata al Louvre. Anche negli Hieroglyphica di Orapollo (edizione Jacques Kerver, Parigi 1543), che avevano intrigato le corti rinascimentali e gli umanisti neoplatonici, è raffigurato un grande occhio in sospensione nel cielo, a significare la presenza divina.
In altre declinazioni iconografiche, invece, Dio ha delegato il controllo del mondo ai suoi spiriti celesti e alle nature angeliche a lui più vicine nell’empireo. Non a caso nell’iconografia cristiana i serafini e i cherubini sono raffigurati con tanti occhi sulle ali e a volte su tutto il corpo. Anche nel mito greco, sulle coppe attiche, il gigante Argo Panoptes (in greco antico significa «Argo che tutto vede») è raffigurato con innumerevoli occhi sul corpo, sempre attivo nell’arte della sorveglianza, di giorno e di notte, dato che riesce a controllare tutto anche mentre si sta riposando, poiché ha sempre qualche occhio aperto anche durante il sonno.
Ma torniamo alla suggestiva figura dei serafini, raffigurati con moltissimi occhi. Anche loro, come Argo, sono instancabili, sempre vigili. Nel De coelesti Hierarchia (capitolo VII), lo Pseudo-Dionigi l’Areopagita così li immagina: «Il nome serafini indica chiaramente la loro incessante ed eterna rivoluzione attorno ai Principii Divini, il loro calore e ardore, l’esuberanza della loro intensa, continua, instancabile attività, e la loro tendenza ad assimilare ed elevare al proprio livello di energia tutti coloro che sono più in basso, infiammandoli e bruciandoli con il proprio calore, e purificandoli interamente con una fiamma ardente e divorante; e con una lampante, inestinguibile, inalterabile, raggiante e illuminante energia in grado di disperdere e distruggere le ombre delle tenebre». Non vengono menzionati però gli occhi sul corpo e sulle ali. Qual è allora la fonte di questa immagine? Il termine “seraphim”, come sostantivo, nella Bibbia ebraica compare solo nel Libro di Isaia (6:1-3), naturalmente in una visione del profeta: «Vidi il Signore seduto su di un trono, e il suo seguito riempiva lo Hekhal. Sotto di lui stavano i serafini, ognuno con sei ali, e due di queste ricoprivano il loro viso e due i loro piedi, mentre con le ultime due volavano». Anche qui nessun cenno ai numerosi occhi. Giovanni, nell’Apocalisse (4,7-11), immagina «quattro esseri viventi [che] hanno ciascuno sei ali; intorno e dentro sono costellati di occhi».
Gli eruditi cristiani e gli artisti hanno sovrapposto le immagini dei serafini alla visione del tetramorfo, mettendo al mondo una figura ibrida molto efficace . Nel duomo di Monreale (Palermo) i mosaicisti bizantini lo hanno raffigurato (con i piedi su due ruote alate) accanto a un serafino, entrambi descritti con molti occhi sulle sei ali. Tutti i serafini presenti nei cicli musivi realizzati dalle maestranze bizantine nelle cattedrali di Cefalù (Palermo) e Monreale sono raffigurati con occhi su sei ali, e qualcuno è descritto con una sorta di scettro tenuto nella mano destra.
Il tetramorfo affrescato nel duomo di Anagni evoca la visione di Ezechiele (1, 5-12), ha le sei ali del serafino ed è effigiato come una sorta di angelo, nella forma di quattro esseri viventi: «Ognuno di essi aveva quattro facce e quattro ali. […] essi avevano tutti una faccia d’uomo, tutti e quattro una faccia di leone a destra, tutti e quattro una faccia di bue a sinistra, e tutti e quattro una faccia d’aquila».