Studi e riscoperte 
Declinazioni iconografiche di una “sorveglianza” ante litteram


OCCHIOAL CIELO


Oggi, si sa, siamo dei “sorvegliati speciali”.
Telecamere ovunque, sistemi di controllo anche durante l’utilizzo dei nostri dispositivi elettronici.
Ma la matrice di questa “vigilanza”, non sempre discreta, dov’è?
Nei miti, innanzitutto, e nella capacità divina di vedere tutto e tutti.


Mauro Zanchi

Essere controllati dall’alto o “spiati” per un presunto bene superiore ha un’antica origine. Tutte le telecamere di sorveglianza che costellano i luoghi e le città del nostro tempo hanno una matrice arcaica, affondano le radici nei miti, dove gli dèi vedono dall’alto tutto quello che accade sulla terra e le azioni compiute dall’umanità.
Nel passaggio dal politeismo alla concezione dell’unico Dio non si perde questa capacità divina, in grado di sorvegliare il mondo in ogni suo recondito luogo, e di vedere ogni azione che accade. E i creativi umani immaginano questa capacità divina con il dono dell’ubiquità e della persistenza, in grado di vedere tutto in ogni momento del tempo, in ogni dove. La immaginano come un occhio che vola senza ali nel cielo.
Per esempio, Lorenzo Lotto raffigura l’occhio di Dio sospeso in alto, che sovrintende la costruzione allegorica delle storie veterotestamentarie, in otto coperti simbolici del coro della basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo.


Jan Provost, Allegoria della cristianità (1525), Parigi, Musée du Louvre.

L’occhio di Dio sospeso in alto sovrintende la costruzione allegorica delle storie veterotestamentarie

L’occhio nel cielo compare anche in altre opere realizzate tra il XV e il XVI secolo. Una versione molto suggestiva è presente nell’Allegoria della cristianità (1525), realizzata da Jan Provost, ora conservata al Louvre. Anche negli Hieroglyphica di Orapollo (edizione Jacques Kerver, Parigi 1543), che avevano intrigato le corti rinascimentali e gli umanisti neoplatonici, è raffigurato un grande occhio in sospensione nel cielo, a significare la presenza divina.
In altre declinazioni iconografiche, invece, Dio ha delegato il controllo del mondo ai suoi spiriti celesti e alle nature angeliche a lui più vicine nell’empireo. Non a caso nell’iconografia cristiana i serafini e i cherubini sono raffigurati con tanti occhi sulle ali e a volte su tutto il corpo. Anche nel mito greco, sulle coppe attiche, il gigante Argo Panoptes (in greco antico significa «Argo che tutto vede») è raffigurato con innumerevoli occhi sul corpo, sempre attivo nell’arte della sorveglianza, di giorno e di notte, dato che riesce a controllare tutto anche mentre si sta riposando, poiché ha sempre qualche occhio aperto anche durante il sonno.
Ma torniamo alla suggestiva figura dei serafini, raffigurati con moltissimi occhi. Anche loro, come Argo, sono instancabili, sempre vigili. Nel De coelesti Hierarchia (capitolo VII), lo Pseudo-Dionigi l’Areopagita così li immagina: «Il nome serafini indica chiaramente la loro incessante ed eterna rivoluzione attorno ai Principii Divini, il loro calore e ardore, l’esuberanza della loro intensa, continua, instancabile attività, e la loro tendenza ad assimilare ed elevare al proprio livello di energia tutti coloro che sono più in basso, infiammandoli e bruciandoli con il proprio calore, e purificandoli interamente con una fiamma ardente e divorante; e con una lampante, inestinguibile, inalterabile, raggiante e illuminante energia in grado di disperdere e distruggere le ombre delle tenebre». Non vengono menzionati però gli occhi sul corpo e sulle ali. Qual è allora la fonte di questa immagine? Il termine “seraphim”, come sostantivo, nella Bibbia ebraica compare solo nel Libro di Isaia (6:1-3), naturalmente in una visione del profeta: «Vidi il Signore seduto su di un trono, e il suo seguito riempiva lo Hekhal. Sotto di lui stavano i serafini, ognuno con sei ali, e due di queste ricoprivano il loro viso e due i loro piedi, mentre con le ultime due volavano». Anche qui nessun cenno ai numerosi occhi. Giovanni, nell’Apocalisse (4,7-11), immagina «quattro esseri viventi [che] hanno ciascuno sei ali; intorno e dentro sono costellati di occhi».
Gli eruditi cristiani e gli artisti hanno sovrapposto le immagini dei serafini alla visione del tetramorfo, mettendo al mondo una figura ibrida molto efficace . Nel duomo di Monreale (Palermo) i mosaicisti bizantini lo hanno raffigurato (con i piedi su due ruote alate) accanto a un serafino, entrambi descritti con molti occhi sulle sei ali. Tutti i serafini presenti nei cicli musivi realizzati dalle maestranze bizantine nelle cattedrali di Cefalù (Palermo) e Monreale sono raffigurati con occhi su sei ali, e qualcuno è descritto con una sorta di scettro tenuto nella mano destra.
Il tetramorfo affrescato nel duomo di Anagni evoca la visione di Ezechiele (1, 5-12), ha le sei ali del serafino ed è effigiato come una sorta di angelo, nella forma di quattro esseri viventi: «Ognuno di essi aveva quattro facce e quattro ali. […] essi avevano tutti una faccia d’uomo, tutti e quattro una faccia di leone a destra, tutti e quattro una faccia di bue a sinistra, e tutti e quattro una faccia d’aquila».


Lorenzo Lotto, coperto simbolico di Amnon ucciso da Assalonne (1527), Bergamo, basilica di Santa Maria Maggiore.

Orapollo, Hieroglyphica (V secolo), incisione dell’edizione Jacques Kerver, Parigi 1543.

Tetramorfo e serafino (XII secolo), Monreale (Palermo), duomo;


Tetramorfo (fine del XII - prima metà del XIII secolo), Anagni (Frosinone), duomo.

Molto accattivante è il serafino costellato di occhi sulle ali, sul corpo e sulle mani, dipinto da un artista ignoto, probabilmente tra XIV e XV secolo, sopra una colonna della basilica di San Giulio, sull’isola del lago d’Orta. Le sue sei ali rosse e giallooro ricoperte di occhi rimandano anche all’arte della preveggenza e allo sguardo contemplativo. Lirica è la posizione della mano aperta, con un occhio sul palmo, che si fa spazio tra le ali per andare incontro allo spettatore o al fedele, che è giunto in chiesa per pregare o per contemplare la dimensione divina.
Gli occhi compaiono anche sulle quattro ali del cherubino posto a guardia dei giardini dell’Eden (XI secolo circa), nei mosaici della basilica dell’Assunta, sull’isola di Torcello (laguna veneta). Numerosi occhi sono posti su tre cerchi verdi intrecciati, tutti muniti di ali, anch’esse dotate del dono del vedere, nell’immagine evocante la Trinità nel ciclo di affreschi (fine XIV - inizi XV secolo) della chiesa di Santo Stefano a Soleto (Lecce).


Le sue sei ali rosse e giallo-oro ricoperte di occhi rimandano anche all’arte della preveggenza e allo sguardo contemplativo


Serafino (probabilmente XIV-XV secolo), isola del lago d’Orta (Novara), basilica di San Giulio.

Di notevole impatto visionario e poetico è l’immagine di Dio miniata nel Libro d’ore di Louis de Laval (XV secolo), sia nella scena della Divisione del firmamento sia in quella della Separazione della luce dalle tenebre: il Creatore è in sospensione nell’universo, nell’atto di dare forma a un grande occhio cosmico, dove il cerchio della pupilla è costituito dall’oscurità profonda mentre l’iride è formata dalle schiere angeliche.
E qui pare che l’atto della separazione della luce e delle tenebre corrisponda con l’inizio del vedere, con tutte le sue complessità ed evoluzioni, nella formazione di un occhio universale, che comincia a vedere ciò che la mente ha immaginato prima della creazione di tutte le possibilità delle forme viventi.


Cherubino (XI secolo), isola di Torcello (laguna veneta), basilica dell’Assunta.

Separazione della luce dalle tenebre, dal Libro d’ore di Louis de Laval (XV secolo), Parigi, Bibliothèque nationale de France.

ART E DOSSIER N. 371
ART E DOSSIER N. 371
DICEMBRE 2019
In questo numero: L'ANNO CHE VERRA'. Le celebrazioni di Raffaello. CURIOSITA' ICONOGRAFICHE. Un occhio ci guarda dal cielo. MAGONZA. Una capitale per molti imperi. IN MOSTRA Training Humans a Milano; Betye Saar a New York; Blake a Londra; Da Artemisia a Hackert a Caserta; De Hooch a Delft; Maes all'Aja; Giulio Romano a Mantova; La collezione Alana a Parigi.Direttore: Philippe Daverio