La pagina nera


UNA MOSTRA AVVINCENTE?
IN ITALIA NON CONTA NIENTE


Lo scorso anno il Louvre e l’Ermitage hanno ospitato una mostra dal titolo, per noi, profetico: Un sogno d’Italia. Eh già, perché da noi quella mostra non è mai arrivata. Eppure le opere esposte provenivano, tutte, dalla collezione del marchese romano Giampietro Campana, divisa però nell’Ottocento proprio tra Francia e Russia. Un’altra opportunità mancata?


di Fabio Isman

Lo scorso anno il Louvre e l’Ermitage hanno ospitato una mostra dal titolo, per noi, profetico: Un sogno d’Italia.
Eh già, perché da noi quella mostra non è mai arrivata.
Eppure le opere esposte provenivano, tutte, dalla collezione del marchese romano Giampietro Campana, divisa però nell’Ottocento proprio tra Francia e Russia.
Un’altra opportunità mancata?

Volete mettere: un Sarcofago degli sposi da Cerveteri del 520 a.C, uno dei due esistenti, quello del Louvre (l’altro è al museo di Villa Giulia, a Roma), vicino a una delle tre Battaglie di San Romano di Paolo Uccello (erano di Lorenzo il Magnifico, ma due sono state vendute nell’Ottocento, perché ritenute “doppioni”: come l’album dei calciatori e la figurina del portiere Pizzaballa; oggi sono a Londra e Parigi). O uno dei più bei crateri da Cuma, noto appunto come la Regina Vasorum: un’hydria del IV secolo a.C. alta sessantacinque centimetri e decorata con i Misteri eleusini, accanto a un Crocifisso di Giotto alto quasi tre metri e largo oltre due. E una Vergine col Bambino di Sandro Botticelli, che guarda un polittico di Paolo Veneziano (Madonna col Bambino e santi, alto un metro); una rara Pantera del I secolo, un marmo romano di settanta centimetri, vicina a busti, ritratti e magnifici gioielli antichi; un Giove in trono, derivato da quello di Fidia a Olimpia, alto tre metri e mezzo, marmo e bronzo del I secolo, ritrovato nella villa di Domiziano a Castelgandolfo, esposto addirittura vicino a un frammento dell’Ara Pacis; cinquecento reperti in una sede, e quattrocento nell’altra. Questi, in soldoni, alcuni capolavori di due avvincenti mostre, frutto di un accordo tra Ermitage e Louvre, aperte l’anno scorso nei rispettivi musei. E l’Italia è rimasta a guardare, quantunque gli oggetti esposti provenissero tutti (ma proprio tutti) da Roma.
Erano frutto della spartizione, nell’Ottocento, della più immensa collezione al mondo di allora: quella del marchese Giampietro Campana (1808-1880), fatta vendere da Pio IX Mastai Ferretti. Contro lo smembramento si erano schierati artisti e intellettuali di mezza Europa, francesi in particolare: da Ingres a Delacroix, da Merimée a Dumas, ma invano. Per un giornale, la cessione è «un atto di vandalismo».

Fatto sta che a Napoleone III, per 812mila scudi, vanno 10.385 reperti e buona parte dei seicentocinquantadue dipinti: quattrocentotrentuno di “primitivi” e solo trentuno non italiani; le antichità, chiuse in ottocentosessanta casse; soltanto le ceramiche occupano oggi nove gallerie del Louvre; poi, ci sono gli ori antichi, rimontati dai famosi gioiellieri Castellani. Lo zar Alessandro II compra invece (per 560mila franchi) cinquecentodiciotto vasi, centonovantatre bronzi e settantotto sculture, con gli affreschi di scuola raffaellesca della villa Mattei-Spada sul Palatino.
«Fa piangere noi romani che la collezione non sia rimasta qui», annota lo studioso Giulio Quirino Giglioli (1886-1957). Il problema è che, per costituire tutto questo bendidio formato in vent’anni dal 1830, oltre dodicimila pezzi frutto anche di rilevanti scavi nel Lazio a Cerveteri e Veio (quasi quattromila soltanto i vasi), il marchese Campana non aveva esitato a utilizzare i fondi del Monte di Pietà, che dirigeva da venticinque anni: in appena tre, aveva prelevato cinque milioni di franchi. Il debito valeva quanto la raccolta, sparsa anche in cinque palazzi nel centro di Roma, usati come magazzini. Nel 1857 Campana è condannato a vent’anni, commutati in esilio perpetuo dal papa (per tredici anni Roma è ancora sotto il suo potere temporale), tutto viene venduto per rifondere l’ammanco. Il marchese corregge in prigione le bozze dell’unico catalogo della sua raccolta.
Da un secolo e mezzo, ormai, la collezione non era stata più riunita nemmeno in parte. Esposti al Louvre i gioielli nel 2005, mentre è in Francia anche la metà dei Ritratti degli uomini illustri già nello Studiolo di Federico da Montefeltro a Urbino: quattordici tavole prelevate dal cardinal legato Pietro Aldobrandini nel «palazzo in forma di città» conquistato dallo Stato pontificio, andate in eredità ai Barberini, passate quindi ai Colonna di Sciarra, e da questi cedute al marchese.
Nella Città eterna, Campana era figura delle più brillanti: di una famiglia assai ben inserita nell’“ establishment” papalino (il padre, di cui è orfano a sette anni, lo aveva preceduto al vertice del Monte; il nonno pure, ed era stato anche presidente delle galee pontificie); lo nomina marchese Ferdinando II re delle Due Sicilie; è tra i fondatori della Cassa di risparmio; a capo della Pontificia accademia d’archeologia, e socio di mille altre; presiede alla ferrovia Roma-Civitavecchia e all’integrazione di quelle del Regno di Napoli; ospita Ludwig di Baviera. Viveva nel palazzo all’angolo tra piazza del Popolo e via del Babuino, tre piani e attico, quattordici saloni. Il suo museo era «superiore a quello Gregoriano-Etrusco in Vaticano», dice una Guida inglese del 1865. E la villa al Celio, vicino al Laterano, dalla visita del papa nel 1846, mostrava all’entrata una lapide abbastanza servile: «Poiché al gran Pio di porre il piè non spiacque / in questo all’arti sacro umil recesso / a novello splendor tutto rinacque». A una lady inglese pareva «un tempio di Roma antica con ben proporzionate colonne e frontone». Vantava il primo eucalyptus in città; nel giardino aveva ricostruito una tomba etrusca e un colombario romano, con le suppellettili originali; il sito era attraversato dall’acquedotto Claudio, era pieno di reperti e rovine.
Quando Campana viene arrestato, sta trasformando in museo una villa di Vignola a Frascati: diviso in dodici “classi”, otto “antiche” e quattro “moderne”. Ma in Italia sono restate solo poche antichità a Firenze, quattrocento monete a Roma, ai Capitolini, qualcosa in Vaticano e non molto altro. Suo era perfino l’indice levato della Mano dell’imperatore Costantino, gigantesco bronzo dei Musei capitolini (pure in mostra), il cui dito è stato riconosciuto di recente. Altre opere che possedeva sono a Bruxelles e a Londra: al Victoria and Albert Museum, per dirne due, il rilievo della Consegna delle chiavi a san Pietro di Donatello e l’Annunciazione di Arnolfo di Cambio. Com’era il museo di questo fantastico collezionista, frenetico e inappagabile, lo documentano incisioni e disegni antichi; spariti invece dalla villa gli affreschi: prima d’essere distrutta, era diventata di certi frati, i quali non gradivano i nudi, di sapore, e periodo, raffaellesco.


«Fa piangere noi romani che la collezione non sia rimasta qui», annota lo studioso Giulio Quirino Giglioli (1886-1957)


Arte etrusca, Sarcofago degli sposi (520 a.C.), Parigi, Musée du Louvre.

Dopo la condanna, Campana si propone ai Borbone come direttore del museo di Napoli, invano; va a Firenze e in tutt’Europa; vende quanto aveva sottratto alla confisca; nel 1871 torna in Italia, a Firenze e poi, in poche stanze, a Roma. Cerca invano di avere un rimborso, prima dal papa, poi dal neonato Stato italiano, ma muore alla vigilia del nuovo processo.
Dunque, questa mostra imperniata sull’ex collezione del marchese Campana è volata da Parigi a San Pietroburgo, ma senza atterrare a Roma. In entrambe le sedi è stata intitolata Un sogno d’Italia: appunto, soltanto un sogno.
«Ci spiace davvero che la penisola non abbia ottenuto questa esposizione», dice Maurizio Cecconi, segretario generale di Ermitage Italia. In realtà, un passaggio nella capitale italiana era stato perfino preannunciato dal direttore del Louvre, Jean-Luc Martinez, e una proposta per ospitarla c’era stata, ma poi non è stata coltivata, e non se n’è fatto più nulla. Un’occasione sprecata? Un’ennesima prova di grande incapacità, oppure di esiziali rivalità? Fate voi; certo, il risultato per noi è affatto penoso. Pardon: “penible”, come dicono i francesi, e in russo chissà come si traduce.


Vittore Carpaccio, Sacra conversazione (1500 circa), Avignone, Musée du Petit Palais.


Afrodite ed Eros (III secolo), copia romana da un originale greco, San Pietroburgo, Ermitage.

ART E DOSSIER N. 371
ART E DOSSIER N. 371
DICEMBRE 2019
In questo numero: L'ANNO CHE VERRA'. Le celebrazioni di Raffaello. CURIOSITA' ICONOGRAFICHE. Un occhio ci guarda dal cielo. MAGONZA. Una capitale per molti imperi. IN MOSTRA Training Humans a Milano; Betye Saar a New York; Blake a Londra; Da Artemisia a Hackert a Caserta; De Hooch a Delft; Maes all'Aja; Giulio Romano a Mantova; La collezione Alana a Parigi.Direttore: Philippe Daverio