Quello che è certo è che con la Conquista la cultura azteca fu totalmente azzerata, con buona pace di coloro che, soffermandosi su qualche etnema marginale e desemantizzato o qualche frammento della cultura dei ceti subalterni, sostengono che lo strappo della Conquista si ricompose rapidamente.
Scomparve così una cultura che, a differenza dell’immagine, in parte coltivata dagli stessi Aztechi e poi enfatizzata dai vincitori (questa sì è una vera “leyenda negra” dura a morire), aveva realizzato un impero estremamente tollerante nei confronti delle popolazioni conquistate, che, in cambio di un tributo, erano protette da eventuali vicini ostili e potevano continuare ad autogovernarsi mantenendo la loro lingua e le loro tradizioni. Scomparve, soprattutto, una cultura in cui l’arte aveva un ruolo centrale. Scomparve anche, cosa messa in evidenza dalle più recenti ricerche di genere, una società che riconosceva alle donne, sia a livello ideologico che nella vita quotidiana, condizioni di gran lunga migliori di quelle dell’Europa del Cinquecento.
Certo i sacrifici umani, seguiti spesso dal consumo della carne dei sacrificati, suscitano in noi uomini e donne del XXI secolo una profonda repulsione, ma nel dare questo giudizio non dobbiamo dimenticare che, per ragioni diverse, suscitano in noi profonda repulsione anche i roghi di chi veniva bruciato vivo per interpretazioni eterodosse di alcuni passi della Bibbia. Pertanto, l’esposizione del Linden-Museum è una preziosa occasione per scoprire una cultura di enorme interesse e di grande attualità.
Nel complesso sono presentate oltre duecento opere, provenienti da musei europei e, soprattutto, da musei messicani perché, come ha dichiarato Inés de Castro, la direttrice del Linden, per la realizzazione della mostra è stata essenziale la collaborazione con l’INAH (Instituto Nacional de Antropología e Historia), che ha dato la possibilità di presentare, in alcuni casi, pezzi appena scavati e mai esposti.
«Io», ha dichiarato ad “Art e Dossier” Doris Kurella, conservatrice del Linden, che ha curato la mostra assieme a Martin Berger del Museo di Leida (in effetti la mostra è una coproduzione tra i due musei), «sono orgogliosa di essere riuscita a fornire un quadro completo e articolato dell’impero azteco, mettendo in evidenza le popolazioni che vivevano nel suo territorio, la religione e l’ideologia imperiale. In particolare, sono orgogliosa del fatto che noi siamo riusciti a presentare una visione a tutto tondo della cultura azteca, senza limitarci alla religione o all’arte, come è stato spesso fatto in passato».
Per quanto in una mostra così articolata sia difficile segnalare le opere di maggiore importanza, devono essere messi in primo piano gli scudi decorati con piume riservati ai guerrieri dell’élite.
Si tratta di reperti fascinosi e rarissimi. In tutto il mondo ne sono rimasti quattro, due sono al Landesmuseum Württemberg di Stoccarda, uno al Weltmuseum Wien di Vienna e uno al Museo Nacional de Historia Castillo de Chapultepec di Città del Messico.
Tra le opere in materiale organico, inoltre, si deve segnalare una scultura in legno decorata con un mosaico di turchese e conchiglie proveniente dal Statens Museum for Kunst di Copenaghen. Raffigura Xolotl, una divinità dalle molte sfaccettature, spesso associata all’Inframondo. È un pezzo unico, come quasi tutti i reperti di questo tipo, che erano difficili da conservare e facili da distruggere, come fecero gran parte dei missionari che cercarono di cancellare ogni traccia della cultura materiale degli Aztechi.