Studi e riscoperte. 3
Le grottesche agli Uffizi: il corridoio di levante

UN SOFFITTO
BRULICANTE DI VITA

Figure bizzarre, fantastiche, mostruose, ludiche, allegoriche, nude o seminude, trionfano nelle volte del corridoio di levante delle Gallerie degli Uffizi, affrescate nel 1581 perlopiù dal fiorentino Alessandro Allori. Un ciclo di grottesche di carattere profano, difficilmente decifrabile già nel Seicento.


Valentina Conticelli

Dipinto per volere del granduca Francesco I de’ Medici, il ciclo di grottesche del corridoio di levante è uno dei più estesi del Cinquecento toscano e costituisce un vero e proprio preludio alla formazione della raccolta museale degli Uffizi. La decorazione detta “a grottesca” nasceva dall’imitazione di pitture antiche, che si ritenevano, perlopiù, originariamente ubicate in luoghi sotterranei, simili alle grotte. Rintracciate a Roma sul finire del Quattrocento, esse avevano dato vita a un nuovo genere di decorazione che ne imitava le caratteristiche producendo un acceso dibattito tra i trattatisti. Era soprattutto l’accostamento di figure fantastiche, bizzarre, mostruose e in metamorfosi a immagini realistiche su sfondi o cornici del tutto irreali e privi di peso a essere criticato, perché in contrasto con il principio di verosimiglianza cui avrebbe dovuto attenersi la pittura. Alcuni interpreti inoltre le giudicavano come raffigurazioni esclusivamente fantastiche, del tutto mancanti di significato, e ciò costituiva un ulteriore motivo di critica.

All’epoca in cui furono affrescate le volte del museo fiorentino, nel 1581, la Galleria non esisteva ancora: il “corridore” era un solo loggiato, posto al secondo piano della Fabbrica che riuniva le magistrature delle arti fiorentine, e faceva parte della via aerea che permetteva di raggiungere Palazzo vecchio da palazzo Pitti e viceversa. Il loggiato fu chiuso con infissi e finestre solo nel 1582, forse per proteggerne gli affreschi, ma anche perché, a partire dalla loro esecuzione, il “corridore” cominciò a mutare radicalmente la propria funzione da semplice passaggio e divenne un luogo dove si conservavano e producevano opere d’arte.


Soluzioni iconografiche insolite e tematiche originali, licenziose, allusive oppure esplicite nei contenuti erotici

La decorazione si estende su quarantasei campate, scandite da un cassettone stretto e lungo ogni tre volte a padiglione. Al termine, l’opera si conclude con una grande volta a crociera, affiancata da una campata con un finto pergolato. La maggior parte dei soffitti venne dipinta da Alessandro Allori con l’aiuto di alcuni collaboratori principali, quali Alessandro Pieroni, Giovanni Bizzelli, Ludovico Buti, Giovanni Maria Butteri e Ludovico Cigoli. Oltre ad Allori, il cui intervento è testimoniato dai suoi Ricordi, si è riconosciuta nel ciclo di levante anche la mano di Antonio Tempesta cui sono stati attribuiti i primi quattordici affreschi.

Al lungo tragitto del corridoio corrisponde un complesso discorso per immagini che segue il ritmo quaternario delle volte. I soggetti della vastissima impresa decorativa presentano un carattere esclusivamente profano, miti e allegorie sono costantemente avvicinati all’elemento fantastico con grande libertà espressiva. L’aspetto ludico, la ricerca del meraviglioso e del mostruoso sono prevalenti sul dettaglio antichizzante e sugli elementi antiquariali, che sembrano avere poco rilievo specie nelle campate attribuite ad Antonio Tempesta. Vi si perseguono soluzioni iconografiche insolite e tematiche originali, licenziose, allusive oppure esplicite nei contenuti erotici, secondo il canone tipico della grottesca. La miriade di figurazioni che si dipana in un cammino lungo circa centocinquanta metri crea spaesamento in chi vi ricerca una direzione, anche perché le figure principali non sono orientate verso lo spettatore in modo uniforme e sono circondate da immagini volutamente enigmatiche, oniriche all’apparenza, in cui sembra impossibile a prima vista cogliere un percorso tematico.

Oltre a una moltitudine di immagini fantastiche e mostruose, le campate presentano precisi indicatori iconografici che evidenziano il ricorrere dei significati, collocati, nella maggior parte dei casi, entro un cerchio nel punto focale di ciascun soffitto, cioè al centro. Sono figure allegoriche, miti o simboli e i loro singolari attributi, posti sul capo, sulle membra o sulle vesti, li rendono stravaganti e simili alle creature oniriche che le circondano. I primi a provare a decifrarli furono i segretari del principe Leopoldo de’ Medici, intorno alla metà del Seicento, che nell’ideare il programma per il terzo corridoio cercarono di decrittare i contenuti del primo di levante utilizzando l’Iconologia di Cesare Ripa e riuscendovi parzialmente.


Atlante del cielo, campata 27, Fatica con Atlante che regge il cielo e la terra.

Coppia di satiri amichevoli, campata 26, Amicizia.


Allegoria del piacere disonesto, campata 25, Felicità con Piacere onesto e disonesto.


Putto che gonfia una palla, campata 30, Ascesa del monte della Virtù.

Il tema proposto dalle figure centrali viene coniugato con altre allegorie e/o miti situati negli altri punti principali del soffitto, al centro dei quattro lati o lungo le diagonali, sì da formare in ogni campata delle reti di legami concettuali simmetrici o contrapposti. Lo spazio restante è occupato da draghi, mostri, chimere, sfingi, arpie, satiri, tritoni, scille, sirene, animali veridici e fantastici, accenni satirici e osceni che suggeriscono, alludono, ripropongono o si oppongono al tema principale. Le undici campate strette, invece, alternano motivi araldici ad allegorie e figure mitologiche sempre in rapporto o in contrasto con le tematiche adiacenti.

Ciascun gruppo di quattro campate svolge un segmento del discorso simbolico, le cui frasi si formano unendo le elusive “parole” figurate, poste al centro di ogni soffitto, alle altre immagini “parlanti” di ciascuna campata, e poi, affiancando i soffitti, si organizzano i “periodi” che formano il percorso celebrativo, cosmologico, erotico e morale della decorazione. Il gioco enigmatico delle immagini si apre alla comprensione appena si intuisce qual è il filo conduttore che ne dipana l’oscurità: tiratone un capo le figure si scoprono una dietro l’altra come se si togliessero un velo, generando una sensazione di stupore.


Pecunia, campata 29.

Tuttavia, la loro natura ambigua, sfuggente e polisemica non si esaurisce mai del tutto e nell’interpretazione permane sempre una sensazione di vaghezza. Nei primi otto soffitti, percorrendo il loggiato nell’attuale senso di visita del museo (da nord verso sud), prevalgono i temi della celebrazione dinastica con la presenza dei simboli araldici della famiglia Medici, quali il giglio, la palla, la corona e lo scettro. A partire dal nono invece dominano i soggetti di carattere cosmologico che si estendono fino al quindicesimo con la raffigurazione della dea Natura, dell’armonia del cosmo, degli 66 astri principali, delle divinità preposte alla salute e dei quattro temperamenti. Seguono concetti legati all’amore e alle nozze, con Eros, le allegorie del singolo e della coppia, lo stemma dei granduchi, la genealogia degli dèi, la vittoria degli innamorati, le imprese di Francesco e Bianca Cappello (seconda moglie del granduca), la Fama e la dea della Verginità che presiede alle unioni e alle nascite.

Infine, a partire dalla campata 25, triadi di virtù e vizi dominano la seconda parte del corridoio. Qui si osserva una particolare dinamica concettuale: il soffitto centrale di ogni gruppo di tre campate mostra un concetto allegorico che media tra due estremi opposti raffigurati nelle campate adiacenti, svolgendo di conseguenza una funzione “temperante” nei confronti delle “imagines” allegoriche che la circondano.


Antevorta, campata 31, La dea Antevorta con Filemone e Bauci, Enea ed Anchise.

Un esempio per tutti è l’immagine centrale della campata 30, che rappresenta l’ascesa dei virtuosi al monte della Virtù, cui assistono Sapienza, Fortezza e Pazienza. L’ascesa al monte della Virtù si trova a mediare tra la volta dedicata all’allegoria di Pecunia e quella della dea romana Antevorta, conciliando così il tema dei beni mondani rappresentati da Pecunia (con esempi di eccessiva prodigalità) e la sapienza preveggente di Antevorta (che invece è caratterizzata da lungimirante accortezza). Questo meccanismo triadico rimanda al concetto di virtù come conciliazione tra due vizi opposti, uno per eccesso e l’altro per difetto, già espresso da Aristotele nell’Etica Nicomachea. Nel Cinquecento, triadi di virtù e vizi, o di sole virtù sono descritte nelle Pitture del Doni e dipinte a Villa d’Este a Tivoli, oppure, per citare un solo esempio fiorentino, nella decorazione della villa di Poggio a Caiano, molto vicina al nostro ciclo. Un caso a parte è costituito dalla terna di campate posta al centro del corridoio, dove, invece che una virtù centrale affiancata da suoi opposti, sono rappresentate tre virtù.

L’andamento triadico delle campate, con l’esaltazione concettuale di un terzo elemento “prudente” (in quella centrale), mediatore tra i due estremi (in quelle laterali), si muove nel solco del “festina lente” (affrettati lentamente) mediceo, l’ossimorico detto che fu tra le imprese principali di Cosimo I. Raffigurato in innumerevoli varianti iconografiche, dalla tartaruga con la vela alla classica personificazione della Temperanza, sia in Palazzo vecchio che nelle residenze medicee, questo concetto, ricco di significati filosofici e morali, esprime il modello di comportamento virtuoso cui si deve attenere il principe, seguendo una conciliazione temperante di opposti, ovvero l’“aurea medietas” politica. Le grottesche del 1581 costituirono un riferimento compositivo costante per il ciclo realizzato a partire dalla metà del Seicento nel corridoio di ponente e per la decorazione di altre stanze della Galleria fino alla seconda metà dell’Ottocento.


Centauro informe sacrificante, campata 23, Fama con Ercole e Apollo.

SU LA TESTA!
Pochi alzano la testa per guardare il soffitto, agli Uffizi, ma le volte dei corridoi della galleria fiorentina sono davvero particolari. Il primo corridoio, quello sul lato Est, fu affrescato fra il 1579 e il 1581 da Antonio Tempesta, inizialmente, e poi da Alessandro Allori e bottega. Le decorazioni sono “a grottesca”, secondo una moda allora recente ma derivata dall’antichità romana. I soggetti sono ricchi di simbologie complesse, episodi curiosi e figurine appunto buffe, grottesche, bizzarre. La decorazione dei due corridoi successivi (Sud e Ovest) fu completata nel Sei-Settecento. Questo volume di Valentina Conticelli, di particolare eleganza, ricco di dettagli e di grandi immagini inedite, racconta la storia della decorazione del complesso e rivela i segreti significati di ogni campata dipinta, conducendoci in un mondo immaginario, sospeso tra realtà e mitologia. Le grottesche degli Uffizi, Giunti Editore, 416 pagine, 90 euro.

ART E DOSSIER N. 370
ART E DOSSIER N. 370
NOVEMBRE 2019
In questo numero: Palazzo Grimani La collezione del patriarca. Eros e Bellezza Giù le mani da Susanna. Elogio della curva. Se la grottesca accende la fantasia. In mostra:Bacon a Parigi. Chagall, Picasso, Mondrian ad Amsterdam. Goncarova a Firenze. Rembrandt e Velázquez ad Amsterdam. Gli aztechi a Stoccarda.Direttore: Philippe Daverio.