Studi e riscoperte. 2
Susanna e i vecchioni: citazioni letterarie e iconografiche

L’EROS SI TINGE
DI GIALLO

L’episodio biblico di Susanna e i vecchioni contenuto nel Libro di Daniele è stato oggetto di numerose interpretazioni letterarie e artistiche tra erotismo e castità, verità e menzogna, giustizia e salvezza, libido e carnalità.


Roberto Middione

Una breve vicenda di prevaricazione e lussuria, infine di giustizia, occupa il capitolo 13 del Libro di Daniele, dando vita al più eccitante racconto che la Bibbia tramandi. È lo scontro tra Susanna e i vecchioni, composto verso la metà del II secolo a.C. da un autore ebreo anonimo, assente nel testo ebraico e presente in due versioni in greco dei Settanta e di Teodozione. Il brano fu conservato nella Vulgata di san Girolamo, alla fine, mentre nelle versioni greche è collocato all’inizio a titolo di antefatto.
I percorsi di lettura e di immaginazione sono infiniti. La storia di Susanna ci parla di castità, erotismo, vizio, menzogna, giustizia, salvezza - il nome si basa sul termine ebraico “shoshanah”(giglio) e l’intero episodio potrebbe avere spazio tra i versetti del Cantico dei cantici - e ci si presenta in una varietà estrema di citazioni e proposte, letterarie e figurative.


Susanna drappeggiata in un broccato tanto prezioso da non farci rammaricare per la sua nudità appena accennata

Tuttavia con un triplice sviluppo di interpretazione e interesse: in età medievale (prime tracce della storia risalenti al III e IV secolo si intravedono sui muri delle catacombe di Callisto e Priscilla a Roma) in sintonia col racconto biblico l’episodio è visto come esempio di virtù e salvezza; nel pieno Cinquecento e nel Seicento diventa espediente tra committenti e artisti per poter raffigurare, liberamente ed esplicitamente, un generoso nudo femminile; in seguito ne viene accentuato il contenuto di giustizia (esemplare Susanna davanti a Daniele, 1726, di Sebastiano Ricci conservato alla Galleria sabauda di Torino) anche nei suoi aspetti processuali.

La storia si svolge nel VI secolo a.C. Due anziani, considerati giudici saggi, si invaghiscono della bella moglie di Ioakìm, ricco ebreo di Babilonia al tempo di Nabucodonosor. A lungo la seguono e infine la sorprendono nel giardino della sua casa da sola, avendo Susanna mandato le ancelle a prendere i profumi per il bagno. La invitano a concedersi a entrambi, altrimenti avrebbero sporto denuncia, falsa, per adulterio.

A quel punto, dice la Bibbia, «Susanna piangendo esclamò: “Sono alle strette da ogni parte; se cedo è la morte, se rifiuto non potrò scampare alle vostre mani.


Paolo Veronese, Susanna e i vecchioni (1580 circa), Madrid, Museo Nacional del Prado.

Meglio però cadere innocente che peccare davanti al Signore”». Susanna viene giudicata dal popolo e condannata alla lapidazione. Ma il giovane Daniele interviene, rimproverando la folla per un’esecuzione sommaria a danno di un’innocente. Accusa i due giudici di falso e li interroga separatamente, facendoli cadere in contraddizione. Alla fine Susanna è salva mentre i due accusatori subiscono la pena destinata alla donna.

La storia è potente e raffinata; giardino, preparazione al bagno, stupro visivo, trappola accusatoria, eros e timor di Dio, prove infondate e vere, giudizio umano e divino, condanna e salvezza, sono segmenti geometrici del primo giallo giudiziario a sfondo erotico in cui i colpevoli sono i giudici stessi (unico caso in cui la vecchiaia, solitamente accomunata a saggezza e continenza, diventa paradigma di sopraffazione e vizio). Parabola morale e fiaba di alto livello, ha avuto nel tempo un successo travolgente: nel Trecento l’inglese Chaucer la cita nel suo Racconto dell’uomo di legge e Shakespeare ne ripropone la struttura nel finale del Mercante di Venezia. Le tappe in pittura sono infinite; ma i percorsi iconologici trovano strade diverse.

Dopo gli antefatti di Lotto, Luini, Altdorfer, l’episodio si codifica nelle opere dei grandi veneti della seconda metà del Cinquecento. Nel Tintoretto del Kunsthistorisches Museum di Vienna, del 1555-1556, pieno di fiori, animali, vasetti di unguenti, gioielli, la figura della giovane, quasi distratta, è di una nudità abbagliante (uno specchio di taglio lascia immaginare scorci inediti), mentre i due giudici, posti su piani differenti, la spiano nascosti ai lati di una siepe di rose.


Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni (1610), Pommersfelden, Kunstsammlungen Graf von Schönborn.

Negli analoghi dipinti del Prado, del Louvre, di Washington Tintoretto non raggiungerà più uno splendore così esibito. Sarà il Veronese del Prado, attorno al 1580, a ribadire lo sfoggio di eleganza e ricchezza ambientale, in un giardino di delizie dominato sullo sfondo da una possibile villa veneta del Brenta, tra giochi d’acqua e protomi leonine, con una Susanna a diretto colloquio coi vecchi, drappeggiata in un broccato tanto prezioso da non farci rammaricare per la sua nudità appena accennata (altri suoi esemplari coevi sono al Kunsthistorishes Museum di Vienna e al Palazzo bianco di Genova, quest’ultimo con il tipico cagnolino e un’erma di satiro che accentua la scabrosità della scena). E in area fiorentina spicca almeno un’opera di Alessandro Allori, del 1561, squillante di colori e dettagli, in cui il contrasto psicologico, l’acme drammatica cedono il passo all’erotismo di maniera: Susanna più che respingere i due vecchi, di fatto già avvinghiati a lei, sembra accoglierli in un tipico esempio di opera decorativa destinata all’élite dell’epoca.

Ma nei primi decenni del Seicento il livello cresce di tono, suggerendo altre letture iconologiche. Il dipinto di Artemisia Gentileschi a Pommersfelden è datato 1610, quando l’artista aveva diciassette anni anni, ma è probabile che sia successivo, presentato dal padre Orazio come segno di genialità precoce della figlia o retrodatato dalla stessa Artemisia a titolo di premonizione dello stupro - reale stavolta - subito da Agostino Tassi nel febbraio 1612.


Un nudo d’accademia che emana una castità di irresistibile sensualità


Alessandro Allori, Susanna e i vecchioni (1561), Digione, Musée Magnin.

In equilibrio tra Caravaggio e Carracci, la composizione si distingue per un’estrema essenzialità: non si vede il giardino, non vi sono le ancelle, le tre figure sono raccolte in un modulo compatto piramidale (già sperimentato in uno splendido Rubens del 1607- 1608 alla Galleria Borghese di Roma); la sensazione di oppressione, anche psicologica, è accentuata dalla chiusura del muretto che separa la donna dagli aggressori. È evidente il risvolto autobiografico, essendo l’opera eseguita, probabilmente, poco dopo lo stupro (il personaggio più giovane coi capelli neri indicherebbe proprio l’autore della violenza, Agostino Tassi). Gli esemplari successivi di Artemisia - l’uno del 1622, conservato alla Burghley House di Stamford, l’altro del 1649 alla Moravská Galerie di Brno (Repubblica Ceca), realizzati dopo il viaggio in Inghilterra e il ritorno a Napoli - sono più articolati, emergono il giardino e diversi dettagli, i vecchi hanno vesti sgargianti, ma la tensione drammatica si è ridotta e l’apparato di contorno distoglie dal fulcro dell’evento. Tuttavia in altri artisti del Seicento, emiliani o del giro naturalistico - oltre a un favoloso Rembrandt del 1636 - ritroviamo la concentrazione tragica, l’essenzialità dell’opera di Artemisia Gentileschi.


Guercino, Susanna e i vecchioni (1649-1650), Parma, Galleria nazionale.

C’è un Reni degli anni Venti alla National Gallery di Londra, per niente castigato (frutto della chiara richiesta della committenza, viste le consuetudini pudibonde dell’artista), un Guercino del 1649-1650 alla Galleria nazionale di Parma, un Gerrit van Honthorst (Gherardo delle Notti) del 1655 alla Borghese (particolarmente crudo: la ragazza sembra una serva aggredita da malintenzionati), un livido Mattia Preti degli anni Cinquanta in cui è azzerato ogni abbellimento ambientale. Opere in cui la messa a fuoco sull’evento, la definizione dei profili, l’asciuttezza dei dettagli predominano, pur a fronte dell’esibizione di prorompenti nudi femminili (da notare che le fonti non parlano di Susanna vista nuda: lei chiede alle ancelle di portare gli unguenti e chiudere la porta del giardino, poiché ha intenzione di fare il bagno).

Susanne dell’Arcadia del XVIII secolo, ci fermiamo sulla nota Susanna al bagno di Hayez (1850, Londra, National Gallery), esemplata sulla statuaria ellenistica e con dolcezza di incarnato degna di Ingres.


Gerrit van Honthorst (Gherardo delle Notti), Susanna e i vecchioni (1655), Roma, Galleria Borghese.

Siamo all’archetipo, alla protagonista assoluta sufficiente a se stessa, al nudo d’accademia che - splendido ossimoro - emana una castità di irresistibile sensualità. La dicotomia spirito-materia diventa ambiguità sacro-profano se si riconosce per questa Susanna l’antefatto della Maddalena penitente di Canova - a palazzo Doria Tursi di Genova, della fine del Settecento - punto d’incontro tra essenza della forma, magnetismo psicologico, magia estetica (Hayez nel 1825 e nel 1833 si era cimentato con la nudità di una Maddalena, la prima di collezione privata, la seconda, chiaro riferimento a Canova, conservata alla Galleria d’arte moderna di Milano).

Stirando oltre misura la nostra curiosità lungo la linea di un’iconologia per sottrazione, un ultimo flash lo troviamo alla fine del Novecento in un divertente disegno scarnificato di ogni motivo d’ambiente ma dominato da una delle tante irresistibili “grassone” di Botero, con i due vecchi giudici ridotti a caricature di guardoni occhieggianti tra il fogliame.


Francesco Hayez, Susanna al bagno (1850), Londra, National Gallery.

ART E DOSSIER N. 370
ART E DOSSIER N. 370
NOVEMBRE 2019
In questo numero: Palazzo Grimani La collezione del patriarca. Eros e Bellezza Giù le mani da Susanna. Elogio della curva. Se la grottesca accende la fantasia. In mostra:Bacon a Parigi. Chagall, Picasso, Mondrian ad Amsterdam. Goncarova a Firenze. Rembrandt e Velázquez ad Amsterdam. Gli aztechi a Stoccarda.Direttore: Philippe Daverio.