Camera con vista


BLOW UP, L’AVVENTURA
DELLO SGUARDO

di Luca Antoccia

Rarissime volte cinema, fotografia e pittura sono venuti così strettamente a contatto come in Blow up (1966) di Michelangelo Antonioni. Un libro della casa editrice Contrasto dal titolo Io sono il fotografo. Blow up e la fotografia (2018) tratteggia questa irripetibile avventura dello sguardo. Apprezzabile tanto più se si legge il testo d’apertura, il racconto di Julio Cortázar, Le bave del diavolo, così diverso e lontano eppure in misteriosa sintonia col film. Ma a illuminare la genesi di questa fedelissima infedeltà c’è a seguire il soggetto scritto da Antonioni, prima della sceneggiatura a due mani con Tonino Guerra. Poi, come in un continuo ingrandimento, parallelo a quello celebre del film, segue il testo di un questionario dettagliatissimo che Antonioni redasse, da distribuire a fotografi e pittori per capire le loro abitudini, gusti, preferenze estetiche e sentimentali. Insomma tutto ciò che potesse servire per delineare il profilo del protagonista Thomas (David Hemmings) e dare allo stesso credibilità. Nel volume troviamo anche una relazione del critico d’arte Anthony Haden-Guest sui fotografi dell’East End londinese che ci dice molto sull’ampiezza del lavoro preparatorio di Antonioni e della sua produzione (utilmente accostato a Francis Wyndham, presente nello stesso libro con un reportage sui fotografi di moda dell’East End).

C’è poi un saggio di Walter Moser (critico e curatore del dipartimento di fotografia dell’Albertina di Vienna) contenente una descrizione dei fotografi coinvolti in vario modo nel film: Brian Duffy, Terence Donovan, David Bailey, che Wyndham aveva intervistato nel 1964 e il produttore Carlo Ponti aveva utilizzato come base per la parte fotografica del film. Sempre per dare autenticità al protagonista del film, i primi tre autori sono serviti ad Antonioni per la loro vita e i loro atteggiamenti, mentre altri come John Cowan e Don McCullin sono stati utili l’uno per il modo di fotografare e l’altro per le foto “sociali” dell’East End (non va dimenticato che Thomas è un fotografo di moda frustrato attratto dal fotoreportage). Cowan fu consulente di Antonioni e McCullin è l’autore delle celebri foto del parco, presenti nel film (miracolosamente riapparse nel 1996 quando furono acquistate da Philippe Garner, vicepresidente di Christie’s). Ed emerge così un’iconografia dettagliata delle inquadrature di Blow up, rafforzata dal meticoloso e prestigioso apporto dei fotografi di scena tra i quali almeno occorre citare ancora Arthur Evans, Lord Snowdon, Eve Arnold e lo stesso McCullin. Moser illumina anche il ruolo di pittori come Richard Hamilton, di cui si segnala l’affinità di procedimento con gli ingrandimenti del film, e quello di Ian Stephenson i cui quadri sono mostrati nel film nello studio dell’amico Bill come sue creazioni. Insomma il libro delinea il perfezionismo “orizzontale”, di contesto (ovvero intorno alla costruzione della pellicola) di Antonioni pari a quello più celebre, verticale (dentro la singola inquadratura), di Luchino Visconti.


Una foto del set.

ART E DOSSIER N. 369
ART E DOSSIER N. 369
OTTOBRE 2019
In questo numero: Save Italy Una villa torinese, misteriosa e abbandonata. L'intervista Cesare Viel, performer. Trea gioco e design La lunga storia dei libri aniimati. Van Gogh inatteso L'artista si diverte. Le forme del caso Paraeidolia: quando l'arte inganna il cervello. In mostra: Le fotografie di Eve Arnold ad Abano Terme, Peggy Guggenheim a Venezia, De Chirico a Milano, Signorini a Firenze, Tessuti ebraici a Firenze.Direttore: Philippe Daverio