La pagina nera

UNA VILLA ACCIACCATA
DALLA GLORIA ORMAI PASSATA

Sulle colline torinesi langue uno splendido stabile del Seicento, rimaneggiato nel Sette-Ottocento e, c’è chi dice, anche nel Novecento. In disuso, pare, dalla fine del secondo conflitto mondiale, è stato teatro nel 2007 di alcune scene del film La terza madre di Dario Argento. Nessuno lo ripara: risulta in vendita in uno stato di assoluta decadenza.


di Fabio Isman

Èdel 1635: venti locali, su tre piani, duemila metri quadrati coperti e centomila di parco, sulla collina torinese alla destra del Po; non troppo lontano dalla dimora che fu di Cesarina e Riccardo Gualino, grandissimo imprenditore e collezionista avversato da Mussolini, e poco oltre i corsi Moncalieri e Giuseppe Lanza. Una villa favolosa, con logge, saloni e scaloni, che però, dopo un passato insigne, è in completo disarmo. Non la protegge alcun vincolo specifico: l’unico che la difende è quello paesistico, applicato al verde attorno all’ex capitale savoiarda. Le notizie sul suo passato non abbondano: è stata voluta da Ludovico San Martino d’Agliè, letterato e politico, che la lascia al nipote Filippo. Erano marchesi di San Damiano, Rivarolo e Bosconero, conti di Point. Ludovico era intimo del cardinale Maurizio di Savoia, lo accompagna a Roma e in Francia; era pure un autore di teatro, famoso e acclamato.

Filippo è invece celebre per un duello, quando non era ancora ventenne, e per la fedeltà a Maria Cristina di Borbone-Francia, moglie di Vittorio Amedeo I: quando, dopo la morte del marito, lei diventa reggente, la prima delle due “Madame reali” torinesi, Filippo ne è il più vicino collaboratore e forse, anche il marito segreto. Lo scrive, a Roma, il nunzio pontificio: «Si dice che Madama abbia segretamente sposato il conte Filippo e dormano insieme quasi ogni notte e pare che ve ne siano riscontri»(*). Secondo alcuni, sarebbe perfino figlio suo Carlo Emanuele II. Comunque, viene incarcerato per due anni dal cardinale Richelieu quando le mire francesi su Torino si fanno più concrete. Come da suo desiderio è sepolto, con il saio, non lontano dalla villa, al monte dei Cappuccini, «nel più abbietto et vile sito del convento». Filippo trasforma anche il castello di Agliè: da luogo fortificato che era, ne fa una dimora imponente e quanto mai scenografica.

Del dopo della villa, dove Ludovico morì nel 1646, si sa invece assai poco. È passata per varie proprietà: dal nome di alcuni precedenti possessori, è indicata anche come Imperiali Becker “già San Germano”.

Tutto devastato, infiltrazioni di umidità sui soffitti, loggiati invasi dalla sporcizia, i sotterranei inquietanti


Sicuramente subisce abbondanti rimaneggiamenti, nel Sette e Ottocento. Secondo alcuni studi del Politecnico di Torino, già nel 1760 circa la Carta topografica della caccia «descrive l’impianto aulico a manica allungata con corpi aggettanti e accesso laterale da Strada del Righino. Fondamentale il disegno del giardino, disposto a monte su emicicli sovrapposti e prospettiva finale». Nel 1790 l’architetto Giovanni Lorenzo Amedeo Grossi nella Carta corografica dimostrativa del territorio della città di Torino la cita, con la vigna, e parla di due terrazze, «di cui una dà accesso alla cappella». Fino a quel momento era ancora campagna: l’urbanizzazione della collina torinese risale infatti al periodo tra la fine dell’Otto e gli inizi del Novecento, quando è pervasa dalle residenze nobiliari e altoborghesi.


Uno degli ambienti della villa, in completa rovina.

Oggi, spiega la soprintendente Luisa Papotti, l’ex dimora dei San Martino «è un delizioso falso rinascimentale ». Vi si rincorrono differenti stili, anche il neoclassico e l’eclettico. Per alcuni, vi sarebbe stata, in una ristrutturazione attorno al 1910, perfino la mano di Pietro Fenoglio, torinese e tra i maggiori interpreti del Liberty in Italia; sue, per citarne appena un paio, la non lontana villa Scott, e casa Le Fleur, ideata per la propria famiglia però mai abitata, che prende infatti il nome dal primo acquirente. La villa di cui parliamo, invece, sarebbe andata in disuso dopo la seconda guerra mondiale; c’è chi ricorda che fu anche sede di un distaccamento delle SS durante il conflitto. Tra i primi a riscoprirla è stato Dario Argento, legato a Torino e maestro del genere “noir”: nel 2007 vi ha ambientato alcune scene del suo film La terza madre (a villa Scott, invece, nel 1974 alcuni spezzoni di Profondo rosso). Del resto, la sua cornice è davvero degna, oggi, di una pellicola del filone “horror”: intonaci esterni totalmente da ridipingere, interni ancora affrescati, ma assolutamente devastati, infiltrazioni di umidità palesi sui soffitti, loggiati invasi dalla sporcizia. I sotterranei sono inquietanti e, ovviamente, bui, con il pavimento ricoperto di fango; c’è anche una sorta di piccola grotta, servita ad Argento come catacomba. Si scoprono vecchie cucine, ripostigli e antiche cantine, con qualche bottiglia che sembra risalire alla fine dell’Ottocento. Ma dappertutto le tracce dell’abbandono. Esistono anche una casetta del custode e una cappella, verosimilmente l’edificio più danneggiato: grosse crepe su muri e cupola.

L’entrata è maestosa, con colonne e archi; c’è anche un camino con uno stemma nobiliare. Magnifico lo scalone, di cui si leggono ancora soffitti e pareti, a loro tempo decorati. La stanza più bella è quella centrale, che si sviluppa in altezza, ancora con un elegante camino e un enorme specchio; contiene abbondanti residui di affreschi, che però invocano tutti estesi restauri. L’ultimo piano, dove forse erano i locali del personale di servizio, è ancora più decrepito: muffa sulle pareti e travi che sembrano pericolanti.

Recentemente questa situazione di assoluto degrado è stata riportata alla luce, e all’attenzione, da un gruppo di quattro giovani ragazzi e una ragazza torinesi, riuniti sotto la sigla di Urbex Team Old Italy, che intendono «dare voce alla decadenza» di siti in abbandono «perché siano resi noti, e si possa in qualche modo sperare nel loro recupero». Chi sono, non lo declinano: «Non facciamo nomi»; ma nel portfolio delle loro riscoperte, dopo un anno e mezzo di perlustrazioni, ci sono «almeno venticinque luoghi dimenticati, nel Piemonte e non solo: presto, saremo in Emilia, dove abbiamo adocchiato cinque o sei siti, che intendiamo documentare». Si sono già cimentati, per esempio, con un monastero quasi pericolante e una comunità agraria munita di una cappella, che appartenne addirittura a Camillo Benso conte di Cavour. Le immagini della villa del marchese d’Agliè che pubblichiamo sono le loro.

Le ultime notizie su questo stabile assolutamente da favola, e però totalmente malconcio, dicono che è proprietà di una società, formata forse da tre persone. Non è facile da trovare (nessuna segnaletica), né da raggiungere: poco più che un viottolo, tra i rovi e nella boscaglia; meglio non precisarne tuttavia l’esatta ubicazione, per non compiere un involontario favore a qualche malintenzionato. E risulta in vendita, con il tetto rifatto, precisa l’immobiliare che se ne occupa. «Trattative riservate», afferma; però, il prezzo richiesto è di sei milioni e mezzo di euro. Per quello che era un luogo bellissimo sulla «precollina», ma oggi è poco più di un rudere: «Venti locali, otto camere e zero bagni». Troverà chi lo salvi da una fine nemmeno troppo eventuale e forse neppure troppo lontana?

Il salone della villa completamente disastrato.

Le immagini qui pubblicate sono di un gruppo di quattro giovani ragazzi e una ragazza (Urbex Team Old Italy) che conducono una serie di reportage in Piemonte, e non solo, per riportare alla luce siti totalmente dimenticati.


(*) F. Cognasso, Storia di Torino, Firenze 2002, p. 256.

ART E DOSSIER N. 369
ART E DOSSIER N. 369
OTTOBRE 2019
In questo numero: Save Italy Una villa torinese, misteriosa e abbandonata. L'intervista Cesare Viel, performer. Trea gioco e design La lunga storia dei libri aniimati. Van Gogh inatteso L'artista si diverte. Le forme del caso Paraeidolia: quando l'arte inganna il cervello. In mostra: Le fotografie di Eve Arnold ad Abano Terme, Peggy Guggenheim a Venezia, De Chirico a Milano, Signorini a Firenze, Tessuti ebraici a Firenze.Direttore: Philippe Daverio