Studi e riscoperto. 2
Il Teschio con sigaretta di Vincent van Gogh

TRA SATIRA
E VANITÀ

Autodidatta, refrattario agli accademici e alle convenzioni, Vincent van Gogh annovera nella sua produzione un dipinto poco studiato e, senza dubbio, molto singolare, Teschio con sigaretta, realizzato durante il periodo trascorso ad Anversa. Di cosa si tratta? Allegoria o “divertissement”?


Alessio Costarelli

Durante gli appena tre mesi trascorsi ad Anversa, tra fine novembre 1885 e fine febbraio 1886, Vincent van Gogh lavorò moltissimo e con grande impegno, producendo una nutrita mole di disegni ma pochi dipinti, molti dei quali andati perduti. Fra questi, si annovera tuttavia almeno un capolavoro, raramente considerato, e sovente travisato: il Teschio con sigaretta (H 999). Un’opera che ha disorientato più d’uno studioso, suscitando nel sempre acuto Marc Edo Tralbaut l’interrogativo: «Come spiegare la subitanea apparizione di questa fantasia, rimasta unica nella sua produzione?»(1). Per rispondere alla domanda converrà delineare un poco il contesto.

Nel corso dei mesi trascorsi a Nuenen Vincent bramava intensamente volgersi altrove, attratto soprattutto da Anversa. Quando finalmente riuscì a trasferirvisi, la rinnovata libertà in una città stimolante nella quale poteva confrontarsi con altri artisti e tentare di guadagnare vendendo le proprie opere gli infuse energia e speranze: le sue condizioni economiche restavano tuttavia precarie e quel poco che il fratello Theo poteva passargli lo costringeva a sacrifici e privazioni. Convintamente volto allo studio dal vero, ben presto accusò anche la difficoltà di reperire modelli, crescendo in lui la convinzione della necessità di studiare l’anatomia e il nudo, stimolato in ciò dalla meditazione sui grandi maestri del passato, le cui opere osservava nel museo cittadino. Seppur controvoglia, decise pertanto - come già a Bruxelles - di iscriversi all’Accademia, ove avrebbe avuto a disposizione modelli vivi e calchi in gesso.

La tipologia del ritratto con pipa o sigaretta era invenzione relativamente recente ma assai diffusa


Autodidatta, Van Gogh ebbe sempre un rapporto conflittuale con gli ambienti istituzionali dell’arte, in linea peraltro coi più recenti sviluppi della ribollente poetica realista e delle mostre impressioniste. A ben guardare, però, egli aveva in astio gli accademici, più che l’Accademia, disapprovando la loro passiva riproposizione di convenzioni tradizionali: studiare gli antichi, soleva ripetere, non gli avrebbe impedito di essere realista, così come anni dopo un più maturo Cézanne avrebbe sconfessato i manicheismi di gioventù affermando che bisognava arrivare al Louvre attraverso la natura, e alla natura attraverso il Louvre.


Édouard Manet, Stéphane Mallarmé (1876), Parigi, Musée d’Orsay.

All’Accademia Vincent disegnava con entusiasmo e vigore, quasi con urgenza, replicando molte volte il medesimo soggetto, spesso alterandone le forme in una personale sintesi di osservazione naturalistica e trasfigurazione emotiva dettata dalla propria esperienza del mondo; d’altra parte, il bisogno di rinnovare e di distinguersi dalla massa era sempre impellente in lui, ambendo a inserirsi nel mercato con originalità. È in questo contesto sperimentale e un po’ polemico, in un simile stato d’animo che nacque il Teschio con sigaretta.

Partiamo dall’opera. Il formato ridotto denota innanzitutto un’esercitazione privata, certo non nella speranza di una vendita, ché altrimenti ne avrebbe fatto menzione al fratello, sebbene nelle lettere da Anversa Vincent faccia solo saltuari riferimenti a tele concretamente dipinte, soffermandosi piuttosto sui propri desideri e ambizioni, sul commento dei maestri antichi, sulle critiche ai docenti dell’Accademia e, in misura estesa, sulla propria salute. Era questo infatti un punto dolente: trascuratezza e ordinari digiuni ne avevano segnato la fisionomia. L’esigenza di curarsi per non rischiare più gravi conseguenze, il timore che il protrarsi di tale condizione lo conducesse alla morte sono tutti temi ricorrenti nelle lettere al fratello di questi mesi. Da ciò, Tralbaut dedusse l’insorgere in Van Gogh dell’interesse per l’autoritratto e anzi dalla coincidenza tra “ossessione per la morte” e “ossessione per la propria immagine” egli trasse un’interpretazione suggestiva ma falsata (benché di lunga fortuna) della tela come autoritratto trasfigurato.

Il particolare della sigaretta accesa è, per esempio, di una certa importanza, ma piuttosto che un indizio identitario, come vorrebbe lo studioso, la semplice constatazione che Vincent, accanito tabagista, fumasse la pipa e con essa (mai con una sigaretta) più volte in seguito si ritraesse sarebbe bastevole a confutare l’ipotesi.


Jean-Baptiste Carpeaux, Poeta bretone (1873-1874), ubicazione sconosciuta.

Inoltre, la presunta realizzazione di ben quattro autoritratti - due a carboncino (H 996-997) e due a olio (H 1194-1195) - affermata da Tralbaut è stata messa in discussione dagli studiosi successivi a partire da Jan Hulsker, il quale data alla seconda metà dell’anno 1886 opere prima fatte risalire ad Anversa. La sua propensione all’autoritratto, pertanto, non sembra essersi ancora sviluppata.


Un semplice “divertissement” macabro ispirato forse dal medesimo scheletro appeso nell’aula di disegno anatomico


In seguito, fu proprio Hulsker a fornire una lettura molto piana dell’opera, più verosimile eppure a suo modo troppo semplicistica, liquidandola come uno «scherzo macabro» il cui spunto sarebbe stato offerto da uno scheletro a uso delle lezioni d’accademia; il che - si aggiunge qui - potrebbe anche suggerire una più precisa datazione della tela al gennaio 1886, prima cioè che dalla classe di anatomia Van Gogh fosse retrocesso a quella dello studio dei calchi in gesso di statue classiche.
Osservando il quadro, non si può negare che l’impostazione sia quella di un ritratto a mezzobusto, peraltro con un’inquadratura lievemente ribassata che contribuisce a suggerire una certa qual imponenza, per non dire monumentalità. Il modello fondamentale, ovviamente, era la ritrattistica dei grandi maestri fiamminghi del Quattrocento: fondo scuro, piano ravvicinato, postura di tre quarti, sguardo - se di sguardo si può parlare in questo caso - rivolto all’osservatore; quasi fotografico, invece, l’uso stesso della luce, fredda e incidentale ma mai sbattuta, a illuminare un soggetto costruito dall’ombra con una tavolozza estremamente esigua per sovrapposizione di cromie progressivamente più chiare stese con pennellate rapide e materiche.


Veterano negli abiti della domenica con benda sull'occhio (1882), Cambridge, Massachusetts, Harvard Art Museums - Fogg Museum.


Scheletro impiccato con gatto nero, (1886), Amsterdam, Van Gogh Museum.

Se, come si è detto, la propensione all’autoritratto stentava ancora a sorgere, l’interesse per il ritratto era invece da tempo ben vivo in Van Gogh e proprio ad Anversa si andava strutturando e intensificando: inoltre, pare che in quegli anni in città avessero molto successo i fotografi ritrattisti (Lt. 441)(2), ragione ulteriore per focalizzarsi sul genere e più variamente sulla figura umana, cui egli riconosceva una centralità nell’evoluzione della grande arte di tutti i tempi (Lt. 442). Se è dunque a questo genere che l’opera deve essere ricondotta, come intenderla?

La tipologia del ritratto con pipa o sigaretta era invenzione relativamente recente ma assai diffusa e molteplici sono gli esempi citabili, di rado anteriori al 1860. Il senso di questa nuova iconografia è stato colto in modo abbastanza condivisibile da Linda Nochlin: «La costante presenza di sigari, pipe e sigarette nei ritratti dei realisti è anch’essa un sintomo dell’atteggiamento smitizzatore di questi pittori verso i loro eroi, perché è difficile avere un’aria compita o imponente mentre si fuma»(3); tale smitizzazione, tuttavia, inerisce solo al ricollocamento in ambito intellettual-borghese di un genere spesso ancora espressione di aristocraticità in senso lato. Ed è proprio questa “nobiltà d’intelletto” a rappresentare un indizio per la corretta interpretazione del quadro.

Qualche anno prima, nel 1882, Van Gogh aveva realizzato uno splendido ritratto a grafite e pastello di un anziano veterano, guercio e rugoso, pomposamente vestito con cilindro e medaglie al petto mentre fuma un sigaro oramai consumato (H 285), straordinariamente sintomatico di come un vecchio da ospizio potesse voler apparire, talora grottescamente, col “vestito della domenica” in aderenza alle convenzioni borghesi; parallelamente, nell’arco della sua intera produzione, egli ritrasse molteplici popolani intenti a fumare, come lui stesso, solo la pipa. Si può dunque dedurre che, agli occhi di Vincent, la distinzione tra sigaretta o sigaro da una parte e pipa dall’altra rappresentasse, in qualche modo, anche una distinzione di classe.

Alla luce di tutto ciò, nel Teschio con sigaretta è pertanto possibile riconoscere un ritratto borghese e intellettuale, un ritratto ufficiale; o meglio, una riduzione satirica del genere. Il processo satirico era arma tipica della militanza realista contro le convenzioni e artisti come Honoré Daumier (assai apprezzato da Van Gogh) vi avevano votato larga parte della propria arte; Vincent si professava realista e a sua volta non perdeva occasione per confutare e screditare l’universo accademico così come la migliore società che sempre lo emarginava. Non è un caso che l’unico altro esempio nel catalogo vangoghiano di opera realizzata con questo spirito satirico risalga sempre agli studi per così dire accademici, questa volta a Parigi, nell’atelier del pittore Cormon: un piccolo disegno raffigurante un calco classico femminile cui Vincent appose, sovradimensionandolo, un grande cilindro nero (H 1051).


Gesso di statuina classica femminile (Tipo A), (1886), Amsterdam, Van Gogh Museum.

Il celebre disegno di uno Scheletro impiccato con gatto nero (H 998) è, questo sì, un semplice “divertissement” macabro ispirato forse dal medesimo scheletro appeso nell’aula di disegno anatomico; il Teschio (H 1346-1347) di fronte e di profilo dipinto più tardi, probabilmente a Parigi, è un’esercitazione su di un oggetto trovatosi tra le mani. Ma il Teschio con sigaretta è qualcosa di diverso, esprime un messaggio che - tutt’altro che psico-ermetico - è piuttosto satirico-allegorico: perché in effetti la dimensione iconografica della “vanitas”, così tipica della pittura olandese e tedesca e non di rado associata al genere del ritratto, non può essere stata ignorata dal suo autore, né lo sfondo nero - che tanto caratterizza l’opera come ritratto - stona con l’interpretazione del quadro come sorta di natura morta animata (cfr. Lt. 428). Tuttavia, quella così rappresentata non è certo la vanità della vita e della felicità umana, quanto piuttosto delle più ottuse convenzioni borghesi, sociali o artistiche che fossero. Convenzioni cui lo stesso Van Gogh in parte si piegherà quando, ad Auvers-sur-Oise, terrà a compiacere l’immodesto dottor Gachet, realizzando per lui un ben più tradizionale, sul piano iconografico, ritratto intellettuale ancora di ascendenza romantica.

(1) M. E. Tralbaut, Vincent van Gogh, Milano 1969, p. 180. Le opere di Van Gogh vengono qui citate impiegando secondo l’uso comune la dicitura “H” seguita dal numero progressivo dell’opera come indicato nel catalogo ragionato di J. Hulsker, The Complete Van Gogh Paintings, Drawings, Sketches (1977), ed. it. Milano 1979.

(2) La numerazione delle lettere preceduta dall’abbreviazione “Lt.” si attiene alla classica edizione italiana dell’epistolario vangoghiano, Tutte le lettere di Van Gogh, Milano 1959.

(3) L. Nochlin, Il Realismo nella pittura europea del XIX secolo, Torino 1989, p. 102.

ART E DOSSIER N. 369
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OTTOBRE 2019
In questo numero: Save Italy Una villa torinese, misteriosa e abbandonata. L'intervista Cesare Viel, performer. Trea gioco e design La lunga storia dei libri aniimati. Van Gogh inatteso L'artista si diverte. Le forme del caso Paraeidolia: quando l'arte inganna il cervello. In mostra: Le fotografie di Eve Arnold ad Abano Terme, Peggy Guggenheim a Venezia, De Chirico a Milano, Signorini a Firenze, Tessuti ebraici a Firenze.Direttore: Philippe Daverio