Grandi mostre. 3
De Chirico a Milano

LE RADICI
DEL MITO MODERNO

Inventore della pittura metafisica ma capace poi di rinnovarsi nel tempo, de Chirico ha influenzato molti movimenti del Novecento, dal surrealismo al Dada, dal realismo magico alla Pop Art. La grande retrospettiva a Palazzo reale mette ora in luce le tappe fondamentali del suo percorso creativo.

Autore

Il 22 febbraio 1919 un caustico articolo di Roberto Longhi apparso su “Il Tempo” di Roma, intitolato Al dio ortopedico, stroncava senza pietà la pittura di Giorgio de Chirico. Criticava, in particolare, la trentina di dipinti metafisici esposti pochi giorni prima presso la Casa d’arte Bragaglia in una mostra corredata da uno scritto dell’artista, Noi metafisici, pubblicato su “Cronache d’attualità”. Era una bocciatura beffarda e totale, che il giovane de Chirico non s’aspettava. Aveva invitato speranzoso il critico, di un paio d’anni più giovane, avevano preso persino un caffè insieme alla pasticceria Bussi, come racconta nelle Memorie. Invece, pochi giorni dopo, era arrivata una gragnuola di colpi bassi contro i suoi manichini «d’accademia o di sartoria» rinvenuti, secondo Longhi, «nelle sacre vetrine degli ortopedici».

A indirizzargli del veleno sarà anche, nel 1928, il surrealista André Breton. Poi c’era Picasso che l’aveva definito con ironia «il pittore delle stazioni» per i quadri dipinti nel 1913 ispirati alla stazione parigina di Montparnasse.

Ardengo Soffici su “Lacerba” nel 1914 lo ritiene unico nel suo genere


Giudizi che pesarono sulla fortuna critica dell’artista. Anche se, nel corso della sua lunga e complessa attività, non gli mancarono riconoscimenti. Nel 1913 il poeta Guillaume Apollinaire ne aveva sottolineato «l’originalità». Nel 1940 sarà lo stesso Breton a riconoscere che molto del «mito moderno» era nato da lui e dal fratello Savinio. Ardengo Soffici su “Lacerba” nel 1914 lo ritiene «assolutamente moderno » e unico nel suo genere.

Oggi si ammette, a ragione, il forte peso di de Chirico su molti movimenti del XX secolo, dal dadaismo al surrealismo, dal realismo magico al Novecento sino alla Pop Art, alla Transavanguardia e oltre. Studi recenti rivelano inoltre un’attività ancora più estesa di quanto si era creduto. Per esempio, sono emersi rapporti rilevanti tra l’artista e l’Inghilterra sinora poco noti, come ha messo in luce Victoria Noel-Johnson in un libro (De Chirico and the United Kingdom) uscito nel 2017 (Marietti Editore). Sono riaffiorati carteggi mai pubblicati, documenti, notizie di mostre nel Regno Unito (ottantacinque, di cui quarantacinque inedite), rassegne stampa e altro destinati ad ampliare il percorso e la visione del pittore.


Il pomeriggio soave (1916), Venezia, Collezione Peggy Guggenheim.

Il 2019 è stato un anno di grande interesse nei confronti dell’artista. Tre mostre: una a Palazzo ducale di Genova (Giorgio De Chirico. Il volto della Metafisica); l’altra alla GAM di Torino (Giorgio De Chirico Ritorno al Futuro. Neometafisica e Arte contemporanea); la terza, De Chirico, in corso dal 25 settembre a Palazzo reale di Milano, è una grande retrospettiva che segue l’ormai lontana antologica del 1970 nella stessa sede, riunendo un nutrito corpus di opere giunte da tutto il mondo. Dipinti che segnano tutte le tappe della avventura artistica del pittore, dalla Grecia alle avanguardie parigine, dal ritorno in Italia ai continui spostamenti in Francia, alle esperienze in varie città italiane ed estere, in un tumulto di trasformazioni iconografiche della stessa Metafisica, di cui è l’inventore.

Gli inizi sono in Grecia, la terra madre mai dimenticata. De Chirico era nato a Volos in Tessaglia il 10 luglio 1888 da un padre ingegnere ferroviario morto presto e una madre energica che seguirà i figli tutta la vita. Aveva assimilato nell’infanzia la classicità, tra storie di Argonauti e di Centauri, e studiato disegno al Politecnico di Atene. Ma gli esordi in pittura sono nel 1909-1910 a Monaco di Baviera, dove madre e figli si erano trasferiti e Giorgio aveva frequentato nel 1907 l’Accademia di Belle arti.
La mostra di Milano si apre evocando questi primi anni tra Atene e Monaco con dipinti ancora acerbi (Lotta di centauri, Centauro morente, entrambi del 1909; La partenza degli Argonauti, del 1909-1910; Ritratto della madre, 1911), che risentono dei miti greci e dell’influenza di Arnold Böcklin e di Max Klinger, come lo stesso artista ammetteva: «Io dipingevo quadri di sapore böckliniano».

Le muse inquietanti (1950 circa), Macerata, Fondazione Carima - Museo Palazzo Ricci.


Il figliol prodigo (1922), Milano, Museo del Novecento.

«Una rivelazione, la strana impressione di vedere ogni cosa per la prima volta»


È un periodo di intensa formazione. De Chirico legge Ariosto, Leopardi, Nietzsche. Viaggia a Torino, Milano, Roma, Firenze. In quest’ultima città, in un chiaro pomeriggio d’autunno del 1910, in piazza Santa Croce, ha una «rivelazione, la strana impressione di vedere ogni cosa per la prima volta». Sensazione riflessa nella tela L’enigma di un pomeriggio d’autunno, con una piazza silenziosa, solitaria, irreale, una statua, la chiesa. Si tratta del primo dipinto metafisico, intriso di malinconia, che verrà esposto al Salon d’Automne parigino del 1912, come racconta lo stesso de Chirico. Questa seconda tappa è illustrata in mostra da una serie di piazze metafisiche, squadrate e lunari, come I piaceri del poeta, 1912; La mattina angosciosa, 1912; L’enigma di una giornata (II), 1914.


L’enigma di una giornata (1914), San Paolo, Museu de Arte Contemporânea da Universidade de São Paulo.

Il senso dell’“enigma”, effetto di rivelazioni improvvise, intriderà d’ora in poi tutta la pittura di de Chirico a cominciare dall’autoritratto Et quid amabo nisi quod aenigma est? del 1911, a continuare con le opere realizzate a Parigi dal 1911 al 1915. La capitale francese è in piena avanguardia, con cubismo, fauvismo e altro ancora, ma de Chirico segue la sua strada metafisica. Significativa l’Arianna del 1913, prestata dal Metropolitan di New York, la statua dormiente della mitica figlia del re cretese Minosse, immersa in una piazza scenografica, tagliata di netto da sole e ombra, in un’atmosfera irreale. Gli accostamenti di oggetti nei dipinti diventano sempre più improbabili come nell’Incertezza del poeta dello stesso anno, in cui un tornito busto di gesso femminile è accostato a un casco di banane.

A parlare per la prima volta in Italia di de Chirico è Ardengo Soffici nel luglio del 1914 sulla rivista futurista “Lacerba” in un lungo articolo, in cui tra l’altro dice: «Giorgio de Chirico esprime come nessuno l’ha mai fatto la malinconia patetica di una fine di bella giornata in qualche antica città italiana, dove in fondo a una piazza solitaria, oltre lo scenario delle logge, dei porticati e dei monumenti del passato, si muove sbuffando un treno, staziona il camion di un grande magazzino o fuma una ciminiera altissima nel cielo senza nuvole».

La tappa successiva della mostra è Ferrara dal 1915 al 1918, in periodo bellico. In quella magica città l’artista, dichiarato inadatto al fronte, sviluppa la Metafisica e introduce una nuova iconografia di interni come l’Interno metafisico (con faro) del 1918. Scrive de Chirico: «L’aspetto di Ferrara, una delle più belle città d’Italia, mi aveva colpito; ma quello che mi colpì soprattutto e m’ispirò nel lato metafisico nel quale lavoravo allora, erano certi aspetti d’interni ferraresi, certe vetrine, certe botteghe, certe abitazioni, certi quartieri, come l’antico ghetto, ove si trovavano dei dolci e dei biscotti dalle forme oltremodo metafisiche e strane».


Généalogie du rêve (1928).

Così non esita a introdurre pane e biscotti ferraresi nei suoi straordinari dipinti, con giochi di prospettiva, elementi geometrici, assemblaggi di oggetti illogici, in anticipo sul surrealismo (Il saluto dell’amico lontano; Il pomeriggio soave, entrambi del 1916).

Finita la guerra, l’artista si trasferisce a Roma, dove avviene un’ulteriore svolta. La collaborazione alla rivista “Valori plastici” di Mario Broglio, con lo scritto Zeusi l’esploratore pubblicato nel primo numero del 15 novembre 1918, lo porta ad aderire a quel “rappel à l’ordre” che mira al recupero della tradizione pittorica italiana. È un vero e proprio colpo di fulmine per l’artista, che sosta nei musei a fare copie di Michelangelo, Raffaello, Lotto, Tiziano e di altri pittori. Il ritorno al “mestiere” gli fa dichiarare senza mezzi termini «Pictor classicus sum». Nascono capolavori che mescolano passato e avanguardia in un linguaggio originale: l’Autoritratto come Ulisse del 1921-1922, l’Autoritratto del 1924, la Natura morta con aragosta e calco del 1924, la Sala d’Apollo del 1920.

Ma le acrobazie pittoriche di de Chirico non sono finite. Continuano con il famoso manichino maltrattato da Longhi, riabilitato in mostra in tutte le sue declinazioni: fantoccio metafisico nel Figliol prodigo del 1922, personaggio mitico in Ettore e Andromaca del 1923 e 1924, archeologo in Manichini in riva al mare del 1926.

Già, perché ci sono ancora gli Archeologi, manichini che tengono strette tra le braccia rovine antiche. E i Gladiatori? Ci sono anche quelli, che lottano, ispirati ad antichi mosaici pavimentali delle ville romane. Appartenevano a un ciclo pittorico commissionato all’artista tra il 1928 e il 1929 dal noto mercante, editore e collezionista francese Léonce Rosenberg. Ma non è finita, dagli anni Trenta l’artista comincia un nuovo percorso tra Roma, Parigi, New York aprendo dieci anni dopo la nuova fase “barocca”. Inesauribile e geniale.


Malinconia ermetica (1919), Parigi, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris.

De Chirico

fino al 19 gennaio 2020
a cura di Luca Massimo Barbero
Milano, Palazzo reale
telefono 02-92897740
orario 9.30-19.30, lunedì 14.30-19.30, giovedì e sabato 9.30-22.30
catalogo Marsilio Electa
www.dechiricomilano.it
www.palazzorealemilano.it

ART E DOSSIER N. 369
ART E DOSSIER N. 369
OTTOBRE 2019
In questo numero: Save Italy Una villa torinese, misteriosa e abbandonata. L'intervista Cesare Viel, performer. Trea gioco e design La lunga storia dei libri aniimati. Van Gogh inatteso L'artista si diverte. Le forme del caso Paraeidolia: quando l'arte inganna il cervello. In mostra: Le fotografie di Eve Arnold ad Abano Terme, Peggy Guggenheim a Venezia, De Chirico a Milano, Signorini a Firenze, Tessuti ebraici a Firenze.Direttore: Philippe Daverio