Architettura per l'arte


UN PARALLELEPIPEDO
CHE FA LA DIFFERENZA

di Aldo Colonetti

Il Tsinghua Art Museum, l’ultimo progetto di Mario Botta ospitato nel campus della Tsinghua University a Pechino, è una struttura lineare in granito rosato rappresentativa del linguaggio dell’architetto svizzero

Uno dei dibattiti più ricorrenti, rispetto al mestiere dell’architetto e all’identità delle sue opere nel mondo globale, riguarda la riconoscibilità simbolica dell’edificio. In questo ambito, i musei dedicati all’arte rappresentano un’esperienza molto diffusa, anche perché i committenti internazionali chiedono, sempre più spesso, non solo una soluzione di carattere compositivo, ma soprattutto un “linguaggio iconico” che, pur nei differenti contesti geografici, sia riconducibile a determinati autori, famosi a livello internazionale.

Mario Botta ha disegnato musei dedicati all’arte in tutto il mondo, dal Museum of Modern Art di San Francisco al Mart - Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, dal Museum Tinguely di Basilea al Leeum Samsung Museum of Art di Seul (uno dei tre edifici porta la sua firma) dove è esposta una straordinaria raccolta di antichi e rarissimi vasi di ceramica.

L’ultimo progetto, in ordine di tempo, è il Tsinghua Art Museum ospitato nel campus della Tsinghua University a Pechino, accanto alla biblioteca, sempre di Botta, inaugurati l’uno a settembre 2016, l’altra ad aprile 2011. Abbiamo avuto l’occasione di visitare il cantiere pochi mesi prima dell’apertura del Tsinghua Art Museum, insieme all’amico architetto, in occasione di un dibattitto dedicato al ruolo del museo nella società contemporanea. Al centro dell’incontro, davanti a una platea di un migliaio di studenti e architetti, le domande più ricorrenti, anche alla luce del progetto che giorno dopo giorno cresceva sotto i loro occhi, riguardavano il problema dell’identità della cultura architettonica contemporanea occidentale, in virtù delle tradizioni espressive di un’altra “civilità”. In sostanza, il tema verteva sulle possibili modalità di dialogo nel mercato globale, tra la poetica di un grande progettista e le radici di un contesto che, nonostante il processo di globalizzazione, vorrebbe difendere la propria storia.

La risposta di Mario Botta, allora con le parole, oggi con l’opera compiuta e funzionante, risiede in un ragionamento molto semplice e coerente: «Ciascuno esprime il proprio “genius loci”, che non è soltanto l’espressione di una storia locale, ma anche la rappresentazione della propria posizione, che è pure un modo di resistere, nei riguardi di una tendenza a omogeneizzare qualsiasi linguaggio “individuale”, appiattendosi su una sorta di esperanto generico del linguaggio progettuale. Anche in questo caso, non ho rinunciato alla mia storia che ha sempre guardato ai grandi insegnamenti di Le Corbusier e Louis Kahn, che ho avuto l’onore di conoscere e di frequentare, giovanissimo: ovvero architettura come gravità, architettura come insieme di volumi geometrici riconoscibili, e il ricorso a tutti quei materiali “pesanti e naturali” presenti a tutte le latitudini».


Ecco allora il risultato di questa sua ultima fatica; un parallelepipedo allungato, posizionato tra l’edificio del rettorato e il perimetro del campus, quattro piani espositivi, introdotti da un porticato da cui si sviluppa una scalinata per raggiungere i diversi livelli, il tutto rivestito da un tipico materiale “bottiano”, un granito rosato parzialmente lasciato al grezzo, disposto a bande orizzontali. Intorno non c’è altra architettura simile a questa, negli esterni come negli interni, dove domina un grande spazio centrale, un riferimento al concetto di piazza di tradizione europea, dalla quale è possibile, volgendo lo sguardo in alto, individuare il soffitto da cui, attraverso una serie di lucernari disposti a scacchiera, penetra la luce naturale. Alla piazza coperta si arriva attraversando dei portici segnati da grandi colonne; interno ed esterno nel segno della continuità.

È un progetto riconoscibile; è evidente il disegno di Botta che non rinuncia a esprimere la propria identità artistica, traducibile in uno specifico linguaggio simbolico, riuscendo altresì a risolvere la sua architettura secondo una logica di apertura e dialogo con il contesto. Noi crediamo che l’architettura debba resistere all’omologazione internazionale; l’ultimo progetto museale di Mario Botta parla il linguaggio della differenza ma, da quando è stato inaugurato, è diventato parte integrante di questo grande campus universitario.


Alcune immagini della biblioteca della Tsinghua University, progettata da Mario Botta e inaugurata ad aprile 2011.


Tsinghua Art Museum, Tsinghua University
Pechino
www.artmuseum.tsinghua.edu.cn

ART E DOSSIER N. 369
ART E DOSSIER N. 369
OTTOBRE 2019
In questo numero: Save Italy Una villa torinese, misteriosa e abbandonata. L'intervista Cesare Viel, performer. Trea gioco e design La lunga storia dei libri aniimati. Van Gogh inatteso L'artista si diverte. Le forme del caso Paraeidolia: quando l'arte inganna il cervello. In mostra: Le fotografie di Eve Arnold ad Abano Terme, Peggy Guggenheim a Venezia, De Chirico a Milano, Signorini a Firenze, Tessuti ebraici a Firenze.Direttore: Philippe Daverio