La pagina nera

QUELL’AVITO FABBRICATO
CHE SI FA SUPERMERCATO

L’anima del commercio contro l’anima del luogo. Questa netta opposizione è evidente se ripercorriamo le vicende dell’ex Monte di pietà di Bologna - risalente alla seconda metà del Quattrocento - che sta ormai per essere trasformato in un nuovo Conad. Massicce le proteste da più parti ma senza alcun risultato.


di Fabio Isman

La vicenda dei Monti di pietà è abbastanza tipicamente italiana. Precursori ne sono stati alcuni ordini religiosi medievali, poi la nascita di istituzioni simili a Londra (1361) e in Castiglia (1431): un ritrovato per combattere l’usura (e gli ebrei). In Italia, approdano nel Quattrocento. I primi aprono ad Ascoli Piceno nel 1458, e a Perugia nel 1462. In Umbria un Monte di pietà lo crea Michele Carcano, predicatore milanese nato a Lomazzo, dove i suoi possedevano un castello, morto sul pulpito nel 1484, mentre predicava la quaresima a Lodi; nel 1912, Pio X Sarto l’ha proclamato beato. A quello umbro ne seguono altri, finché Carcano, nel 1473, fonda quello di Bologna, con il beato Bernardino da Feltre, creatore pure dei Monti a Mantova, Padova, Crema, Montagnana, Monselice e Pavia. Firenze lo avrà dal 1497: dopo la cacciata dei Medici (che avevano vietato a Carcano di predicare, per le violenze contro gli ebrei seguite ai suoi discorsi), con l’appoggio di Girolamo Savonarola. Tuttavia, alcuni Monti hanno vita breve, per i motivi più diversi. Quello bolognese, primo direttore Giovanni Bolognini e tassi dal tre al cinque per cento fino al 1796, chiude dopo un anno, e riapre nel 1504, sotto i portici del Pavaglione.

Presto prende piede; dal 1530, inaugura nuove sedi in città: otto fino al Seicento; e altre in provincia. Diventa tra i maggiori nella penisola. Le dipendenze più significative sono accanto alla cattedrale (che è San Pietro in via Indipendenza, non, come troppi credono, San Petronio), in affitto dai canonici, e nell’attuale via dei Musei, accanto a piazza Maggiore. È anche tesoreria del Comune e amministra i beni di parecchie opere pie, specie quelle che fornivano una dote alle zitelle. Nel Seicento, tra l’altro, finanzia le produzioni della canapa e seta, che davano lavoro a migliaia di anime.

Ogni filiale felsinea pare che avesse in facciata, sopra l’ingresso, una Pietà in terracotta: rimane soltanto quella, splendida, dell’ex Monte di San Pietro, per la quale si sono fatti diversi nomi, del Cinquecento. Il luogo era collegato alla cattedrale con un porticato: sparito nel 1744, quando si modifica la facciata della chiesa; nel 1785, il romano Antonio Bianchini e il bolognese Alfonso Torreggiani ristrutturano l’edificio che erogava il credito: nasce un nuovo portico a cinque arcate, con colonne doriche, volte a vela, e finestre a pianterreno. Nel progetto non era previsto, ma lo pretende il Monte, per indire aste all’aperto dei pegni non riscossi.


La Soprintendenza ha vincolato soltanto la Pietà della facciata, un cornicione e delle terrecotte nel cortile


L’istituzione prospera. È anche teatro di un furto famoso: il conte veronese Girolamo Ridolfi, alias Giovanbattista Rossi, alias Girolamo Lucchini, nel 1789, con una scala entra nell’edificio dopo aver rotto il vetro di una finestra (per non essere scoperto, la sostituisce) e, lavorando un giorno e mezzo, porta via tutti i pegni preziosi. Lo tradirà una “soffiata”: è arrestato con la moglie, che alla fine, confessa.
Viene giustiziato due anni dopo. Per il Monte, però, questa è solo l’anticamera della rovina: nel 1796, le truppe di Napoleone lo chiudono e depredano; otto decimi del patrimonio immobiliare della città sono liquidati, cacciati i cento dipendenti.

Risorge nel 1802: all’unico sportello si potevano impegnare esclusivamente biancheria, rami, ottoni e arnesi, per un anno e senza rinnovo; ma in dodici mesi, eroga prestiti per 50mila lire. A fine secolo ha riacquistato la sede, aperto nuove filiali. Nel 1925, però, tutti i Monti scompaiono per regio decreto. Diventa una banca e muta più volte nome e proprietà. Dal 1964 è quella del Monte di Bologna e Ravenna; poi, unita alla Cassa di risparmio di Modena, Banca Carimonte; nel 1995, con il Credito romagnolo, diventa Rolo Banca 1473. Si succedono i restauri. 


La Pietà (XVI secolo) sopra il portale dell’ex Monte di San Pietro. Ogni filiale dell’ex Monte di pietà pare ne avesse una. Questa, sulla cui paternità sono stati fatti diversi nomi, è l’unica rimasta.

L’epoca dei Monti, in Italia, è ormai buona soltanto per gli archivi. Quello di Bologna è infine inglobato in Unicredit, che una decina d’anni fa cede l’immobile. Se ne vanno così gli arredamenti e le opere d’arte, trasferite nelle altre sedi del gruppo bancario; la più importante è forse un Ritratto del cardinale Pompeo Aldrovandi (1668-1752), di padre Damien Carpentiers, quasi tre metri per due, oggi a palazzo Magnani, in via Zamboni 20. Una Scena di caccia di Agostino Tassi (unica opera dell’autore documentata in città) è invece migrata a Roma; altro a Milano. Anni di chiusura.

Infine, l’estrema, e contestatissima, fase nella vita del palazzo. La Conad lo trasforma in un supermercato del marchio Sapori & Dintorni: seicentocinquanta metri quadrati per le vendite, trecento per la ristorazione, oltre 3 milioni di euro d’investimento, due nuovi ingressi su una strada laterale. Proteste e critiche non valgono a nulla: la Soprintendenza ha vincolato soltanto la Piet^ della facciata, un cornicione e delle terrecotte nel cortile; il resto no, perché «adulterato nel Novecento dai restauri degli anni Cinquanta e Sessanta». Proibite soltanto le tende all’esterno, e i tavolini all’aperto. «Azione scellerata », proclama Vittorio Sgarbi. Pure la sottosegretaria ai Beni culturali Lucia Borgonzoni biasima lo «snaturamento completo di via Indipendenza. Troppe catene di abbigliamento, il prestigio storico di alcuni edifici andava tutelato meglio». Così, si compie un ulteriore passo nell’alterazione del centro della città, pur se Cristina Ambrosini, la soprintendente, ritiene che «non dobbiamo fare delle piazze un sacrario della storia urbana». Bologna si sta quasi trasformando in un’immensa mangiatoia: un luogo incentrato sull’alimentazione; Eugenio Riccomini, celebre storico dell’arte dice che «adesso, quel che della città si vede di più, è il mangiare». In appena cinque anni dal 2011, i bar e i ristoranti in centro sono quasi raddoppiati: passati da quattrocentosettantuno a novecentotrentuno. Anche i “dehors” hanno registrato un vertiginoso aumento: i centocinquantuno del 2013 erano cinquecentododici già tre anni dopo.

In tanti si mobilitano, seppur vanamente. Dai famosi urbanisti, come Pierluigi Cervellati («bisogna invocare la legge dei beni culturali, per l’uso improprio che si fa di questo edificio»), ai più strenui difensori dell’anima del luogo. Prima di andarsene purtroppo per sempre, fa sentire la propria voce anche Andrea Emiliani: l’Accademia clementina, che presiedeva, promuove un appello, firmato da migliaia di cittadini. Un’altra studiosa, Jadranka Bentini, presidente di Italia Nostra a Bologna, non usa mezze parole, le fa «orrore» lo stato in cui è ridotta la centralissima via Indipendenza: «Tutti questi esercizi commerciali, e le insegne, hanno portato non solo a uno snaturamento, ma pure a un impoverimento dei singoli edifici». Condizione da tempo denunciata anche dal Comitato per Bologna storica e artistica, per questa come per altre zone del centro storico. Non ha séguito la proposta dell’Accademia clementina al sindaco e alla Soprintendenza: in ricordo dei principi solidaristici francescani che improntarono i Monti, chiedeva di trasformare l’immobile in un luogo d’accoglienza e di «sosta anche solo temporanea». Invece, «soldi, soldi e ancora soldi», dice l’ex rettore dell’Università, Fabio Roversi Monaco. Prima di Natale, Bologna avrà il suo regalo: il supermercato accanto alla cattedrale. Chi si occupa dei lavori, rassicura: non ci sarà alcuna “calata dei barbari”, Sapori & Dintorni «sarà aperto anche ad eventi culturali»; del resto, aggiunge, lo sportello Bancomat sotto il portico, quando l’edificio era ancora un istituto di credito, «non risaliva certamente al Quattrocento».


Il portale dell’ex Monte di San Pietro.

ART E DOSSIER N. 368
ART E DOSSIER N. 368
SETTEMBRE 2019
In questo numero: Ottocento tra scienza e mistero: Seurat e la fisica quantistica; I miti arcani di Péladan. Save Italy Bologna: da Monte di pietà a supermercato; trento : salviamo le facciate dipinte. In mostra: Burtynsky a Bologna; Stingel a Basilea; Isadora Duncan a Firenze; Preraffaelliti a Milano.Direttore: Philippe Daverio