Quella di Berthe Morisot è una visione libera da ogni condizionamento, la storia di una pittrice che offre al mondo un’immagine direttamente captata dai suoi occhi. La leggerezza del tocco, la quasi inconsistenza dei contorni, dei limiti, l’inafferrabilità dell’istante sono quello che grazie a lei rimane, ma la vera poesia è comprendere che «attraverso l’atto del dipingere Berthe dichiarava di poter con successo diluire, se non completamente cancellare, quelli che lei chiamava “i miei giorni di melancolia”, i miei giorni neri»(1).
Il suo animo è tormentato, teso sempre a far coincidere la vocazione artistica con la dimensione e i vincoli del mondo dal quale proviene.
Nata a Bourges da famiglia altoborghese il 14 gennaio del 1841, la sua vita è indissolubilmente legata all’arte fin dalla giovanissima età.
“Femme en noir”, musa e modella di Manet (che la raffigura sempre in nero trovando in lei la perfetta interprete della profondità di questo colore), pronipote di Fragonard, amica di Degas, Monet, Renoir, Mallarmé, è soprattutto la più grande esponente femminile del movimento impressionista e una delle figure più interessanti dell’universo artistico della sua epoca.
Théodore Duret scrive di lei: «La pittura della Morisot è una pittura femminile ma senza la secchezza e la timidezza che si collegano generalmente alle opere di artisti del suo sesso. I colori, sulle tele della Morisot, si fanno delicati, vellutati e morbidi in una maniera straordinaria»(2).
La grazia femminile della sua arte è sempre stata evidenziata, ma ciò non le basta. Scrive nel suo diario del 1890: «Non credo ci sia mai stato un uomo che ha trattato una donna come sua pari, ed è tutto quello che ho sempre chiesto. Io so di valere quanto loro(3)». Al contempo Berthe non rinuncerà mai al suo essere donna. Non sceglie uno pseudonimo come la scultrice Adèle d’Affry che si firma Marcello, non cambia il nome in quello del marito come Marie Bracquemond, è una pittrice indipendente che al tempo stesso è madre e moglie e non lo nasconde.