Blow up


BOLIN, PASCALI,
ARAKI

di Giovanna Ferri

Con lui la realtà si trasforma, il quotidiano assume nuovi significati, la standardizzazione diventa occasione di riflessione, la superficie delle cose si stratifica in immagini condensate in un mix di linguaggi tra scultura, performance, “body painting” e fotografia. Liu Bolin, nato nel 1973 nella provincia cinese dello Shandong, testimone imperturbabile dell’era contemporanea nel suo paese e altrove, ha scelto fin dall’inizio il mimetismo e il “camouflage” come costanti della sua poetica. L’immersione in un contesto e la possibilità di mimetizzarsi al suo interno producono un’atmosfera particolare che non può non attrarre l’osservatore. Le creazioni di Bolin sono frutto di un processo analogico, lento, in netto contrasto con l’attuale epoca dominata dal digitale e da ritmi frenetici. Il punto di partenza è trovare il posto giusto, opzione definita dall’artista soprattutto in relazione al contenuto sociale che quel luogo porta con sé e al messaggio che ne potrebbe scaturire. Passo successivo: il corpo di Bolin diviene una scultura vivente durante la performance, immortalata a sua volta da una fotografia, nel momento finale in cui un meticoloso body painting compiuto dal suo staff lo rende completamente integrato nell’ambiente. Ed ecco allora la serie di scatti quali Hiding in the City realizzata quando nel novembre 2005 le autorità governative ordinarono la distruzione del villaggio Suojia (a nord est di Pechino), sede di un centinaio di studi di artisti tra cui quello di Bolin che decise da quel momento di utilizzare la sua arte come forma di protesta silenziosa. E ancora Migrants in cui l’artista oltre a ritrarre se stesso ha coinvolto, in alcuni scatti, giovani africani alloggiati in centri di accoglienza in Sicilia. All’opposto, troviamo la serie Hiding in Italy, che predilige sfondi legati al nostro patrimonio storico-artistico, oppure immagini legate al mondo della grande distribuzione. Esempi eloquenti della sua “arte performativa fotografica” li troviamo nella mostra Liu Bolin. Visibile invisibile (Milano, Mudec - Museo delle culture, fino al 15 settembre, www.mudec.it), a cura di Beatrice Benedetti.

Tra i più incisivi protagonisti della Pop Art e dell’Arte povera italiana, Pino Pascali (1935-1968) ha utilizzato la fotografia come mezzo propedeutico alla sua produzione scultorea, come traccia progettuale alla stregua del disegno. Un ruolo importante reso evidente dalla donazione di centosessanta scatti inediti realizzati e stampati tra 1964 e 1965 dall’artista pugliese e recentemente acquisiti dalla Fondazione a lui dedicata. Da questi scatti ha preso spunto la mostra Pino Pascali - Dall’immagine alla forma (Venezia, palazzo Cavanis, fino al 24 novembre, evento collaterale della 58. Biennale di Venezia, museopinopascali.it), in occasione della quale gli “appunti visivi” sono accompagnati dai suoi taccuini e da alcune tra le sue più rilevanti opere scultoree e ambientali. Come leggiamo nel catalogo del percorso espositivo – a cura di Antonio Frugis e Roberto Lacarbonara con la direzione artistica di Rosalba Branà – Pascali usa l’obiettivo per sviluppare una propria strategia dello sguardo, per separare alcuni aspetti rispetto ad altri, per «amplificare il significato dell’opera stessa». Attraverso le loro inquadrature, le immagini mettono in risalto punti di vista decentrati, primi piani giocati su un forte contrasto tra bianco e nero, materialità e plasticità delle forme.


Pino Pascali, Pozzanghera (1965), Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea.

Autore vorace, Nobuyoshi Araki (1940) si avvicina alla fotogafia fin da giovanissimo. Il suo impeto creativo è tale da essere parte integrante e costante della sua esistenza; la macchina fotografica è come se fosse un “organo vitale” che gli consente di instaurare rapporti col mondo, esprimere sentimenti ed emozioni. Protagonista di una ricerca complessa, estremamente articolata e fuori dal comune, il giapponese Araki, noto e discusso per il lavoro concentrato sulla forza dell’eros, che raggiunge il suo apice nella serie di scatti “bondage”, ha un repertorio piuttosto vasto che va a toccare l’intimità del suo vissuto (Sentimental Journey, ciclo dedicato al viaggio di nozze con la moglie Yoko, scomparsa nel 1990), la fragilità, la bellezza nell’attimo prima di appassire, la malinconia, l’amore. Una parte cospicua del suo lavoro, dagli esordi a oggi, con oltre duemiladuecento immagini, in parte mai viste, è il contenuto espositivo di Effetto Araki (Siena, Santa Maria della Scala, fino al 30 settembre, www.santamariadellascala.com), a cura di Filippo Maggia.


Nobuyoshi Araki, Dead Reality (2017).

In breve:

Federico Patellani. Da Monza verso il mondo
Monza, Arengario Fino al 28 luglio www.turismo.monza.it
Guido Guidi: in Sardegna 1974, 2011
Nuoro, Man - Museo d’arte Provincia di Nuoro
Fino al 20 ottobre www.museoman.it

ART E DOSSIER N. 367
ART E DOSSIER N. 367
LUGLIO-AGOSTO 2019
 In questo numero: Donne oltre l'ostacolo; I magi al femminile; Dulle Griet all'assalto dell'inferno; La divina Franca Florio; Le strategie esistenziali di Berthe Morisot; Varda/JR: la regista e lo street artist. In mostra: Eliasson a Londra; Tuymans a Venezia; Dalí a Montecarlo; Ex Africa a Bologna. Direttore: Philippe Daverio