CATALOGHI E LIBRI

GIUGNO 2019

ACCADEMIA CARRARA

L’Accademia Carrara di Bergamo vanta una storica pinacoteca con capolavori di Pisanello, Mantegna, Bellini, Tiziano, Raffaello, Moroni e molti altri di origini illustri, dal Trecento all’epoca neoclassica. A questi si affiancano dipinti anonimi, quadri senza nome, come li chiamava Zeri, ma altrettanto importanti. La loro corposa fortuna critica viene enunciata e rivista in questo volume, prima tappa della ricatalogazione scientifica del prestigioso museo. Il metodo è ineccepibile, con aggiornate indagini filologiche, attributive e cronologiche e con apparati che attestano le discordanze rispetto ai cataloghi degli anni Ottanta del secolo scorso a cura dell’allora direttore Francesco Rossi, che per le opere della raccolta Morelli fu coadiuvato da Federico Zeri (molto legato a questo museo, creatosi per rilevanti donazioni private). Il catalogo, coordinato da Giovanni Valagussa, esordisce con il Tre-Quattrocento, indagato dai migliori specialisti. Fra i dipinti discussi, facendo torto ai tanti di varie scuole che non possiamo citare, un intenso Ritratto di giovane è con probabilità di Giovanni Bellini, anche se nel catalogo della mostra londinese Bellini & Mantegna Neville Rowley ipotizza sia di Jacopo da Valenza. Alla stessa mostra l’autunno scorso vedemmo la piccola Resurrezione di Cristo, con mirabili figure scorciate o a profilo perduto, ora tornata a Bergamo con molti onori. Da vero detective Valagussa l’ha assegnata senza più dubbi a Mantegna, precisando che in origine faceva parte di una tavola di collezione privata con la Discesa al limbo nella zona inferiore. Fra le attribuzioni dibattute, quattro tavole ciascuna con un santo o un angelo, che nel 1980 attribuimmo a un “pittore lombardo-veneto”, capace di volti delicati e forme plasticamente ben definite, attivo a Bergamo con almeno due polittici dispersi. Aldo Galli lo ha ribattezzato “Maestro dei cartellini”, e come tale è qui ben indagato da Lorenzo Mascheretti. Ricordiamo anche la Storia di Virginia romana, eseguita forse per la casa fiorentina dei Vespucci in via de’ Servi, alla quale Botticelli dovette lavorare con qualche aiuto. Ma è solo qualche esempio, come si diceva, di un’opera fondamentale e di alto pregio scientifico.

a cura di Giovanni Valagussa Officina Libraria, Milano 2018 448 pp., 310 ill. colore € 65

«MOSTRE PERMANENTI»

La prolifica carriera di Ragghianti (1910-1987) emerge, in questo libro documentato come mai prima d’ora, per la sua attitudine di curatore, responsabile scientifico o collaboratore, sotto varie forme, a importanti mostre nazionali e internazionali. Lo storico dell’arte lucchese, che era stato attivo antifascista, iniziò quest’attività attorno al 1945, affiancandola in modo costante a quella di studioso nei campi più svariati, dal Medioevo al contemporaneo. Il volume, frutto di una lunga indagine negli archivi della Fondazione Ragghianti, si è avvalso di varie fonti, ricercate e risistemate con acribia da Silvia Massa ed Elena Pontelli, col contributo di altri studiosi. La capillare catalogazione comprende sia le mostre effettivamente realizzate, sia quelle che per ragioni diverse non ebbero luogo. Spiccano, tra le altre, le esposizioni di palazzo Strozzi a Firenze, come quella epocale sull’arte italiana 1915-1935 (1967).


a cura di Silvia Massa ed Elena Pontelli Edizioni Fondazione Ragghianti, Lucca 2018 336 pp., 89 ill. b.n. € 20

PER LE STRADE DELL’ARTE

In queste sue memorie Porro rievoca una lunga, autorevole attività di mercante d’arte. Il libro è prefato da Giampiero Borghini, che fu sindaco di Milano fra 1992 e 1993. Fu quest’ultimo a portare a termine la complessa trattativa, tramite Porro, per l’acquisto della formidabile collezione Jucker da parte del Comune di Milano, poi confluita nel Museo del Novecento: una raccolta di dipinti del primo Novecento di eccezionale valore storico che rischiò di andare dispersa e che oggi tutti possono ammirare e studiare. Milanese d’adozione, Porro (1930) aveva fondato nel 1959 col banchiere Manusardi una delle più rilevanti case d’asta italiane, se non la più rilevante: Finarte. Il racconto, rivissuto in prima persona, ripercorre anni cruciali e irripetibili per il mercato italiano (e non solo) dell’arte e delle aste, soprattutto quelle contemporanee, per le quali Finarte, e Porro che la diresse, ebbero un occhio di riguardo. Articolata e ricca d’informazioni anche inedite, la vicenda tocca, dal dopoguerra al boom degli anni Settanta- Ottanta, la spinosa questione del rapporto fra pubblico e privato, che ancora oggi vede contrapposte due linee di tendenza: una più rigorosa e moralistica, rigidamente accademica, contraria a “compromessi” col privato di chi gestisce il patrimonio pubblico, e l’altra più “elastica”, che vede di buon occhio un rapporto collaborativo fra enti pubblici e collezionisti, che è la tesi appoggiata in questo libro ma anche da molti funzionari statali e studiosi. Emblematico il riferirsi, in copertina, a Elasticità, il dipinto futurista di Boccioni, che faceva parte della collezione Jucker e oggi è uno dei pezzi più ammirati del bel museo in piazza del Duomo a Milano. Discorso dunque di attualità, con interessanti testimonianze di eccellenti acquisizioni da parte di musei anche stranieri. Molti anche i ricordi personali su grandi storici dell’arte, critici e collezionisti con cui Porro si trovò a lavorare. Talvolta il discorso scende nell’aneddoto sui “caratteri” intimi di alcuni di essi (come Testori, Volpe, Zeri), ed è la parte che meno ci piace e poco aggiunge alla storia dell’arte e del collezionismo. Questione di gusti, ma preferiamo un elegante riserbo nei confronti della vita privata di personaggi scomparsi.


Casimiro Porro Skira, Milano 2018 192 pp., 58 ill. colore € 25

SCULTURA PROGRAMMATICA NEL TERZO REICH

Al primo colpo d’occhio l’imponente libro colpisce innanzitutto per la documentazione iconografica, spesso inedita, e colpisce anche perché le opere illustrate sono monotone, ossessivamente retoriche. Il tema è quello della scultura germanica prodotta in modo programmatico sotto il regime nazista, nell’epoca più scabrosa della nostra storia recente. È certo un tema difficile da affrontare, e non a caso non era mai stata condotta un’indagine così analitica nel campo della scultura. Finora l’arte del Terzo Reich, come quella dell’Italia fascista, è stata studiata soprattutto dagli storici dell’architettura. Tuttavia è la scultura che offre maggiori appigli all’ideologia del corpo, ovvero alla “perfezione” del nudo ariano, maschile e femminile. Con molto coraggio, acume e grandi capacità critiche lo storico dell’arte tedesco Klaus Wolbert, classe 1940, si è accostato all’argomento, sotto infinite sfaccettature. E lo ha fatto sin dai tempi della sua adesione al Sessantotto, per poi proseguire, nel 1974, con una prima mostra a Francoforte sull’arte del Terzo Reich, organizzata com’è ovvio senza intenti apologetici, anzi. Come ormai sappiamo, l’arte nazionalsocialista, con la consorella fascista, aveva chiare funzioni politiche e di comunicazione. Dunque è primario riesaminare le fonti estetiche degli ideali di purezza e bellezza della razza, che vanno ricercate non tanto nelle epopee dell’antica letteratura tedesca come verrebbe da pensare. La quasi totalità delle sculture del Terzo Reich, monumentali o di piccolo formato, non si riferisce al mito medievale, poniamo, dei Nibelunghi, bensì alla scultura classica, o meglio, al nudo, bellezza ideale per eccellenza: «corpi dogmatici, letali dettami di bellezza », li definisce l’autore, che indaga in quel crepuscolo degli dei che al posto degli eroi germanici si appropriò del pantheon olimpico. L’idea del corpo classico come “superiore”, adottata anche nello Stadio dei marmi di Roma, ha peraltro radici lontane, dai tempi di Winckelmann e serpeggia fino alle idee nietzschiane sul «corpo bello vittorioso, confortante». Con pericolosi strascichi anche oggi. «E non si vede una fine»… scrive Wolbert.


Klaus Wolbert Allemandi, Torino 2018 408 pp., oltre 300 ill. b.n. € 150

ART E DOSSIER N. 366
ART E DOSSIER N. 366
GIUGNO 2019
In questo numero: Le anime del Novecento: Kounellis: le radici; Lee Miller tra fashion e guerra. In mostra: Burri a Venezia, Haering a Liverpool, Lygia Pape a Milano. Rinascimenti in mostra: Verrocchio a Firenze, Il Mediterraneo a Matera. Il mito dell'odalisca: Orientalismi in mostra a Parigi.Direttore: Philippe Daverio