CATALOGHI E LIBRI
GIUGNO 2019
«MOSTRE PERMANENTI»
La prolifica carriera di Ragghianti (1910-1987) emerge, in questo libro documentato come mai prima d’ora, per la sua attitudine di curatore, responsabile scientifico o collaboratore, sotto varie forme, a importanti mostre nazionali e internazionali. Lo storico dell’arte lucchese, che era stato attivo antifascista, iniziò quest’attività attorno al 1945, affiancandola in modo costante a quella di studioso nei campi più svariati, dal Medioevo al contemporaneo. Il volume, frutto di una lunga indagine negli archivi della Fondazione Ragghianti, si è avvalso di varie fonti, ricercate e risistemate con acribia da Silvia Massa ed Elena Pontelli, col contributo di altri studiosi. La capillare catalogazione comprende sia le mostre effettivamente realizzate, sia quelle che per ragioni diverse non ebbero luogo. Spiccano, tra le altre, le esposizioni di palazzo Strozzi a Firenze, come quella epocale sull’arte italiana 1915-1935 (1967).
PER LE STRADE DELL’ARTE
In queste sue memorie Porro rievoca una lunga, autorevole attività di mercante d’arte. Il libro è prefato da Giampiero Borghini, che fu sindaco di Milano fra 1992 e 1993. Fu quest’ultimo a portare a termine la complessa trattativa, tramite Porro, per l’acquisto della formidabile collezione Jucker da parte del Comune di Milano, poi confluita nel Museo del Novecento: una raccolta di dipinti del primo Novecento di eccezionale valore storico che rischiò di andare dispersa e che oggi tutti possono ammirare e studiare. Milanese d’adozione, Porro (1930) aveva fondato nel 1959 col banchiere Manusardi una delle più rilevanti case d’asta italiane, se non la più rilevante: Finarte. Il racconto, rivissuto in prima persona, ripercorre anni cruciali e irripetibili per il mercato italiano (e non solo) dell’arte e delle aste, soprattutto quelle contemporanee, per le quali Finarte, e Porro che la diresse, ebbero un occhio di riguardo. Articolata e ricca d’informazioni anche inedite, la vicenda tocca, dal dopoguerra al boom degli anni Settanta- Ottanta, la spinosa questione del rapporto fra pubblico e privato, che ancora oggi vede contrapposte due linee di tendenza: una più rigorosa e moralistica, rigidamente accademica, contraria a “compromessi” col privato di chi gestisce il patrimonio pubblico, e l’altra più “elastica”, che vede di buon occhio un rapporto collaborativo fra enti pubblici e collezionisti, che è la tesi appoggiata in questo libro ma anche da molti funzionari statali e studiosi. Emblematico il riferirsi, in copertina, a Elasticità, il dipinto futurista di Boccioni, che faceva parte della collezione Jucker e oggi è uno dei pezzi più ammirati del bel museo in piazza del Duomo a Milano. Discorso dunque di attualità, con interessanti testimonianze di eccellenti acquisizioni da parte di musei anche stranieri. Molti anche i ricordi personali su grandi storici dell’arte, critici e collezionisti con cui Porro si trovò a lavorare. Talvolta il discorso scende nell’aneddoto sui “caratteri” intimi di alcuni di essi (come Testori, Volpe, Zeri), ed è la parte che meno ci piace e poco aggiunge alla storia dell’arte e del collezionismo. Questione di gusti, ma preferiamo un elegante riserbo nei confronti della vita privata di personaggi scomparsi.
SCULTURA PROGRAMMATICA NEL TERZO REICH
Al primo colpo d’occhio l’imponente libro colpisce innanzitutto per la documentazione iconografica, spesso inedita, e colpisce anche perché le opere illustrate sono monotone, ossessivamente retoriche. Il tema è quello della scultura germanica prodotta in modo programmatico sotto il regime nazista, nell’epoca più scabrosa della nostra storia recente. È certo un tema difficile da affrontare, e non a caso non era mai stata condotta un’indagine così analitica nel campo della scultura. Finora l’arte del Terzo Reich, come quella dell’Italia fascista, è stata studiata soprattutto dagli storici dell’architettura. Tuttavia è la scultura che offre maggiori appigli all’ideologia del corpo, ovvero alla “perfezione” del nudo ariano, maschile e femminile. Con molto coraggio, acume e grandi capacità critiche lo storico dell’arte tedesco Klaus Wolbert, classe 1940, si è accostato all’argomento, sotto infinite sfaccettature. E lo ha fatto sin dai tempi della sua adesione al Sessantotto, per poi proseguire, nel 1974, con una prima mostra a Francoforte sull’arte del Terzo Reich, organizzata com’è ovvio senza intenti apologetici, anzi. Come ormai sappiamo, l’arte nazionalsocialista, con la consorella fascista, aveva chiare funzioni politiche e di comunicazione. Dunque è primario riesaminare le fonti estetiche degli ideali di purezza e bellezza della razza, che vanno ricercate non tanto nelle epopee dell’antica letteratura tedesca come verrebbe da pensare. La quasi totalità delle sculture del Terzo Reich, monumentali o di piccolo formato, non si riferisce al mito medievale, poniamo, dei Nibelunghi, bensì alla scultura classica, o meglio, al nudo, bellezza ideale per eccellenza: «corpi dogmatici, letali dettami di bellezza », li definisce l’autore, che indaga in quel crepuscolo degli dei che al posto degli eroi germanici si appropriò del pantheon olimpico. L’idea del corpo classico come “superiore”, adottata anche nello Stadio dei marmi di Roma, ha peraltro radici lontane, dai tempi di Winckelmann e serpeggia fino alle idee nietzschiane sul «corpo bello vittorioso, confortante». Con pericolosi strascichi anche oggi. «E non si vede una fine»… scrive Wolbert.
ART E DOSSIER N. 366
GIUGNO 2019
In questo numero: Le anime del Novecento: Kounellis: le radici; Lee Miller tra fashion e guerra. In mostra: Burri a Venezia, Haering a Liverpool, Lygia Pape a Milano. Rinascimenti in mostra: Verrocchio a Firenze, Il Mediterraneo a Matera. Il mito dell'odalisca: Orientalismi in mostra a Parigi.Direttore: Philippe Daverio